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Perché il Festival di Sanremo non è il nostro Super Bowl? Sergio Spaccavento: al palo sono i brand e le agenzie, che possono ‘intromettersi’ nella discussione solo per fare instant sui vestiti orrendi o sui lifting inquietanti, ma non hanno occasione di mostrare la creatività che invidiano ai colleghi americani ogni febbraio

Sanremo e Super Bowl?

“Il Super Bowl non è semplice sport. Se così fosse mi chiederei perché la finale del campionato di baseball, per esempio, non abbia la stessa risonanza. Il Super Bowl è soprattutto spettacolo: provate a verificare su YouTube. Qual è il video più visto? Il touchdown più spettacolare? No: è Lady Gaga che canta l’inno nazionale, o Chris Martin che improvvisamente fa capolino tra Beyoncé e Bruno Mars nell’halftime show.

E’ questo che in Italia, ma mi verrebbe da dire in tutto il resto del mondo, manca: il mix tra spettacolo, agonismo e tifo. E’ chiaro che un appuntamento che abbia tutte queste caratteristiche attiri così tanta gente e, di conseguenza, sia visto dai brand come una manna per lanciarsi in spot così spettacolari e ingaggianti. Immaginate uno show che abbia dentro di sé la portata nazional-popolare di Sanremo, ma anche la narrazione di Masterchef, ma anche lo spettacolo e l’engagement social di X-Factor, condito magari da qualche ospitata di livello internazionale. Beh, direi che il gioco è fatto.

La pecca di Sanremo è che è rimasto pop, ma ne ha perso di vista l’evoluzione, in tutti i suoi aspetti, musicali e oltre. E’ rimasto in una bolla del tempo, mentre fuori il pubblico, che è sempre numeroso, ha voglia di interagire e i brand desiderano creare contenuti di engagement.

Il risultato è che la gente fa live twitting (o live facebooking, come hanno fatto quest’anno i The Jackal), ma solo per prendere in giro la polverosità della kermesse, in un autocompiacimento reciproco francamente un po’ stantio.

Gli unici a rimanere al palo sono i brand e le agenzie, che possono ‘intromettersi’ nella discussione solo per fare instant sui vestiti orrendi o sui lifting inquietanti, ma che non hanno occasione di mostrare la stessa creatività che invidiano tanto ai colleghi americani ogni febbraio, soprattutto nella produzione dei commercial. Ed è un peccato, perché credo che il pubblico sanremese (e quindi italiano) sia ormai maturo per uno spettacolo a tutto tondo, che lo coinvolga anche quando ‘c’è la pubblicità’”.

Sergio Spaccavento, direttore creativo esecutivo Conversion.

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