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Francesca Casadei, Havas Media: “Connection, Contesto, Contenuto, le tre C della Media Experience”

“Ciò che è successo in questi mesi ha reso ancor più evidente la necessità ‘storica’ per i brand di puntare sull’innovazione intesa come bilanciamento tra una continua ricerca sul proprio prodotto – o servizio – e una costante alimentazione della distintività del proprio brand”, esordisce Francesca Casadei, Head of Strategy di HAVAS MEDIA GROUP. “Per raggiungere questo obiettivo le aziende hanno sempre dovuto puntare su ciò che potesse fare la differenza, offrendo un beneficio tale da renderli unici rispetto alla concorrenza. Ma questa capacità nel tempo è diventata facilmente replicabile, soprattutto grazie alla tecnologia che ha in un certo senso ‘assottigliato’ il tempo con cui certe iniziative possono essere replicate. Durante il recente lockdown abbiamo visto tante aziende offrire servizi e prodotti utili per stare vicini alle persone, che sono però stati subito replicati da altre aziende. Dall’altra parte abbiamo visto aziende che hanno usato la comunicazione per raccontare una storia. Se devo pensare a quali di queste aziende beneficeranno degli sforzi fatti, quelle vincenti saranno le aziende che hanno saputo bilanciare nella maniera giusta la comunicazione di benefit di natura funzionale con la comunicazione di benefit di natura personale, proprio come accade nelle relazioni umane. Se manca uno di questi elementi allora la comunicazione diventa inefficace e rischia di essere interpretata come una mera operazione di ‘cosmesi’ momentanea, cosa che non porta benefici, soprattutto nel lungo termine. Tutto questo è stato molto accentuato durante il periodo della pandemia e, in questa logica, è cambiato anche l’approccio ai mezzi”.

Stiamo andando verso un media mix fatto di elementi digitali, social, gaming e di strumenti ‘classici’ rivisti tramite nuove modalità di fruizione… In questo contesto come si costruisce una pianificazione creativa basata sui veri interessi delle persone, non più considerate come semplici ‘target’?

Bisogna rivalorizzare proprio il ‘contesto’. Credo che la cosa più importante sia concentrarsi sempre di più nell’analizzare il contesto in cui è presente la comunicazione, capirne l’impatto sia dal punto di vista dei brand, sia da quello delle persone. Non possiamo più affidarci solo alla ricerca di un target puntuale a cui indirizzare la comunicazione senza sapere però dove ne fruirà. Questo effetto ‘black box’ non è efficace su tutti i kpi che una media strategy dovrebbe considerare, in primis quelli legate alla percezione e all’esperienza di brand, ce lo dicono gli stessi clienti. Se non viene fatta un’accurata analisi dei mezzi e del contesto da un punto di vista strategico, si possono perdere alcuni insight fondamentali del target.

Dobbiamo imparare a trattare i media con la stessa accuratezza con cui siamo abituati ad analizzare i target. Il periodo che abbiamo vissuto ci ha dato la conferma che i touchpoint non sono tutti uguali, hanno un peso diverso in termini di capacità di generare fiducia, empatia, autorevolezza, vicinanza… e questa è una cosa che rimarrà nel futuro delle media strategy, dove sempre più andranno considerati questo tipo di attributi dei media e non solo i kpi media classici.

Una volta trovate le giuste strategie di pianificazione come si costruisce un messaggio impattante e di valore? Intelligenza Artificiale, Machine Learning, algoritmi… che ruolo avranno nel futuro della creatività?

Vorrei lanciare una piccola provocazione. Il 2019 ha rappresentato l’anno della comunicazione one to one, grazie alla capacità dei dati di profilare le persone in maniera molto puntuale. Pensiamo all’exploit dei chatbot, a come, in una serie di contesti, sia stata ‘stressata’ la parte di messaging, creando conversazioni sempre più personalizzate e deliverando pubblicità in contesti iper-personalizzati. In realtà in questo inizio 2020 si è visto un ritorno alla necessità di parlare con messaggi universalmente validi creando un effetto ‘contagio’ e ‘condivisione’ indispensabile ai tempi del distanziamento sociale. Il nostro pensiero si forma anche in base alle opinioni delle altre persone. Se proviamo a immaginare un mondo dove a ogni persona arrivasse il suo messaggio ‘iperpersonalizzato’: verrebbero a mancare proprio quelle conversazioni che sono alla base della comunicazione, verrebbe meno quell’effetto ‘condivisione’ e confronto che è insito nelle relazioni umane.

Non si può piacere a tutti, e questo è un dato di fatto che non tutte le aziende accettano. L’uso di tecnologie per avere creatività personalizzate, i messaggi one to one vanno bene, ma dobbiamo lavorare per capire in che momento del percorso d’acquisto si trova il consumatore, capire le regole delle varie categorie di prodotto, il ciclo di vita dei brand, l’attenzione nei confronti della privacy… la personalizzazione può essere deliverata quando il consumatore ha dimostrato un vero interesse e ha dato il suo ‘consenso’ esplicito a ricevere proprio quel messaggio e non un altro.

 

 

Dal ‘nulla sarà come prima’ a ‘come sarà il dopo?’, qual è la vision di Havas Media sul futuro della comunicazione e quali strategie sono state messe in atto per affrontare il ‘new normal’?

Noi non ci siamo fermati, abbiamo reagito di fronte a questa situazione dando un’accelerata a un processo che era già in essere. In Havas Media abbiamo cominciato da tempo a spingere un concetto per noi importantissimo che si chiama Mx (Media Experience), e che rappresenta un salto decisamente in avanti rispetto al classico media planning in una logica evolutiva, non di innovazione ‘tout court’. Non proponiamo qualcosa di nuovo ma qualcosa che sia migliore, attuale, strategico per le aziende.

E così, come a chiudere un cerchio, arriviamo a quelli che per Havas Media sono gli elementi che compongono la Media Experience, le tre C: Connection, che è la base dell’esposizione media, la capacità di andare a intercettare il consumatore nel modo giusto, attraverso il Contenuto più rilevante rispetto alle sue attese esplicite e latenti, valorizzando il ruolo che il Contesto ha sull’esperienza che sta vivendo. Il segreto è saper bilanciare questi 3 elementi e, per farlo, stiamo investendo sulla Media Experience come un vero e proprio processo, con tecnologie, tool e ricerche volti a rendere questo concetto tangibile, che permea quotidianamente ogni aspetto del nostro lavoro. Tutto questo è il nostro presente ma anche il nostro futuro, sia a livello globale sia a livello locale.