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Anche il social media Parler soccombe di fronte al boicottaggio delle Big Tech. Per il Wall Street Journal non è una buona cosa…

Dopo l’invasione del Campidoglio di mercoledì, da parte della folla che ha interrotto il conteggio dei voti elettorali, le grandi aziende tecnologiche si sono mosse, aggressivamente e all’unisono, contro Donald Trump e i suoi sostenitori. “Le aziende dicono di voler emarginare la frangia violenta, ma la loro censura invece la farà crescere”, scrive però il Wall Street Journal nel suo editoriale di ieri.

Perché, dopo la censura a Donald Trump sui social media, si è assistito un meno evidente, ma egualmente molto efficace, accerchiamento di Parler, un social ‘minore’ su cui Trump si stava rifugiando, con le sue idee e i suoi follower.

Qui, come già anticipato altrove tra le news di questo sito, non si tratta di giudicare la bontà o meno delle affermazioni e della teorie di Trump e dei suoi seguaci, ma di valutare i fatti il più possibile obiettivamente. Ed è un fatto che sugli app store di Apple e di Android è stata rimossa nei giorni scorsi la possibilità di downloadare la app di Parler, paralizzando così la sua vitalità sui telefoni cellulari.

Poi Amazon ha dato il colpo di grazia, annunciando che domenica avrebbe ritirato il servizio cloud su cui Parler si basa per archiviare i dati. Cosa che è poi regolarmente avvenuta. I giganti della tecnologia affermano che Parler ospita materiale che incoraggia la violenza e Apple ha indicato i recenti post violenti che il sito non ha eliminato. Quasi che questo genere di contenuti non si trovasse su tutti social, a partire da quello Blu.

Sempre il WSJ aveva però riferito sabato che “nei giorni scorsi, Parler ha raddoppiato il suo team di moderatori volontari, chiamati ‘giurati’, fino a più di mille” e ha proposto ulteriori misure di applicazione. Ma Parler è ora un obiettivo politico, e non sarà l’ultimo, e l’espulsione dal cloud di Amazon è scattata egualmente. Agli occhi dei conservatori statunitensi, tutto questo assomiglia sempre più a una ‘confederazione di autonominatisi guardiani del Web’ che sta metodicamente distruggendo concorrenti creati per ostacolare le loro opinioni.

L’Amministratore Delegato di Parler, John Matze, aveva inizialmente comunicato agli utenti che il social sarebbe rimasto offline per una settimana, prima di trovare un nuovo server, ma poi è stato costretto ad ammettere che l’assenza da internet potrebbe durare più del previsto, dichiarando in un’intervista telefonica a Fox News che sta avendo molta difficoltà a trovare qualcuno che voglia fare affari con lui, e ha accusato Apple e Amazon di stare collaborando “per soffocare la libertà di parola”.

Secondo i media americani, Parler ha poi deciso di far causa ad Amazon per violazione della legge antitrust e del contratto. Il social avrebbe chiesto a un giudice federale di ordinare ad Amazon di reintegrarla, ma finora questa mossa non ha avuto successo.

Adesso toccherebbe all’altro social privo di una stringente moderazione (o ‘censura’ come preferiscono affermare i più accessi estremisti): Gap, dall’interfaccia sempre simile a Twitter ed altrettanto Trump-centrico grazie alla più lasca policy relativa alle posizioni politiche espresse dagli utenti.

Ma l’attuale atteggiamento dei social, tutti contro il Presidente uscente, potrebbe essere un’arma doppio taglio: le opinioni dissenzienti non svaniranno perché gli amministratori delegati del settore tech lo vietano. E, come scrive il WSJ, gli abusi politici percepiti dalle aziende tecnologiche stanno diventando uno dei principali motori del populismo nel XXI secolo: anche la messa al bando della Parler da parte delle tech company può rappresentare in ultima analisi una violazione delle norme antitrust.

Un ultimo commento aneddotico: oggi a Wall Street calano le quotazioni di entrambi i social che hanno bannato Trump: piuttosto contenuto il calo di Facebook (-3,2%), decisamente rilevante invece quello di Twitter, pari a un -10% del valore di Borsa.