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Sfila Dior in un film di Matteo Garrone. Un racconto da fiaba per la nuova collezione di Maria Grazia Chiuri: “Il cinema è un lavoro creativo e insieme artigianale. Autoriale e corale. Molto simile al modo di lavorare della moda”

“Mi è sempre interessato il mezzo filmico. E spesso ho pensato che avrei voluto sperimentarlo per restituire le atmosfere uniche dell’Haute couture. Il cinema è un lavoro creativo e insieme artigianale. Autoriale e corale. Molto simile al modo di lavorare della moda”, spiega Maria Grazia Chiuri, direttrice artistica delle collezioni donna di Dior, “e l’occasione giusta è arrivata con l’ultima collezione di Haute Couture. Una collezione che mobilita riferimenti e suggestioni diverse e che prende nuove strade per arrivare a destinazione. Una storia impastata da tante storie: accumulo di passioni, curiosità, interessi, divagazioni che hanno occupato la mia mente in quel tempo sospeso che abbiamo appena passato, non ancora veramente finito”.

Matteo Garrone, uno dei registi italiani più conosciuti e più premiati, autore di film come Il Racconto dei racconti (Tale of Tales), (2015), Dogman (2018) o Pinocchio (2019 – Sei premi e una menzione speciale ai Nastri d’Argento 2020), per citare solo gli ultimi, interpellato da Chiuri per dare forma a questa complessità immaginativa, si è messo in gioco senza pregiudizi. “L’ossessione per il corpo, la carnalità, l’eros, il desiderio, la luce fanno parte del mio cinema. Anche la moda ha a che fare con il corpo, si confronta con il desiderio”.

La narrazione del film materializza visivamente quel divagare tra gli immaginari che ha dato impronta alla collezione. Lo sguardo del regista esplora quel luogo incantato che è ancora oggi l’atelier. Un luogo delle meraviglie dove vediamo uno stuolo di première che lavora alacremente a finire gli abiti perfetti della haute couture che saranno indossati da manichini mignon.

I manichini vestiti vengono disposti in un grande baule che ha la forma delle storica sede Dior in Avenue Montaigne a Parigi. Il baule è un oggetto magico, il polo di un campo magnetico da cui si irradiano forze speciali. Così lo vediamo apparire portato da due gemelli in una uniforme da operetta in un bosco incantato. Loro si inerpicano attraverso sentieri accidentati per portare alle creature che abitano quei luoghi il loro prezioso carico.

Le scene che il regista compone, evocazione di immagini memorabili, attraverso metafore e procedimenti descrittivi propri dell’arte figurativa possono rimandare a Le metamorfosi di Ovidio. Ci sono ninfe, c’è una sirena, Narciso, una statua ; c’è anche un satiro che con il suo desiderio irrompe nella narrazione. Ma sono i miti che per il regista sono l’origine della cultura occidentale, riattivati continuamente dalle favole, il dispositivo narrativo che viene innestato dall’atteggiamento surrealista capace di scardinare e contraddire ciò che l’occhio vede e la mente immagina.

Ogni volta che i due portantini raggiungono la meta, dopo aver divagato nel bosco magico, aprono il baule accolti da stupore, meraviglia, desiderio. Le ninfe abbandonano i loro giochi, la sirena si rivela, la statua si anima. Alla scelta dell’abito segue il rito della misurazione di quei corpi legati alla vita e alle trasformazioni di quel luogo incantato. Misurazione che i due ragazzi eseguono con grande attenzione.

Nell’Atelier si torna al lavoro per tagliare tessuti preziosi e cucire con rapidità (per Calvino Le metamorfosi sono proprio le forme della rapidità) e sapienza quegli abiti che dovranno vestire quelle creature mitologiche, che continuano la loro vita compiacendosi di quella nuova bellezza. Di quella trasformazione che può innestare ogni abito perfetto.

Non ci sono effetti speciali in questo film: solo un complesso intervento di make-up.  L’atmosfera rimanda a un territorio mitologico e fiabesco. Le musiche del Maestro Paolo Buonvino accompagnano questo sogno in completa sintonia con le diverse energie che l’hanno progettato.

Il tema del film si muove tra le suggestioni di Erik Satie risonanza di Parigi città della Haute Couture, e i ritmi di quel meridione d’Italia, che accomuna nelle origini Chiuri e Buonvino, luogo della mitologia e delle favole de Lo Cunto de li cunti (da cui Garrone ha tratto Il Racconto dei Racconti), che viene riattivato attraverso le atmosfere della musica elettronica.

Il film che è opera autonoma, non racconta, ma vuole evocare quelle suggestioni di cui è imbevuta questa collezione di haute couture.

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