Youmark

Essere è comunicare. Comunicare non è sempre essere. Come dire, l’importanza di partire da qui. Scoprendo che la differenza la fa l’amore per quello che si è e si fa. Attenzione e cura. Che tu sia persona, azienda, brand, quando incontri il tuo pubblico devi essere all’altezza

Voglio raccontarvi una storiella. E’ sabato. Suona il citofono. Aiuto, sono appena le sei. Mi alzo, vado alla porta, in mano quella cornetta che sto maledicendo, nulla, il silenzio. So che a volte la connessione si inceppa, mi ero ripromessa di farlo presente al custode. Ma in quell’attimo di un mattino che avrei voluto dormire, non me lo ricordo più. Così mi sfogo con qualche ipotetico imbecille e il suo stupido scherzo. Tempo mezzo secondo e torno a letto. Voglio addormentarmi, perché no, ora non mi alzo. Gli occhi si chiudono i pensieri proseguono, ma la volontà di dormire traina. Non ci posso credere, il citofono, ancora? E chissà perché sono già in piedi. La cornetta la porto all’orecchio: “Buongiorno”. Rispondo: “Siiiii?!” Così l’altra parte, verificata la mia voce, prosegue al femminile. E io capisco che pure lì c’è una lei.

Bene. Giusto per non darvi l’idea di improntare una storia da romanzo, vengo al sodo. Avevo lasciato la macchina nello spazio che il sabato è riservato al mercato. Tra l’altro per me era la seconda volta. A mia discolpa premetterò che le bancarelle si sono allargate in quella via solo da poco e, Francesco Gallucci docet, i comportamenti per diventare abitudini hanno bisogno di almeno due mesi di routine. Ma tutto questo è ancora poco interessante.

Quello che invece mi preme sottolineare, al punto di averlo voluto scrivere sul nostro youmark, è il comportamento della poliziotta che ho trovato ad aspettarmi una volta arrivata giù.

Questa Signora (ci tengo a usare la S maiuscola per definirla, dispiaciuta di essere stata così assonnata da non averle chiesto il nome) si è premurata di verificare a chi appartenesse la macchina. Di trovare il mio indirizzo, di scalare la freccetta del citofono identificando il nome accoppiato al numero che contraddistingue il mio e di chiamarmi ben due volte. Il tutto per risparmiare a me, cittadino a lei sconosciuto, la seccatura e il costo del carro attrezzi. Non era certo il suo dovere, che si sarebbe potuto limitare a rispondere alla chiamata degli ambulanti agendo poi di conseguenza (l’altra volta, infatti, dovetti andare a ripigliarmi la macchina rimossa). Ovviamente poi mi ha dovuto fare il verbale, come è giusto che sia.

Avete già capito dove voglio andare a parare.

Nessuna campagna pubblicitaria avrebbe saputo convincermi più di questa esperienza. Io oggi guardo al corpo della polizia municipale con altri occhi. Quella Signora ha creato il vero engagement. E, soprattutto, mi ha insegnato. Al punto di voler condividere questa storia.

Di sicuro casi virtuosi come questo ce ne sono parecchi, alcuni conosciuti perché la cronaca ha dato loro spazio, vedi la maestra di Prato che organizza al parco le lezioni per i suoi alunni (sorvoliamo sulle polemiche che sono seguite perché altrimenti ci roviniamo la poesia…), altri che restano nella sfera dei rapporti che li hanno generati. Ma quello che ecumenicamente vale è quanto ‘avere a cuore’ faccia la differenza. Immaginate se così agissero tutti…

E non vale solo per le persone. Lo stesso è per le aziende e per le marche, nei confronti dei loro prodotti, dei loro dipendenti, dei loro consumatori e, mai come oggi, del loro territorio e della società. Ma non tutti ne sono coscienti, convinti, o capaci.