In attesa dell’edizione 2021 di WomanXImpact al via il prossimo 30 settembre, a Bologna e on line, dalla voce delle sue protagoniste il senso di un Summit made in Italy che vuole creare la community femminile più grande del mondo. Le donne non sanno fare sistema? Se vorresti rispondere sì, è il caso di ricrederti.
Perché hai deciso di diventare speaker di WomenxImpact e perché è importante che ci sia in Italia una manifestazione di questo tipo?
Quando Rossella Forlè, organizzatrice di WomenXImpact insieme a Eleonora Rocca, mi ha scritto per raccontarmi dell’evento e chiedermi se mi andava di partecipare sono rimasta sinceramente colpita dall’ambizione del progetto e dalla sua portata, ho avuto la chiara impressione si trattasse di qualcosa di grande e di importante. Un evento in grado di radunare così tante donne e così tanti profili professionali diversi, tutti legati allo stesso mondo, in Italia è senza precedenti e per me rappresenta un’occasione preziosissima di scambio.
Cosa vuoi lasciare come messaggio prioritario al pubblico che ti ascolterà?
A volte con il nostro lavoro abbiamo il grande privilegio di poter fare cultura.
Mi piacerebbe che arrivasse questo: la consapevolezza del potere che abbiamo tra le mani, e la voglia di usarlo nel modo migliore possibile.
Nel tuo specifico settore, c’è ancora bisogno di parlare di problemi legati alla parità di genere? Se sì, perché e in che modo pensi si possano trovare delle soluzioni?
Sì, oggi c’è ancora bisogno di parlare di parità di genere in pubblicità. E questa non è un’opinione personale, lo dicono i dati. In primis quelli legati alla leadership femminile nel nostro settore, che sono schiaccianti anche a livello globale. Per citare una percentuale tra le tante, secondo una ricerca realizzata da Cannes Lions insieme a Geena Davis Institute, solo il 3% della direzione creativa mondiale è donna. Il tre-per-cento. Poi c’è tutto il lavoro da fare in termini di comunicazione, dove la rappresentazione di genere è ancora stereotipata, se non svilente.
Qualcosa però si sta muovendo, anche in Italia. L’introduzione del Premio Equal nei nostri ADCI Awards, il sorgere di diverse associazioni fondate da professioniste della comunicazione, i webinar sulla Gender Equality organizzati dalle agenzie, le campagne che evidenziano problemi come il carico domestico o il pay gap, sono tutti segnali positivi di un lavoro in corso d’opera. Negli ultimi mesi sono stata contattata da quattro direttrici creative di fila. Non mi era mai successo da quando faccio questo lavoro, e credo che anche questo qualcosa voglia dire.
Il tuo maggior successo e il tuo maggior fallimento e cosa hai imparato da entrambi?
A livello professionale, penso che ogni creativo associ i suoi maggiori successi ai suoi progetti migliori. Nel mio caso, la cosa di cui sono più orgogliosa è aver firmato due tra le più rilevanti campagne italiane legate al Pride e alla Giornata Internazionale Contro l’Omofobia, per due dei miei brand preferiti in assoluto: Netflix e IKEA. Sono progetti in cui ho creduto davvero molto e che mi ha commosso vedere uscire, così come assistere alle reazioni delle persone. Se c’è una cosa che ho imparato è che non c’è niente di più bello nel nostro lavoro di fare campagne che la gente non veda solo come pubblicità.
Il mio fallimento più grande, sempre a livello professionale, è stato credere di non essere tagliata per questo mondo per i motivi sbagliati. La difficoltà maggiore per me è stata confrontarmi con lo stile di vita tossico spesso legato a questo lavoro: un lavoro che da fuori può sembrare leggero – come a noi pubblicitari piace dire ‘non salviamo vite umane’, ed è vero. Ma in molte agenzie è un prerequisito fondamentale di ogni risorsa che vuole essere considerata di valore rinunciare a weekend, pause pranzo, feste comandate, sonno, tempo libero, passioni e relazioni. Ecco, convincermi di non essere una brava creativa perché non ero disposta a rinunciare a tutto questo per amore del mio lavoro è stato qualcosa con cui ho dovuto fare i conti, nel tempo. Oggi so che posso amare il mio lavoro senza rinunciare alla mia vita privata, dare tutta me stessa a livello professionale senza arrivare a livelli di stress tali da farmi vivere dei veri e propri attacchi di panico, chiusa nei bagni dell’agenzia. Si può fare bene e stare bene. Ora lo so.
Chi è Camilla Vanzulli
Dopo una laurea in Filosofia e un master in Pubblicità conseguito presso l’Istituto Europeo di Design a Milano, Camilla inizia la sua carriera come Copywriter in Publicis. Nel 2014 entra in WE ARE SOCIAL, dove oggi è Senior Creative. Nei suoi sette anni di esperienza ha lavorato per clienti nazionali e internazionali come Heineken, Netflix e IKEA, ricevendo riconoscimenti di settore e partecipando a diverse competizioni anche in qualità di giurata.