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Il ROI dell’Audio: la pubblicità sceglie questo media, ma gli investimenti rimangono bassi. Il Voice Commerce cresce

Il mercato globale del podcast va verso una crescita del 4,5% su tutti gli investimenti nel settore audio, il che equivale a un raddoppio degli attuali 885 milioni di dollari investiti per raggiungere il miliardo e 600 milioni nel 2020, passando dal 2,5 al 4,5% del mercato complessivo dell’Audio.

Sono tanti o sono pochi? Questo è un quesito difficile a cui rispondere con un’affermazione netta, un ‘sì’ o un ‘no’. I podcast quest’anno hanno raggiunto 62 milioni di ascoltatori statunitensi, il mercato più grande al mondo, raggiungendo una penetrazione del 22% sul totale pubblico. Più della metà di questi ascoltatori sono su YouTube: il 53%, rispetto al 29% di Apple e al 28% di Spotify.

Il primo punto da sottolineare è la prevalenza di una piattaforma non specializzata, e già questo fatto rende approssimativi i calcoli (tutte queste cifre sono fornite dall’Ufficio Studi di WARC). Diffusa rimane comunque la certezza che saranno gli ‘sponsored podcast’ a guidare la danza dei rialzi nei prossimi anni, con lo spazio per le pianificazioni in programmatic in crescita fino al sorpasso. I conteggi di WARC segnalano infatti che i brand sono più che pronti a indirizzare i loro investimenti sul podcast, di pari passo con la crescita delle tecnologie per il planning, incluse ovviamente tutte le forme di addressable media, che saranno sempre più precise nella delivery delle campagne via via che il data management raggiungerà un superiore grado di maturità.

Secondo WARC, inoltre, tutto indica che le audio technologies potranno ritagliarsi una fetta maggiore degli investimenti man mano che la preferenza dei consumatori si indirizzeranno su quegli strumenti tipici dell’ascolto di podcast, quali smart speaker e smartphone.

“Il podcast ha grandi potenzialità”, ha scritto in una nota James McDonald, Managing Editor di WARC, “che si esprimeranno quando i brand saranno pronti a raggiungere davvero una audience altamente ingaggiata, giovane, con una buona capacità economica, e provvista di una notevole affinità con il medium”.

Dal canto loro, gli ascoltatori esprimono nei fatti, con diversi gradi di maturità nei differenti paesi, il loro essere pronti ad ascoltare i messaggi degli sponsor (o degli inserzionisti) in uno scambio tra gratuità del medium e pubblicità. Quasi quattro ascoltatori su cinque (il 78%), infatti, affermano che la pubblicità (o la sponsorizzazione) dei podcast non è invasiva, anzi è necessaria per supportare economicamente gli editori. Il 58% sottolinea che gli spot audio sono integrati nel contenuto del podcast, creando un esperienza di ascolto senza interruzioni che risulta molto diversa dalla radio streaming, in cui gli inserzionisti risultano spesso come qualcosa di estraneo al contesto.

Il ritorno economico della campagna sui podcast – ha calcolato uno studio su 530 campagne di 230 diversi brand realizzato da Podsights, una società newyorkese di attribution – è stato pari a 2,42 dollari per ogni dollaro investito, pari a un ricavo di 34,2 milioni di dollari.

Ma la pubblicità, e i pagamenti degli abbonamenti e per i singoli podcast, non sono l’unica fonte di ricavi possibile per i podcast. Una nuovo comparto è stato aperto della stessa diffusione degli smart speaker che ne rafforzato il ruolo come media. Il passaggio è in corso, ed è quasi inavvertibile, ma la direzione è ormai decisa. Da anticipatori e supporto per gli sponsor il ruolo del Voice Commerce nel podcasting sta aprendosi a nuove potenzialità, complice l’esplosione del comparto eCommerce che è stata una delle conseguenze della pandemia.

Ora, abbandonato il ruolo di ‘ospite’ (se non per le residue sponsorizzazioni e affiliazioni) il Voice Commerce si propone come metodo efficace di fare acquisti online. D’altra parte le statistiche parlano chiaro: secondo Ipsos Connect, nel 2018 solo il 9% dei proprietari smart speaker in UK, il maggior mercato europeo per l’eCommerce, l’avevano usato per fare acquisti. Solo un anno dopo questa percentuale si era drammaticamente incrementata, fino ad arrivare a un 60% dei proprietari di smart speaker che ne avevano fatto lo strumento per comperare in rete. Nel 2020, ovviamente, la statistiche risentono della pandemia, e alcune promettenti attività, quali la pianificazione di viaggi e vacanze tramite la voce, sono state colpite in modo deciso.
Ma il trend resta sempre valido, al di là degli aggiustamenti della composizione del ‘carrello della spesa’.

Il principale ostacolo alla definitiva affermazione del Conversational Commerce (un nome alternativo e forse più gradevole del Voice Commerce) rimangono le preoccupazioni circa la privacy: il Rapporto di EYDeconding la digital home’ conferma che il 72% dei consumatori britannici non si fida appieno della macchina. Un dato che però contrasta con il 32% che la usa per compilare la ‘lista della spesa’, ma non per fare acquisti.

Un altro elemento che deve ancora essere messo a punto è quello dell’inevitabile frizione che avviene al momento tradurre le scelte in acquisti: dire ‘banana’ nella lista della spesa va bene, ma ‘ordinare’ banane online è un po’ più complicato. Si vogliono banane grandi o si preferiscono quelle piccole? Mature o acerbe? E di quale marca? Secondo un’altra ricerca, il 68% dei consumatori si sente frustrato quando lo smart speaker non comprende una richiesta. Ma le sempre più raffinate applicazione dell’AI stanno risolvendo anche questo problema. Il Conversational Commerce è qui per restare, e per trasformarsi in un ‘game changer’ quando sarà in grado di tradurre in utilizzo quotidiano tutte le sue potenzialità.