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Me Too della pubblicità. Il Consiglio di ADCI risponde alle accuse diffamanti mosse in questi giorni e ‘invita’ alle rettifiche. E a youmark viene da aggiungere, speriamo che tutti leggano e che il gioco delle echo chamber che troppo spesso alimenta nei social la falsa informazione non sia muro contro la verità

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Partiamo dai fondamentali. ADCI è unassociazione privata, che tutela la promozione della creatività. Lo abbiamo detto, da ultimo con un comunicato del 22 giugno scorso, ma, evidentemente, è necessario ripeterlo: come associazione abbiamo un atteggiamento di tolleranza zero verso ogni comportamento discriminatorio, denigratorio, sessista, razzista o comunque lesivo della dignità e delle libertà di tutta la comunità dei creativi.

Però siamo fermamente convinti che questa battaglia vada combattuta con regole democratiche nella consapevolezza che la democrazia è presidio di civiltà. Che cosa fa ADCI è noto, specialmente ai nostri soci. Troviamo grave e diffamatorio sostenere che abbiamo retrodatato il consiglio di mercoledì 7 giugno in cui è stata deliberata lesclusione di Pasquale Diaferia. Invitiamo a rettificare immediatamente questa informazione.

Veniamo allulteriore considerazione diffamatoria ovvero che lADCI e i past president Massimo Guastini e Vicky Gitto e i rispettivi consigli non abbiano fatto nulla in merito alla vicenda.

Massimo Guastini, è stato il presidente di ADCI. Durante questo periodo, Pasquale Diaferia non è stato espulso dallADCI, né fatto oggetto di nessun richiamo e provvedimento ma, come ha detto lo stesso Guastini, non ha rinnovato la sua iscrizione. Cosa che ha fatto successivamente, quando presidente era Vicky Gitto. Durante la presidenza di Gitto, nel 2019, Diaferia aveva segnalato al collegio dei probiviri del Club Guastini e altri soci, rei – a suo dire – di diffondere informazioni diffamatorie sul suo conto. A sua volta, Guastini aveva segnalato Diaferia. La querelle era arrivata allattenzione di ADCI.

Non è assolutamente vero che lADCI non ha mai fatto nulla”.
È uninformazione diffamatoria, però questo riguarda al più noi e ‘Monica Rossi’ (account anonimo, ndr.). È, prima di ogni altra cosa, uninformazione falsa. E questo, ovviamente, riguarda tutti. Se si vogliono muovere delle accuse, bisogna conoscere i fatti. A vantaggio di Monica Rossi e di tutti, ricostruiamo allora i fatti, per come realmente avvennero. I probiviri hanno esaminato il caso e, per ragioni pur che non si faticano a comprendere, nessuna delle persone che avevano comunicato a Guastini di essere state molestate ha ribadito queste informazioni al collegio dei probiviri.

Il collegio dei probiviri si è trovato a dover decidere in assenza di testimonianze, scritte o orali, e sulla base delle sole affermazioni di un socio che affermava di essere a conoscenza di determinati fatti. Fatti non provati, perchénel 2019, Diaferia non risultava essere destinatario di alcuna misura da parte degli organi di giustizia (condanne, ma neanche avvisi di garanzia). Né ci risultavano fascicoli aperti presso qualche Procura della Repubblica sul suo conto. È scontato, ma visto il tenore delle comunicazioni infanganti in cui siamo citati, ci impone di precisarlo: anche se fosse stata aperta unindagine, ADCI non ne sarebbe stata informata.

In un simile contesto, non vediamo in che modo e per quali ragioni ADCI e i Past President sarebbero stati tenuti ad espellere un socio. Durante la sua presidenza, Vicky Gitto ha correttamente affidato al Collegio dei probiviri lo studio della vicenda e il Consiglio ha emesso un ammonimento, che, sulla base degli elementi probatori in nostro possesso, era il massimo che si potesse fare.

Le segnalazioni anonime, come dice ‘Monica Rossi’, senza nome e cognome non sono testimonianze sono sfoghi. Se vale per linformazione giornalistica, vale, a maggior ragione, se unassociazione deve adottare un provvedimento nei confronti di un socio.

Ci teniamo però a segnalare che ciò che più ci ha colpito è stato proprio il coraggio di una testimonianza emersa dopo 11 anni di silenzio: quella della nostra socia Giulia Segalla, che ha deciso di mettere il suo nome e il suo volto in merito alla vicenda Diaferia e di squarciare il silenzio. È un atto che merita rispetto incondizionato e che ci auguriamo abbia la forza di ispirare chiunque abbia subito simili traumi. A Giulia Segalla va tutta la nostra solidarietà e non di meno a chi, per ragioni che, umanamente, comprendiamo ha continuato a non volersi esporre, ora come allora.

Veniamo ai fatti più recenti. In alcuni post pubblicati su diversi social network da parte di Massimo Guastini, si fa il nome di Pasquale Diaferia e si afferma che sarebbe un molestatore. A fronte del clamore mediatico che si stava generando per la possibile partecipazione dellex socio Diaferia allevento Grande Vernerdì di Enzo di Bari, e della quale la Presidente non era stata informata, il direttivo ADCI si è immediatamente attivato per invitare Diaferia a fare un passo indietro e a non parteciparvi. La motivazione espressa al socio era che la sua presenza avrebbe turbato il sereno svolgimento dellevento.

A fronte del rifiuto di Diaferia, che ha anteposto i propri interessi a quelli dellassociazione violando così lo statuto, Stefania Siani, attuale Presidente, e il Consiglio Direttivo hanno fatto quello che nessun predecessore aveva potuto fare prima: deliberare lesclusione di Diaferia da membro dellADCI.

Davvero lADCI non ha fatto nulla?

Le motivazioni dellesclusione di un socio da unassociazione privata, finanche ‘Monica Rossi’ dovrebbe saperlo, sono private: il nostro regolamento prevede che qualunque socio possa richiedere di visionare la delibera.

Come ADCI, intendiamo proteggere tutti i professionisti vittime di molestie e sessismo e a questo scopo stiamo preparando l’Assemblea generale convocata per il 18 luglio in cui condivideremo con tutti gli associati le linee di azione concrete che abbiamo predisposto.

E perché il cambiamento culturale sia sistematico e definitivo abbiamo creato un Gruppo di lavoro con le principali associazioni di categoria perché le società di comunicazione diventino luoghi sicuri e trasparenti in cui lavorare. In cui denunciare comportamenti illeciti sia la norma.

Con la stessa forza tuteleremo la parte sana, che è grande, dei creativi italiani senza abdicare ai valori della democrazia.

La democrazia è rispetto dellaltro, è protezione delle categorie più deboli o più esposte a cui va la nostra assoluta solidarietà, ma è anche rifiuto di processi sommari e indiziari.