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Up side down #4 by Luca Vergano: l’ultima campagna Gillette. Da che parte state, pro o contro?…Mettiamo i puntini, perché il dibattito potrebbe non finire mai. Ma il focus vero è, perché devono essere le marche a farsi carico di certi temi?

Gillette ha fatto bene. Gillette non doveva permettersi. Gillette è un esempio. Gillette è cinismo. Gillette difende. Gillette offende. Gillette dimostra che i maschi possono essere un’altra cosa. Gillette ha perpetrato i più biechi luoghi comuni e adesso si lava la coscienza. Possiamo continuare a parlarne per mesi dell’ultima campagna ‘We believe: The Best Man can Be’.

Possiamo guardare il bicchiere mezzo pieno, e pensare che una multinazionale come P&G, dopo averci massacrato di visualizzazioni funzionali sembra aver scoperto che ci sono problemi più grossi che non chi sollevi il pelo e chi lo tagli e abbia deciso di provare a contribuire a qualcosa al di là dell’idratazione. Da “good corporate citizens” quali dicono di voler essere.

Possiamo guardare il bicchiere mezzo vuoto, accusare Gillette di opportunismo e di cavalcare l’onda di Nike (anche se le campagne sociali non le hanno inventate né gli uni né gli altri), e voler salire sul piedistallo nell’era di una coscienza sociale risvegliata da un clima politico così imputridito che l’ennesima ricandidatura di Berlusconi sembra quasi una svolta positiva.

Possiamo guarda il bicchiere senza pregiudizi, fare tutte le analisi del mondo (una – ottima – l’ha fatta Tom Morton in questo thread)per vedere se dimensioni del mercato e opportunità commerciali valessero il rischio e giustificassero il coraggio di un messaggio potenzialmente capace di alienare una parte dei loro consumatori. E dopo, giudicare in modo distaccato la capacità strategica del brand.

Possiamo continuare a guardare tutto sempre solo attraverso il marketing perché quello è il nostro lavoro e ci piace così tanto da vedere sempre tutto attraverso quella lente.

Oppure possiamo pensare che è vero che c’è un problema se il 58% delle 87mila donne che vengono uccise ogni anno è ucciso da uomini della famiglia (e il restante 42% per non più rassicuranti “tradizioni culturali”), che in generale noi maschi veniamo cresciuti con una mentalità aggressiva e chiederci come mai sia un brand a dover cominciare il discorso.

Il problema non è se sia giusto o sbagliato che lo faccia un brand. I brand non fanno altro che cercare di cogliere il cambiamento culturale. Il problema è che non lo facciano le istituzioni, che di quel cambiamento culturale dovrebbero essere parte attiva. Gillette, Nike (ma anche Benetton al tempo dell’uomo morente di AIDS) dovrebbero farci girare la testa in quella direzione, e chiedere a gran voce che ci si occupi di questi temi. Al di là del marketing. Poi, discutiamo pure del diritto del marketing di parlarne. Ma finché non lo facciamo, turiamoci il naso e teniamoci i brand.

Luca Vergano, VP Strategy, Elephant.