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‘Il Dolore non esiste’, terzo libro di Ilaria Bernardini, edito da Mondadori, dopo sole 24 ore dall’uscita conquista il terzo posto tra le biografie letterarie. Ci è sembrato un ottimo motivo per incontrarla e capire come si comunica oggi un libro. A partire dal titolo

Ilaria Bernardini. Foto di Isabella De Maddalena
Ilaria Bernardini. Foto di Isabella De Maddalena
di Francesca Picciafuochi

Come nasce il titolo di un libro, come il titolo ‘Il Dolore non esiste’?

“Nasce particolarmente ‘battagliato’, perché diciamo che non sai mai il titolo del libro, quando lo inizi a scrivere e quando lo stai scrivendo, perché non sai mai dove arriverai. Io trovo i titoli dentro il libro stesso: una frase che non mi sono accorta e ne ha la potenza. Un concetto che si ripete tante volte. Qualcosa che devo sfilare da una materia più mossa, più incandescente. Così, come è successo a ‘Faremo Foresta’ (il romanzo uscito nel 2018, ndr ), che è un titolo speciale ed era nascosto dentro il libro, in una delle frasi, che non mi ero accorta che esistesse, e poi è divenuta tutta l’anima del libro.

Invece, questo ultimo si è inizialmente chiamato Celebrare Tutto, per poi cambiare in Che fai piangi?, e Anche quello che fa male, aveva dentro questa frase che mi diceva mio padre quando ero piccola Il dolore non esiste, che all’inizio non mi ero resa conto che, riassumesse cosi tanto gli intenti e questa filosofia di stare al mondo. Mondadori si era innamorato del titolo Celebrare tutto, che avevo comunque proposto io. Confesso che ho dovuto lottare molto, fino a quando ho ottenuto che Il dolore non esiste fosse proprio il titolo più giusto”.

Ma chi ha l’ultima parola decisiva sulla scelta?

“In questo caso l’ho avuta io. L’editore, come ho detto, ne preferiva un altro. Credo che per contratto dovrebbe scegliere l’editore e non l’autore. Anche se, alla fine si cerchi di trovare la contentezza di tutti.  In questo caso vi era una serie di personaggi coinvolti oltre me, il mio ufficio stampa, la mia editor, l’editore, e poi come chi mi conosce bene, io personalmente coinvolgo tantissime persone, faccio dei gran sondaggi fatti in casa, oppure via chat”.

Vale lo stesso per la copertina? La copertina comunica e quanto conta?

“Vale tantissimo. È la tua presentazione al mondo. E così come attirare una presenza in mezzo a mille altre copertine, a mille altre uscite. Questa copertina è stata da me trovata. Con una ricerca compulsiva, maniacale, dopo vari tentativi.  Avevamo visionato varie proposte loro, varie proposte mie. Eppure, nessuna mi coinvolgeva del tutto. Così ho proposto all’editore questa fotografia che ho trovato in una delle mille notti insonni ed è piaciuta tantissimo. A quel punto siamo partiti alla conquista di questa immagine; infatti, non è detto che sia libera, che abbia il prezzo che ci si possa permettere. E ancora, non è detto che la persona voglia essere con la propria immagine su un romanzo. In questo caso, non è stato un lavoro ovvio avere questa copertina. Ma ce l’abbiamo fatta”.

Terminato il libro, scelto titolo e copertina, parte il piano comunicazione per il lancio. Come funziona?

“Promuovere un libro vuol dire comunicarlo.  Ho il mio ufficio stampa, Maddalena Cazzaniga (Babel Agency) che ha seguito tutti gli ultimi tre libri. Insieme capiamo come non essere invisibili nell’uscita e capiamo che cosa racconteremo di questa storia e a chi. Ogni giornale, ogni radio, ogni televisione, ogni blog ha una narrazione diversa. Per ognuno di loro pensiamo quale sia la parte del libro, della storia che risuona. È un lungo lavoro di pianificazione, ovvero nessuno vuol uscire in contemporanea con le altre uscite, che devono essere rispettate e concordate. Tutti i giornali devono essere consapevoli di quale storia del libro racconteranno e quando. Il lancio è la parte fondamentale di un libro. Ad esempio, per Lucy, la rivista culturale digitale diretta da Nicola Lagioia, il pezzo l’ho scritto io. Ho scritto della mia terapia dell’EMDR, perché in qualche modo era legata alla storia. Quindi abbiamo trovato un contenuto che era da Lucy, più scientifico, come se fosse un saggio pop divulgativo”.

Che mi dici degli eventi di promozione dove si vendono anche i libri?

“Sono importanti se sei famoso, se verranno in tanti ad ascoltarti. Vale per gli autori, scrittori che hanno un loro pubblico, hanno dei fans che li seguono. Nel mio caso, non credo che sia così importante, tanto quanto la comunicazione del libro. È più un gesto di gentilezza portare in giro il libro nei posti chiave Milano, Roma, Torino, Napoli, Bologna”.

