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Tribe Communication: il 2022 è stato l’anno della trasformazione. Abbiamo rifondato il reparto creativo, che è nostro fiore all’occhiello, inaugurato con due grandi progetti internazionali. I brand devono comunicare il loro senso più profondo

Francesco Gemelli e Alessandro Fellegara

Alessandro Fellegara, Chief Executive Officer e Francesco Gemelli, Chief Branding Officer TRIBE COMMUNICATION

E’ finito il 2022. Che anno è stato per voi?

Dopo 17 anni di vita abbiamo vissuto il 2022 all’insegna della trasformazione. È stato un anno intenso che ci ha portati a una vera e propria rifondazione del reparto creativo e ad un ulteriore potenziamento del servizio, che da sempre è un’eccellenza riconosciuta dai nostri clienti.

Oggi più che mai abbiamo un reparto capace di generare strategie di comunicazione da cui nascono creatività significative e coerenti con i brand che si rivolgono a noi. Un traguardo raggiunto grazie alle nuove persone che hanno deciso di sposare la mission e la nuova vision di Tribe.

Abbiamo dimostrato una grande capacità di reazione e adattamento. Un anno che ci ha portato nuovi clienti e la conferma di stima reciproca da molti degli attuali.

Ad inizio anno siamo stati prudenti, a giugno abbiamo affrontato molti cambiamenti significativi a livello strutturale, e oggi possiamo dire di aver lavorato con professionalità, flessibilità, competenza e grande determinazione.

Quali gli obiettivi raggiunti di cui andate più fieri?

Abbiamo realizzato due prestigiosi progetti internazionali accomunati da una visione strategica al servizio dell’identità e della reputazione dei brand; uno nell’ambito del B2B, mentre l’altro nel mondo del lusso. Il primo riguarda il completo rebranding per un’eccellenza italiana, nota in tutto il mondo per i propri tessuti tecnici: Jersey Lomellina. Grazie ad approfondite analisi è stato possibile generare il posizionamento e il nuovo sistema di comunicazione.

Per Guidi, brand iconico di scarpe e borse riconosciuto in tutto il mondo per i suoi materiali pregiati, il suo estro stilistico, i riferimenti avant-gardisti e la sua eccezionale qualità, abbiamo ideato e creato Ful/mine.art. Un progetto editoriale che promuove l’arte in ogni sua forma ed espressione. Una community, un network eterogeneo, una open art gallery digitale che diventa dimora di artisti provenienti da tutto il mondo, attraverso opere commissionate, articoli, album, illustrazioni.
Un progetto di puro valore al servizio della crescita internazionale; di fatto, uno spazio immersivo fuori dai confini dell’ordinario e del mainstream.

Contingenza a parte, che cosa augurate all’industry per il nuovo anno. Insomma, quali gli ambiti sistemici su cui lavorare pro tutti?

Il grosso lavoro lo sta facendo UNA e con essa le territoriali. Certo è che la nostra industry è la prima ad essere snobbata nei momenti di difficoltà economica e la prima ad essere poco riconosciuta quando le cose vanno bene. C’è un problema culturale di fondo che non dipende solo dalla industry; c’è ancora molta inconsapevolezza, anche agli alti livelli delle aziende, sul senso e l’utilità di una comunicazione fatta bene e ben pagata, capace insomma di portare risultati concreti e duraturi. Ancora oggi c’è chi pensa che sia una commodity e non ha la capacità di distinguere una comunicazione che calza a pennello da una decisamente inefficace. Molti sono ancora schiavi del “bello” e del “mi piace”, come se fossimo ancora agli albori della comunicazione. Ammaliati da una pura dimensione estetica e non legata al senso profondo che ogni brand rappresenta e potrebbe comunicare.

In che direzione va il rapporto con i clienti, su cosa state ragionando per vestire meglio le loro esigenze, a quali ambiti, nuovi servizi, visioni?

Per noi ogni cliente è un mondo a sé, un universo da scoprire e comunicare. Che sia un brand sconosciuto o famoso a livello internazionale, in entrambi i casi, il nostro servizio è di eccellenza e ritagliato su misura.

Cercare il più profondo significato della comunicazione di un brand o di un prodotto per noi vuol dire sviluppare una visione sistemica che tiene conto non solo dei trend industriali e sociali, come la sostenibilità, ma anche calzare il mindset del consumatore e dare un significato alle (troppe) cose che vengono dette e promesse dalle marche in comunicazione.

Oggi sempre di più il B2B deve comunicare con le logiche del B2C, ma lo fa da uno spazio completamente diverso, attento ai valori aziendali, alle risorse umane, al territorio. Per quanto ci compete, noi vediamo il futuro delle marche e poi prestiamo i nostri occhi ai clienti che vogliono andare oltre all’immagine che hanno di sè stessi e costruire qualcosa di veramente nuovo e significativo per sé e, a volte, per il mondo.

Nell’era della proliferazione dei touch point ha ancora senso parlare di memorabilità delle campagne? Quanto la creatività è in grado di difendere l’efficacia della comunicazione contro velocità e quantità di messaggi e contenuti?

Un tema molto importante, ma è chiaro che oggi la memorabilità è l’effetto di un lavoro fatto bene, non è più un obiettivo demandabile al budget media e ai pochi o tanti touch-point. Oggi, anche con budget enormi, non sempre si raggiunge la memorabilità. Per quale motivo? Perché la memorabilità è il risultato alchemico di vari ingredienti che non sono solo strategia+creatività, velocità+attualità, budget media+declinabilità del messaggio, ma una giusta composizione di questi in favore dell’altro che, si dà il caso, sia anche un consumatore.

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