Ritieni che sia cambiato il senso dell’essere Chief Marketing Officer oggi. Se sì come e in che modo, se no, perché?
Penso che continui ad essere uno dei lavori più belli del mondo. Il Cmo è il vero e proprio guardiano dei valori del brand che gestisce, deve essere in grado di guidare le scelte di tutti i dipartimenti in una direzione condivisa e coerente. Sempre di più i brand devono mostrare la propria natura, quello in cui credono e impegnarsi con iniziative concrete che vanno ben oltre le attività di Marketing.
Tra le diverse leve che compongono il marketing della tua marca, che gerarchia senti di poter esprimere, cosa sale e cosa scende rispetto a quello che fu? E come immagini sarà nel prossimo futuro?
Prima di tutto deve essere chiaro il perché un Brand esiste e qual è la sua missione. Ho la responsabilità di un brand come Plasmon che da oltre 120 anni è vicino ai genitori italiani in uno dei momenti più belli e allo stesso tempo più delicati della loro vita. Ogni giorno cerchiamo di capire quali siano le esigenze concrete dei genitori e proviamo ad offrire una gamma di prodotti che possano aiutarli, rassicurarli che stanno facendo la cosa giusta e perché no, che li ispirino anche a trovare nuovi modi di interagire con i propri bambini.
Il ruolo della comunicazione?
Il ruolo della comunicazione è sempre di più quello di coinvolgere le persone. Creare una relazione a due vie è diventato fondamentale. I brand devono capire i reali bisogni delle persone e riuscire a creare un rapporto di fiducia. Noi parliamo a genitori millenials alle prese con i propri figli appena nati, carichi di dubbi e con molteplici fonti di informazione. Il digital permette tutto questo, permette ai brand di diventare “uno di noi” e di potersi confrontare e di dare risposte concrete.
Quanto investirai in comunicazione il prossimo anno. Come, in che direzione, con quali obiettivi? La definisci costo o investimento?
Investiremo più dell’anno scorso e in modo diverso. Per stimolare questa relazione a due vie dobbiamo andare dove i genitori hanno voglia di confrontarsi, condividere le proprie esperienze e perché no, trovare anche un momento di svago in cui possono prendersi meno sul serio. Abbiamo voluto prendere una posizione forte con il nostro nuovo manifesto, nel quale mostriamo perché crediamo fortemente che ci sia bisogno di tutto un paese per crescere le future generazioni. Intorno alla nascita di un bambino c’è l’impegno di mamma e papà, delle loro famiglie e il sudore di tante altre persone che provvedono alla sua salute, alla sua nutrizione, al suo apprendimento e a consegnargli un mondo migliore nel futuro.
Cosa vuoi dai tuoi partner di comunicazione, come li scegli?
Hai usato la parola giusta: partner. Non cerchiamo agenzie, ma cerchiamo persone che sappiano calarsi a pieno nella marca e che diventino un’estensione naturale del team marketing.
Cerchiamo trasparenza, un rapporto di fiducia e la proattività. Sempre più importante in un mondo così veloce sapersi reinventare e stimolare le aziende a non accontentarsi.
Il valore della creatività oggi?
La creatività è fondamentale. Lo spunto creativo genera quell’emozione che ti fa fermare qualunque cosa tu stia facendo per capire, per approfondire quello che sta succedendo. La creatività però non è tutto, se è slegata dalla sostanza e dai valori che il brand sta portando svanirà altrettanto velocemente e non sarà in grado di lasciare il segno.
Il senso della coerenza nello sviluppo della propria marca?
La coerenza è spesso sottovalutata, si tende a cercare sempre cose nuove e a provare a sorprendere a tutti i costi. Ci si dimentica spesso come le persone siano bombardate da diversi messaggi e da tantissimi brand che provano ad emergere. Mantenere un’identità e ricercare la semplicità alla lunga paga e aiuta a sedimentare un messaggio, ad arricchirlo e alla fine a farlo proprio.
Il peso di dati, numeri e risultati?