Ma con Faremo Foresta il tuo tour in Italia è stato fitto e intenso, o sbaglio?

“No, non sbagli. Ma era un’epoca precedente. Era un tempo pre pandemico, corrispondente ad un periodo in cui io andavo in giro a conoscere i librai, a costruire una bella relazione con loro. A mio avviso, non é una parte direttamente connessa con il successo di un libro, ma è bello conoscere il sistema e i protagonisti del mondo lettura, tra autori e coloro che commercializzano i libri”.

Hai mai notato che ci sono autori più sponsorizzati di altri?

“In qualche maniera ci sono autori che vendono di più e altri di meno. Gli autori che escono con 40.000 copie sono decisamente più forti di coloro che escono con 4.000. La tua visibilità è connessa alla tua tiratura. Inoltre, ci sono autori che possono stare su copertine di magazine, penso a Vanity Fair, Sette, D, Io Donna, e altri che non hanno quella caratteristica. Insomma, è un catch 22”.

A volte si trovano titoli di autori che non penseresti essere mai tali. Perché il desiderio di scrivere il proprio libro è così diffuso?

“Credo più che altro che tutti pensino o abbiano un libro nel cassetto. La frase che più ascolto da quando scrivo, e sono più di 25 anni, è ‘anche io sto scrivendo un libro.’ oppure ‘anche io ho un libro’. Più che altro è irresistibile per molti l’idea che hanno una storia da raccontare, forse alcuni hanno un certo narcisismo. Per altri c’è una parte di verità. Tutti hanno una cosa da raccontare. Non tutti magari riescono, anche se potenzialmente tutti avrebbero una storia”.

E i tanti politici che scrivono? 

Sia in Italia che all’estero i politici scrivono libri. Credo che se ti occupi di politica ti sei interrogato sulle cose chiare e magari scure della vita, vuoi raccontare come sei arrivato ad occupartene, quale aspetto lega la tua vita politica alla tua vita privata. È una storia facile da raccontare, che manifesta un pò quella postura inevitabile di coloro che hanno un incarico pubblico. Sono anche libri che aiutano gli editori a vendere e quindi a sostenere il libro minuscolo di un giovane esordiente che forse non farà grandi numeri. Ad esempio, il libro di Renzi è uscito il mio stesso giorno, spero che venda e aiuti il suo editore a sostenere un giovane autore”.

Lavori con le parole, i testi e le storie, come vedi i media italiani?

“Penso che abbiamo un momento di picco negativo. La prima pagina del Corriere della Sera o de la Repubblica, rispetto alla prima pagina di The Guardian, Le Monde, New York Times è devastante. C’è solo cronaca e per lo più nera. Non vedo nei media un impegno politico, sociale e culturale che il momento invece richiederebbe. La scrittura all’interno degli articoli è devastante, piena di errori, a volte non sono neanche riletti. Esistono per fortuna dei casi miracolosi come gli inserti La Lettura, Robison, Il Foglio, la Domenica del Sole, oppure la recentissima Lucy, scritta benissimo. Vero è che, non ci sono più i giornali che leggevo al liceo, che mi leggevo al bar felice di conoscere e scoprire la grande scrittura”.

A proposti di liceo. Hai un figlio adolescente, come si informa la sua generazione?

“Non si informa, qualcosa su X con delle cose da tre righe, senza un approfondimento. Come un eco-chamber si informa solo di ciò a cui é interessato. Non gli giungono le cose che dovrebbero arrivare, ma viene rinforzato nei suoi gusti, tipo il calcio”.

Ne sei preoccupata?

Tantissimo.   È una grande mancanza. Stiamo parlando della capacità culturale e anche empatica verso le cose, che non è data solo dalle cose che ti appassionano e rapidamente guardi, ma anche da quelle nelle quali inciampi, perché compri un certo giornale e scopri in una pagina qualcosa alla quale ti puoi affascinare e proiettare. Leggere è un’esperienza meravigliosa. È scoperta. È affascinante anche leggere una critica”.

Qual è il tuo rapporto con i social?

“Da quando esiste Instagram, noto che sia combiato il modo in cui impattano i miei libri. I social media sono molto utili. I lettori mi scrivono in maniera diretta. L’emozione dell’uscita viene replicata su una storia. Si può trasferire tutta la promozione del libro: un’intervista, un podcast, un articolo”.

Un dato mi ha impressionato, il reel Mondadorilibri sul lancio del ‘Il dolore non esiste’ ha avuto 283.000 visualizzazioni. E non solo, vero?

“Sì, ha impressionato anche me. Il secondo giorno due ore dalla mia intervista di 15 min, con Marisa Passera e Vic, da Radio Deejay, il libro era giunto terzo in classifica tra le biografie letterarie.

