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Nell’ebook di youmark la qualità secondo Assocom nelle parole del neo eletto presidente Marco Testa e del past president Peter Grosser

Dunque, ecco il nostro primo ebook. Potete effettuare il download cliccando qui, oppure dalla nostra homepage, dove c’è l’apposito widget. Youmark intanto, day by day, ve lo proporrà pagina dopo pagina. Qui di seguito l’intervento di Assocom.

Certi tutti abbiate seguito le vicende del working in progress vissuto dall’Associazione delle imprese di Comunicazione negli ultimi mesi, vi proponiamo l’esordio in video del neopresidente Marco Testa, eletto alle elezioni dello scorso 18 dicembre.

Ma anche l’intervento di Peter Grosser che, assieme a Enrico Gasperini ne è stato legale e operativo rappresentante, trainando Assocom verso la trasformanzione (sfociata nell’attuale Governance), in seno al concetto di qualità che dovrebbe competere al mercato. E al perché non sempre si realizza. (segue sotto)

“Qualità è un concetto meraviglioso. Dovrebbe rappresentare la stella polare di ogni attività che vuole essere rilevante e contribuire alla crescita generale. Oggi, facendo un’analisi del settore della comunicazione in Italia, i progetti di qualità nascono in modo alquanto casuale, frutto del talento di singoli, e non certo per la capacità del sistema di generarla in modo organico. Troppi sono gli ostacoli che si frappongono e le responsabilità vanno equamente suddivise tra le agenzie, i clienti e la legislazione italiana”, commenta Grosser. E prosegue:

“Le agenzie, nel loro insieme, sono le prime responsabili in quanto – illudendosi di tamponare meglio i loro problemi singolarmente anziché facendo fronte comune – hanno subìto passivamente ogni avversità. Fare fronte comune significa infatti fissare regole precise e rispettarle anche se nel breve ciò può comportare il dover fare delle rinunce.

Troppi capi di agenzie hanno preferito tenersi le mani libere, confidando di più nelle proprie doti di scaltrezza e/o furbizia piuttosto che coalizzarsi per difendere i comuni interessi del nostro settore. Certo, a parole tutti d’accordo ogni volta che AssoCom ha cercato di portare avanti queste tematiche, salvo poi essere molto esigenti e critici verso i comportamenti delle agenzie concorrenti e molto più indulgenti con se stessi.

La conseguenza è che in questi anni le agenzie hanno perso in prestigio, credibilità, capacità negoziale, livelli di remunerazione e, conseguentemente, in professionalità. E la nota di pessimismo è che le medesime agenzie – che in virtù del loro individualismo hanno rovinato il nostro mercato facendo dumping, tagliando sulla qualità, senza alcuna visione ma con logiche utilitaristiche di breve periodo – tuttora, anziché fare autocritica, preferiscono scaricare le responsabilità su AssoCom accusandola pretestuosamente di immobilismo (un po’ come hanno fatto PD e PDL con il governo Letta), come se con la bacchetta magica si potesse risolvere tutti i problemi senza che i singoli associati debbano fare nulla.

Certo che il predominio della ‘finanza’ sulla ‘comunicazione’, tipica di questa anni, non aiuta in quanto impone ai manager del settore strategie di breve periodo, tese a massimizzare gli utili di fine anno, piuttosto che adottare programmi qualitativi di lungo termine.

I clienti hanno non meno responsabilità. Troppo semplicistico approfittare della debolezza negoziale delle agenzie per imporre remunerazioni irragionevoli. Ad un manager degno di questo nome basterebbe un minimo di analisi e/o di buona fede per capire che sotto certi livelli di remunerazione i risultati non possono che essere improvvisati e, in generale, scadenti.

Del resto, se l’unico parametro che deve essere preso in considerazione è il costo, le aziende potrebbero anche evitare di affidare la scelta a dei manager. Basterebbe una calcolatrice o un pallottoliere. Stupisce molto questo scarso peso dato alla qualità della comunicazione soprattutto perché in fondo il costo di un’agenzia – anche se non sottopagata – in ogni caso incide poco sugli investimenti complessivi di un’azienda.

Alle remunerazioni inadeguate si aggiunge anche la tendenza delle aziende a mettere sempre più spesso le agenzie in gara – di sovente in numero elevato – e, più in generale, a coltivare rapporti di breve periodo piuttosto che impostare partnership a medio e lungo termine. Ma come si può pensare che un’agenzia con margini risicatissimi, che costantemente deve distogliere risorse dal lavoro sui propri clienti per partecipare a gare di ogni genere e che non ha alcuna certezza riguardo alla durata dei propri contratti, possa investire in personale di qualità, ricerca ed innovazione?

Le suddette problematiche vengono oggi rese insostenibili dalla legislazione italiana.Il fatto che il livello delle tasse in Italia sia di almeno il 30% superiore a quelle, per esempio, di un’agenzia tedesca è grave ma paradossalmente il male minore. Ciò che uccide il nostro sistema è la doppia rigidità che le agenzie devono subire a causa dell’Irap e del contratto del lavoro in un mercato che, per poter sopravvivere, richieda totale flessibilità.

L’Irap è la tassa più folle che esista in quanto penalizza solo le agenzie virtuose che assumono – incentivando il precariato – e le obbliga a pagare somme cospicue anche se un anno non dovessero fare utili (e perfino se fanno perdite), un evento che in questo periodo di crisi è capitato a molte agenzie, diverse delle quali hanno chiuso. La rigidità del lavoro produce moltissimi danni e pressoché nessun beneficio.

Un’agenzia per poter produrre qualità deve poter scegliere la propria dimensione ideale ed il parco clienti che le permetta di lavorare al meglio. Invece, la difficoltà e l’alto costo di ridurre le proprie dimensioni, in caso di decremento  del fatturato, costringe le agenzie ad accettare qualsiasi cliente ed a qualsiasi condizione (ivi compreso il sottocosto) pur di tamponare il calo di fatturato innescando un circolo vizioso che porta a peggiorare le condizioni lavorative di tutti.

Per non parlare del concetto di meritocrazia completamente sacrificato dalla suddetta rigidità del sistema in quanto, in un mondo con risorse limitate, è impossibile premiare i meritevoli senza parallelamente risparmiare sulle funzioni meno capaci e/o meno utili.

Un ragionamento di buonsenso, talmente semplice da risultare scontato in tutti i Paesi anglosassoni. In Italia deve invece essere terreno di futili scontri ideologici.

Pertanto ben venga la battaglia per la riconquista della qualità, un percorso molto difficile ma il solo fatto di poterne individuare chiaramente le cause è un aspetto molto positivo poiché implicitamente ci indica la strada da seguire. A tal fine, il primo passo essenziale è quello di aggregare ‘persone di qualità’”.