I dati sono fondamentali per capire se il messaggio sta arrivando alle persone, se sta generando un’interazione e se è in grado di costruire positivamente sugli attributi di una marca.
E’ fondamentale fissarsi degli obiettivi chiari con cui potersi misurare costantemente e che possano guidare le scelte. Soprattutto sul digital si possono prendere decisioni fondamentali nel momento in cui si è live con una campagna, si può decidere di spostare investimenti su contenuti che si dimostrano essere più rilevanti.
Il valore della modernità in comunicazione. Dagli influencer ai social, perché si deve o perché funziona?
Si deve perché sono oggi una fonte di informazione per le persone. Gli influencer che hanno saputo creare una community negli ultimi anni sono diventati quasi dei compagni di vita digitali, di cui le persone si fidano, in cui le persone trovano un punto di confronto che possa aiutarle a non sentirsi soli in alcuni momenti di difficoltà o anche solo per trovare un momento di evasione o svago in una giornata.
Mi sono dovuto ricredere rispetto a qualche hanno fa, ero molto più scettico sul mondo degli influencer. Ci sono ancora due categorie ben distinte e noi cerchiamo di rivolgerci solo a chi crede nel brand e chi si sente di condividere in maniera spontanea i valori del nostro brand. Non crediamo nel placement di prodotto fine a se stesso ma nell’utilizzo degli influencer come amplificatori (a modo loro) del nostro messaggio, che si sentono di condividere.
Quanto il tuo ruolo e quello del Ceo si confrontano e quanto le decisioni di comunicazione vengono vissute come strategiche, quindi condivise?
Ci confrontiamo ogni settimana e durante le campagne, quotidianamente. Le scelte di brand hanno un impatto concreto su tutta l’azienda. Ad esempio la forte scelta di Plasmon di investire sulla filiera italiana ha un impatto su tutte i dipartimenti, dal Marketing fino alla Supply chain e al Procurement. La scelta di mantenere una produzione locale e ricercare ogni giorno i migliori fornitori italiani ci fa orientare al medio lungo termine per un futuro più sostenibile a 360 gradi. Dobbiamo coinvolgere tutta l’azienda in questo perché il miglior modo perché tutto quello che facciamo possa arrivare alle persone è far sì che tutti noi diventiamo i primi ambassador del brand.
Nel rapporto con i partner di comunicazione, ritieni abbiano ancora senso gare e brief?
Il brief è la cosa più importante, a prescindere dalle gare. Solo con un brief chiaro si può mettere l’agenzia nelle condizioni di lavorare al meglio. Ci dedichiamo tanto tempo e molto spesso facciamo delle sessioni interne in cui verifichiamo la solidità e coerenza del brief. Il brief ideale dovrebbe poi essere riassumibile in una frase che racchiude il ‘one single message’ che vogliamo che rimanga nella mente di chi vedrà il lavoro creativo.
La gara aggiunge quel pepe in più che porta agenzie con le quali si collabora da tempo a tirare fuori il massimo e se necessario anche a reinventarsi.
La tua qualità migliore?
Penso la mia qualità migliore sia l’entusiasmo che deriva dalla passione per il lavoro che faccio. Cerco sempre di prendere le nuove sfide come un’opportunità, sono ottimista e penso che anche dai momenti più difficili ci sia da imparare.
Sono fortunato perché nella nostra realtà ho avuto modo di prendere rischi, di sbagliare, di poter imparare e ripartire ancora più motivato di prima. Ritengo sia molto più pericoloso rimanere nella propria comfort zone e fare le cose come si è sempre fatto, piuttosto che prendersi la responsbilità di mettere in discussione anche alcune delle proprie idee.
La campagna perfetta?
Leggendo la domanda mi è subito venuta in mente la campagna di Nike con Colin Kaepernick. Una forte presa di posizione del brand, che ha generato un confronto a volte arrivando a polarizzare l’opinione pubblica. Penso che la campagna perfetta debba avere questi ingredienti e debba trattare un argomento estremamente rilevante e continuare a costruire sul posizionamento del brand.