Non conosco i numeri di Radio Deejay, ma hai subito la sensazione della potenza di aver parlato in quella situazione familiare, calda in un modo che funziona molto bene”.

Quindi, libri devono essere scritti, ben comunicati e ben promozionati. Tu e il tuo ufficio stampa siete una macchina  da guerra?

“Non solo il mio ufficio stampa, ma anche l’ufficio stampa dell’editore e l’editore stesso.

La promozione e comunicazione sono fondamentali, non possono essere omessi. È come decidere di avere un bambino senza preoccuparsi di pianificare la sua vita, di valutare in quale asilo iscriverlo, quale scuola, quale sport, e verso quale hobby indirizzarlo. Faresti di tutto una volta che hai lavorato 4 anni per 150 pagine, affinché la cosa non risulti invisibile e sparisca in un attimo”.

Quindi un lavoro di squadra?

Sì, decisamente. Maddalena Cazzaniga, il mio ufficio stampa, sviluppa un lavoro di mappatura delle storie da raccontare, io le rafforzo. L’ufficio stampa dell’editore ci aiuta a concertare il tutto. Un lavoro strategico che si svolge nei primi 15 giorni. Il tempo di prendere l’onda, per poi surfare”.

Cosa consiglierebbe Ilaria Bernardini ad un giovane scrittore?

“Sicuramente seguire la promozione. Andare a raccontare il libro in giro, curare ogni singolo momento. Non dimentichiamo che essere pubblicati è difficilissimo, riuscirci e poi non seguire la promozione e non esser premiati nelle vendite è frustante.

A chi non ha ancora pubblicato il libro, se fosse un giovane scrittore, consiglierei di leggere molte volte la propria storia ad alta voce, per poi ridurla del 20% o forse anche 30% . Tagliare. Sempre”.

Hai mai fatto il ghost?

“Sì certo, varie volte. Per fortuna ho sempre detto sì a delle storie che mi interessavano. Ho sempre scelto di raccontare delle storie personali che mi incuriosivano, cercando sempre di trovare il modo di sintonizzarmi. Ma non lo faccio più da molti anni”.

Sei anche sceneggiatrice. Qual è la differenza tra scrivere un libro e una sceneggiatura?

“Quando scrivi un libro svolgi un lavoro solitario, per tantissimo tempo non sai se la tua storia funzionerà, non hai nessuno con cui condividerla. Nella sceneggiatura hai talmente tante persone coinvolte tutto il tempo, come i produttori, i co sceneggiatori e anche il regista, che non è molto neanche il tuo peso e metro di misura, perché comunque è un cervello comune, insomma una voce comune. E allo stesso tempo è anche un lavoro uscire dal proprio narcisismo, dalla propria idea pensando che sia la migliore. Io ho incominciato a fare cinema perché ho scritto fin da piccola. Il primo libro l’ho scritto che avevo 15 anni. Quindi l’idea di scrivere per il Cinema e per la televisione, anche condividendo con altri e non stare sola in una stanza, mi affascinava”.

Hai mai pensato, una volta terminato il film o la serie, che il tuo contributo non avrebbe voluto essere quello e che ti saresti immaginata dopotutto una cosa diversa?

“Certo. Fa parte del lavoro. Solo nei miei libri posso controllare tutto in modo ossessivo e compulsivo, dal colore del font con cui è scritto Il dolore non esiste……. a tutto. Mentre su un film, più di tanto non si può decidere, al punto tale che esiste sempre una parte di delusione o di scostamento rispetto a come tu l’avresti fatto.  E come essere in una famiglia, o nella vita di una coppia….. let’s go!”.

Il lavoro per un film che hai sentito più tuo?

“A livello di anima è stato scrivere il film con Bernardo Bertolucci. E’ stato un maestro, ma allo stesso tempo una persona simpaticissima”.

Hai mai pensato di fare la regista?

“Si, assolutamente. A volte l’attenzione con la quale entro nel dettaglio e scrivo so già che mi porterà a verificare dove si collocherà la macchina da presa, quali vestiti gli attori indosseranno, il set, la musica. È un passaggio che vorrò fare.

Passaggio suggerito anche dall’avvento dell’ AI che diventerà il futuro autore dei nostri testi?

“È uno strano momento per la scrittura, che forse andrà sempre più svanendo. Scriverò sempre, ma incomincerò a fare qualcosa anche con i miei occhi e nelle mie mani. Ne ho proprio voglia”.

Il dolore non esiste è un romanzo autobiografico, in cui Ilaria Bernardini si interroga sulla figura del padre inesistente. Tanto più fugge e tanto più manca. Ed ecco che, a Ilaria tocca inventarlo per non soccombere sotto questa assenza. Divertente l’escamotage per affrontarlo. Di petto e non solo.

Edito da Mondadori Editore nella collana scrittori italiani e stranieri.