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L’emergenza Coronavirus scatena la corsa allo smart working da parte delle grandi aziende

Parlando del Coronavirus, è difficile separare le cause – il timore di un diffusione epidemica – dagli effetti – il decreto del Governo che semplifica gli adempimenti per le aziende che intendono ricorrere al telelavoro, o meglio, in milanese moderno (ci si passi la bonaria presa in giro), lo ‘smart working

Non che questo rappresenti un novità per le aziende più avanzate, strutture come Microsoft ad esempio nella sua sede in viale Pasubio non possiede neppure scrivanie sufficienti per tutti i dipendenti, e ha un software per la localizzazione temporanea di tutti i presenti, ma sono ancora parecchie le aziende, di tutte le dimensioni, che non consentono ancora questa forma di lavoro al proprio personale.

Sulla Gazzetta Ufficiale di ieri è stato pubblicato il decreto del 23 febbraio 2020 per facilitare l’avvio di tali pratiche subito, senza i vincoli aziendali in genere previsti in questi casi, dall’accordo preventivo con i sindacati alle altre regole previste dalla burocrazia non solo aziendale.

Non è la prima volta che ciò accede, viene in mente il Ponte Morandi, ma è un fatto che da oggi per le aziende è più semplice chiedere ai propri dipendenti, almeno in parte, di lavorare da remoto, da case nel 99% dei casi, per evitare assembramenti e possibilità di contagio nel tragitto tra la propria abitazione e il posto di lavoro.

Al di là dell’impennata di questi giorni, data dalla contingenza, e nonostante la sua adozione porti risultati positivi e documentati, c’è ancora molto scetticismo su questa modalità di lavoro. La mancanza di fiducia costa cara sia all’azienda sia ai lavoratori. Eppure vi sono ricerche che mostrano quanto il beneficio sia percepito a tutti i livelli.

Una ricerca della società Variazioni ha mostrato che, analizzando un campione complessivo di 12mila lavoratori in smart working di imprese italiane, piccole, medie, grandi, private o pubbliche che siano, in un periodo che va dal 2015 al 2019, emerge la mancanza di fiducia verso il lavoro agile. L’indagine rivela, infatti, che l’applicazione di un’organizzazione smart di poco più di 3 giorni al mese, su un’azienda di almeno 100 dipendenti può far risparmiare all’azienda oltre 200 mila euro all’anno (250 all’anno per lavoratore) tra buoni pasto, indennità di trasferta e altro. Ma non sono solo gli aspetti economici che entrano in gioco: più del 95% dei dirigenti, ad esempio, ha dichiarato che la produttività aumenta e che tutti gli obiettivi sono stati raggiunti dai lavoratori smart, mentre, dal conto loro, l’81% dei lavoratori smart ha dichiarato che aumenta la concentrazione e il lavoro di team diventa più efficiente.

Soddisfazione che è ancora più evidente quando, come è il caso nella Regione Lombardia, la sospensione della attività scolastiche lascia i genitori ‘scoperti’, a meno di nonni disponibili o costose babysitter, durante le ore della giornata normalmente occupate dalla scuola.

In genere lo smart working, implementato da aziende che hanno accettato questa filosofia, viene svolto con l’utilizzo di device aziendali, e l’architettura informatica e di TLC è già predisposta per funzionare al meglio. Ma in casi di emergenza può rendersi necessario permettere l’utilizzo ai dipendenti che, come nel caso attuale, si trovano a lavorare da remoto in seguito a provvedimenti delle autorità. In questi caso i propri device (pc, tablet e smartphone) si trovano a dover poter eccedere ‘dall’esterno’ ai dati aziendali. Si ricorre allora a VPN attivabili in tempi rapidi, cioè piccoli software direttamente scaricabili sul proprio pc, oppure si adottano altri applicativi: piattaforme di condivisione dei dati (come Office 365, oppure Google suite o Microsoft team), che consentono in generale di condividere documenti, gestire e-mail, conference call a distanza, lavorare a quattro mani.

Lo Smart Working agisce, di fatto, come un abilitatore dell’innovazione, generando valore per l’azienda e per le persone. Resistere all’innovazione, in questo senso, equivale a produrre costi non necessari.

Ed ecco quindi che, per citare solo le misure adottate dalla grandi corporation, Unicredit non ha chiuso gli uffici della ‘ torre’ di Milano, ma ha offerto ai dipendenti la possibilità del telelavoro da casa; Intesa SanPaolo e Banco BPM hanno offerto la possibilità di lavoro agile.

Anche Zurich ha chiesto di lavorare in smart working ai dipendenti di Milano, Brescia, Modena, Rimini, Padova e Torino, mentre Enel, Eni, Saipem hanno disposto lavoro da remoto ‘fino a data da destinarsi’ per tutti i colleghi che lavorano o hanno residenza in uno dei comuni ‘interessati da ordinanze pubbliche’ relative al coronavirus. Snam, per tutta la settimana, ha attuato lo smart working per oltre mille dipendenti. Questi sono solo alcuni degli esempi possibili. Potrebbero essere di più, ma la mancanza di fiducia o l’incapacità di dotarsi di strumenti di valutazione della produttività diversi dal controllo legato alla vidimazione del badge frena ancora troppe aziende.

Che sia la volta buona per un ‘liberi tutti’ provvidenziale? Ex malo bonum, scriveva Sant’Agostino

Massimo Bolchi