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Unione Europea e AI: una lotta impari con USA e Cina. Gli investimenti non sono sufficienti e manca la ‘cultura’ delle startup. Eppure sarebbe davvero utile eliminare i bias anglosassoni

Europa AI
di Massimo Bolchi

Nei giorni scorsi è stato annunciato l’arrivo sul mercato di ‘Modello Italia‘ della milanese iGenius, la prima ‘ChatGpt nazionale’ che verrà rilasciata entro l’estate 2024, addestrata però solo con dataset nella nostra lingua. Il suo punto di forza, è stato spiegato, sarà quindi l’eliminazione di tutti quei bias e pregiudizi tipici della cultura anglofona su cui si basano i sistemi attualmente leader di mercato (cioè la stessa ChatGPT di OpenAI, e di Microsoft, e Gemini di Google)

Modello Italia verrà sviluppato sfruttando la capacità di calcolo del supercomputer Leonardo, il sesto più potente al mondo, gestito dal Cineca di Bologna, e sarà, a quanto è dato sapere al momento, totalmente open source. Questa Gpt italiana rappresenterà un grande sostegno per aziende, start up e Pubblica amministrazione, e rispetterà le linee guida già anticipate dell’ormai prossimo AI Act dell’Unione Europea.

Ma a questo proposito sorge spontanea una domanda: come si stanno muovendo gli altri grandi paesi europei nell’ambito dell’intelligenza artificiale, dove tutte le notizie sembrano arrivare solo da oltre oceano? Lasciamo pure da parte per il momento il Regno Unito, accomunato dalla lingua agli USA attualmente dominatori, con la Cina, in questo comparto, ma almeno la Francia, con la sua eccezione culturale che protegge(va) il settore creativo, grazie alle quote in favore delle produzioni europee e francesi, che cosa sta facendo? E non ci riferiamo qui alle minacce che l’AI porterà ai contenuti protetti (o non più?) da copyright. Vedi il recente sciopero degli autiri negli Stati UNiti. Ci limitiamo a verificare se l’AI si sta ‘verticalizzando’ in funzione della specificità geografiche e linguistiche.

La Francia è sul pezzo

In realtà in Francia l’AI non è un novità di questi ultimi tempi, quando sembra essere scaturita dal nulla per investire di sorpresa l’esistente: il ‘French National Artificial Intelligence Research Program‘ risale infatti al marzo del 2018, quando il presidente della repubblica Emmanuel Macron aveva lanciato la sua ambiziosa politica per l’intelligenza artificiale e attivato una strategia nazionale al riguardo, con un budget di un miliardo e mezzo in cinque anni per “attrarre i migliori talenti globali in questo campo e diffondere l’intelligenza artificiale nell’economia e nella società”.

Al centro di questa iniziativa sta ‘Jean Zay‘, il primo supercomputer francese in cui convergono strutture di calcolo ad alte prestazioni e AI. La sua potenza di calcolo raggiunge oltre 36,85 petaflop al secondo. Jean Zay ha già permesso la realizzazione di oltre 1.200 progetti, tra cui BLOOM, il più grande modello di ‘scienza aperta’ multilingue, con 46 lingue tra cui 20 lingue africane e 176 miliardi di parametri. Jean Zay è anche un campione dell’efficienza energetica grazie alla sua tecnologia di raffreddamento ad acqua calda di ultima generazione, la cui energia viene recuperata per riscaldare gli edifici locali della zona di Parigi Saclay, una prima assoluta in Europa su questa scala.

Nel novembre 2021 è stata lanciata una nuova fase della strategia nazionale per l’AI nell’ambito del ‘Piano Francia 2030‘, con altri 1,5 miliardi di euro di finanziamenti pubblici. Sul fronte della ricerca, questa strategia di accelerazione consente di finanziare il PEPR (Priority Research Programmes and Equipment) dedicato un all’AI embedded e all’AI ‘frugale’, all’AI decentralizzata e alla trusted AI, nonché alle matematiche dei foundation models dell’AI, nonché allo sviluppo dell’infrastruttura ‘Deepgreen‘ per il Deep Learning. Sulla carta, quindi, un ampio ventaglio di tecnologie sperimentali sulla quali lavorare.

La Germania è in ritardo

La Germania, il grande paese che ha guidato l’Europa dalla sua fondazione, è arrivata un po’ in ritardo sull’intelligenza artificiale: il Paese ha presentato la sua strategia sull’AI nel novembre 2018. Accomodata sulla sua lunga storia di essere uno dei Paesi più innovativi al mondo, se l’è oresa un po’ comoda: l’investimento previsto dal Paese per l’AI è di soli 500 milioni di dollari all’anno. Rispetto ai 6 miliardi di dollari investiti dai venture capitalist negli Stati Uniti e ai 2 miliardi di dollari di Pechino (più altri per il resto della Cina) pare volersi mettere fuori da qualsiasi seria competizione, benché i ricercatori tedeschi di AI si concentrino sulla qualità piuttosto che sulla quantità dei progetti.

La strategia tedesca sull’intelligenza artificiale propone 14 obiettivi e 12 campi d’azione. Alcuni di questi includono il rafforzamento della ricerca sull’AI, l’uso di pitch competitivi per guidare l’innovazione e l’incoraggiamento di aziende di tutte le dimensioni a utilizzare e sviluppare applicazioni di IA. Inoltre, alcuni degli obiettivi prevedono di mantenere l’attenzione dell’AI sui benefici per i cittadini tedeschi, di avere un alto livello di sicurezza informatica con le iniziative di AI e di avere una ricerca del settore legalmente ed eticamente radicata nel Paese.

Ma l’aumento dell’adozione dell’intelligenza artificiale in Germania si concentra principalmente sulle imprese tradizionali che iniziano a utilizzarla: ciò che sembra mancare, rispetto a Stati Uniti, Regno Unito e Cina, è una forte cultura di startup nel campo dell’IA.

L’Europa sta a guardare?

Il rischio che la UE si riduca al ruolo di normare l’AI è quindi più di un possibilità, vista la velocità con cui gli sviluppi dell’AI generativa si susseguono e i risultati raggiunti finora: non è un caso che le grandi aziende europee non si interessino più di tanto di chi siano i computer (spoiler: di Hewlett Packard Enterprise, per lo più) o le aziende che gestiscono l’AI. Puntare forte sul successo delle startup è qualcosa che sembra ancora lontano per gli investitori europei: ‘fallisci in fretta e riparti’ è sempre un tabù per la più parte del vecchio continente. E gli effetti, purtroppo, si vedono.