Interactive

Sir Tim Berners-Lee al WMF di Rimini: “Tornare al web come era nel 1989. Nel frattempo cercate di rivelare il meno possible quando parlate con ChatGPT”

Sir Tim Berners Lee

Venerdì 16 giugno, nell’ambito dell’evento ‘We Make Future’ alla Fiera di Rimini, si è tenuto un evento che ha richiamato un pubblico ‘strabocchevole’, che ha ecceduto i pur numerosi posti sedere previsti: l’intervento (in presenza, è opportuno sottolinearlo, vista le tante video conferenze che la fanno da padrone in occasioni simili) di Sir Timothy John Berners-Lee.

Lo scienziato – colui che ha inventato il World Wide Web come lo conosciamo oggi – non si è limitato a fare una pur apprezzabile rivisitazione storica della concezione e della successiva evoluzione del www, ma è entrato con tutti e due i piedi nel piatto, come affermano i francesi, esaminando quelle che – a suo parere – sono tre delle principali minacce attuali all’internet.

“All’inizio eravamo – si sta parlando del Cern di Ginevra, ndr – entusiasti perché il web avrebbe consentito a tutti di esprimersi“, ha evidenziato Sir Tim, ma oggi abbiamo davanti sfide epocali che possono mettere questa stessa libertà a rischio. Anzi, in molti paesi del mondo, questa libertà non è più considerata tale, per ragioni politiche o economiche (basti pensare a quello che stanno diventando i social media, americani o cinesi che siano)”.

In effetti, è sufficiente riflettere sul numero incommensurabile di persone che, per superficialità e comodità, come in Occidente, o perché non hanno possibilità di scelta, come in Cina con le telecamere e riconoscimento facciale, sono disponibili a cedere tutti i loro dati ai walled garden, da Google a Facebook, da Instagram a TikTok, per essere assaliti dallo sconforto.

Come è noto, la posizione dell’inventore del web è molto critica circa la proprietà e il salvataggio dei dati dell’utente da parte delle aziende, e si batte per riportare il World Wide Web a come era stato ideato nel 1989. Ha perfino lanciato nel 2018 il progetto ‘Solid’, che mira a dare agli utenti un maggiore controllo sui loro dati personali e permette loro di scegliere dove vanno a finire i dati, chi può vedere certi elementi e quali app possono vedere quei dati. Ma qui la situazione si spostata decisamente oltre.

Da un lato per le difficoltà tecnologiche connesse ad attivare un protezione efficace dei dati sensibili: “La blockchain non funziona”, ha affermato. “È complessa, lenta e invece di impedire la divulgazione dei dati, li rende disponibili su centinaia di server per garantirne l’immutabilità”.

Dall’altro per l’ingresso in campo dell’AI che, per ora, ma prevedere il futuro è improbo, può essere considerata una minaccia per due ragioni principali: la prima è relativa ai dati che sono stati utilizzati, e che verranno utilizzati in futuro, per alimentarla e svilupparla; la seconda è quella dei deep fake. Non che questo problema sia connesso all’AI – esisteva anche prima – ma l’AI sta permettendo di scrivere testi, produrre immagini e registrare filmati di una qualità senza precedenti, in una quantità tale da permettere ai bot appositi una distribuzione senza precedenti, indirizzata e personalizzata sulle caratteristiche personali capaci di profilare ogni destinatario.

Tutti queste sfide sono ricche di potenziali grandi pericolosità, e l’Unione Europea – con GDPR e con il prossimo AI Act – sta cercando di porvi rimedio, con il necessario aggravio dei costi e delle formalità burocratiche per le aziende ligie al regolamento. Ma l’EU è solo una frazione del mondo e nel resto del globo le cose sono ben diverse.

“Nel frattempo”, è stata la la conclusione di Sir Tim, “cercate di dire il meno possibile quando parlate con Chat GPT. Ogni informazione che rivelate può essere usata ‘contro di voi’… dall’AI”.