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Faccia a faccia con i Ceo e gli imprenditori della nostra industry. Riccardo Robiglio: “Nel nostro mestiere un leader non deve mai essere lontano dal campo di battaglia. Un leader creativo che smette di produrre idee, di scrivere, di pensare immagini, smette di essere leader”

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Qual è la tua visione per affrontare il futuro, su quali paradigmi fondi il tuo credo?

RED ROBIGLIO & DEMATTEIS è nata su di un’etica precisa e credo utile per il futuro che ci attende: massima competenza delle persone, consulenza attiva nelle aziende, partnership stretta con fornitori di qualità, trasparenza nelle relazioni. Un anno come il 2020 è stato per noi di forte sviluppo proprio grazie a questi principi.

Cosa ti è maggiormente dispiaciuto constatare nell’anno appena trascorso?

Il negazionismo e l’aumento vertiginoso della violenza sulle donne. Però sto vedendo crescere anche una meglio gioventù. Mi riferisco ai ventenni. Migliori di chi li ha preceduti per coscienza e valori.

Se fossi ceo o cmo di un brand che investe in comunicazione come agiresti, insomma, potendo dare consigli quali senti di dare al mercato dei clienti?

Credo che le aziende, anche attraverso la comunicazione, debbano dare voce ai valori che servono per rinascere: unità, condivisione, sostenibilità. E’ responsabilità di ogni azienda, anche di realtà piccole come la nostra, capire che è il momento di costruire e di coinvolgere. Servono progetti che guardano lontano e serve il consenso delle persone per realizzarli.

Ritieni di essere riuscito a concretizzare per la realtà che capitani il modello di business ideale, se sì perché, se no, idem e se in parte a che punto del percorso sei? 

Il modello ideale si modifica continuamente perchè le cose cambiano continuamente. Però credo che stiamo riuscendo a essere quello che volevamo essere quando siamo nati 7 anni fa: dei consulenti di comunicazione forti e affidabili. Professionisti che sanno pensare, sanno immaginare scenari e li sanno realizzare con coerenza e creatività. Abbiamo studiato e investito molto in ambito digitale e di analisi dei dati: nuove persone, un nuovo modo di profilare i target e di gestire la creatività in tempo reale. Abbiamo rafforzato l’area planning con due nuovi ingressi e quella creativa con un art. In ognuno di questi casi parliamo di professionisti di prima classe per offrire sempre un servizio di prima classe.

Si chiude il 2020. Un anno non facile, cosa ha rappresentato per te?

Un anno di lavoro senza sosta che, pur nello smart working, ci ha portati ad essere ancora più vicini alle aziende. Abbiamo condiviso i dubbi e le prospettive, abbiamo fatto ricerca, abbiamo realizzato progetti e girato film di qualità anche in condizioni di lockdown duro. Ovviamente è stato un anno cruciale dal punto di vista sociologico e quindi in termini di studio del ruolo dei brand di cui ci stiamo occupando. Stiamo imparando e ripensando tante cose perchè molto di quello che sta cambiando nei modelli comportamentali è destinato a rimanere.  Entriamo certamente in una nuova era per chi comunica.

Essere oggi leader: qual è la principale dote che bisogna possedere?

Non so se queste doti siano cambiate nel corso dei millenni. Avere una visione precisa e alta, saperla comunicare per attivare il talento individuale, lavorare concretamente alla realizzazione per non smettere di essere un esempio. Sono regole senza tempo. Ma nel nostro mestiere è utile sottolineare che un leader non deve mai essere lontano dal campo di battaglia: un leader creativo che smette di produrre idee, di scrivere, di pensare immagini, smette di essere un leader creativo.

Successi, progetti, quali vuoi menzionare come emblematici della tua impostazione?

Giancarlo Livraghi, quando avevo poco più di vent’anni, mi impartì la lezione fondamentale: ‘vai a letto soddisfatto solo quando quella maledetta curva delle vendite è in salita’. Paolo Dematteis e io abbiamo vinto parecchi Leoni a Cannes e credo tutti i premi più importanti del mondo, ma il successo lo misuriamo sempre e solo attraverso la salute dei brand che abbiamo in custodia.

In questo senso, il bilancio di questi ultimi anni di lavoro è molto positivo. I brand di cui ci occupiamo sono cresciuti in ogni senso, dai numeri all’equity valoriale, e hanno affrontato questo anno horribilis in modo utile, ordinato, efficace. Ma la cosa più importante: ogni brand sta compiendo un suo percorso evolutivo verso un obiettivo chiaro e con tappe ben disposte. Muller, Sorgenia, Aia, Cellissima, CyGate, Gruppo Veronesi. Abbiamo collaborato con Negroni nel momento più buio della pandemia. Stiamo iniziando a lavorare con due nuove aziende italiane.

Un progetto emblematico di innovazione strategica e creativa è la diretta intsagram con ‘Ernia’ contro la violenza sulle donne realizzata per Sorgenia: volevamo che un giovane parlasse ai giovani, da pari a pari, e volevamo fosse un rapper perchè più a contatto con il mainstream. In quella diretta il giovane artista si è messo in gioco davanti a una platea di migliaia di altri giovani per insegnare il rispetto. Efficace dal punto di vista sociale e anche dal punto di vista del ruolo del brand.

Altri progetti importanti. La campagna per il Bonroll Aia che ha posizionato in modo brillante e preciso uno dei prodotti alimentari più amati dagli italiani. Ma anche il lancio di Cy4Gate, uno dei grandi leader della sicurezza per imprese ed enti: l’idea della cybertranquility ha dato chiarezza e solidità al brand.

Il tema della rilevanza del mercato della comunicazione: è un tema? Ossia perché non sempre si è tenuti in alta considerazione, da governo, aziende, opinione pubblica? Una questione di carenza di ‘carismatiche star’? 

L’italia non è mai stata l’avanguardia della comunicazione d’impresa. A 25 anni ho iniziato a lavorare all’estero proprio per respirare un’altra professionalità .

Il motivo centrale è che mediamente, per cultura, le aziende italiane non credono che la comunicazione sia un asset strategico e non impiegano risorse strategiche per svilupparla. Siamo un paese di artigiani convinti che tutto dipenda da prodotto e distribuzione. A questo dato strutturale si assomma la crisi di un paese che ormai conta poco nello scenario globale. Fino a dieci anni fa nelle sedi italiane dei grandi gruppi noi creativi sviluppavamo progetti per il mondo intero. Ora tutto questo non esiste più salvo rarissimi casi.

Circa le carismatiche star, va detto che dopo l’Italia dei Pirella, dei Testa, dei Livraghi, cioè creativi di talento ma anche di spessore culturale e umano, nel nostro Paese c’è stato il vuoto. La mia generazione, che ha iniziato a fare questo lavoro agli albori dei ’90, più che agenzie dove crescere ha trovato enclavi senza spiragli di carriera perchè plafonati da persone non disposte a crescere e a far crescere. Paghiamo ancora quella lunga, infausta stagione.

Riccardo Robiglio, RED ROBIGLIO & DEMATTEIS.

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