Interactive

Due anni cruciali per l’implementazione della digital transformation

Proviamo a descrivere, guardando in avanti, lo scenario dell’innovazione possibile, quella che sarà nei fatti, nella comunicazione e nel marketing delle imprese nei prossimi due anni. Ovviamente una panoramica a dieci anni data sarebbe maggiormente suggestiva, dando la possibilità di disegnare un futuro popolato da tutti i classici paradigmi, dai robot umanoidi alle macchine che si fanno carico di tutti i “menial task”, lasciando più tempo all’uomo di dedicarsi alle attività superiori, quelle che richiedono capacità deduttive, inferienziali, creative.

Ma un momento: che cos’è se non una macchina di questo tipo l’assistente vocale che risponde alle più svariate domande, si interfaccia con l’agenda per inserire i nuovi impegni, cerca un numero di telefono o ti legge le ultime notizie? E i droni, le vetture a guida autonoma, o gli impianti industriali privi di addetti alla produzione, con solamente pochi supervisori tecnici? Perché in effetti la digital transformation, di cui si parla da anni, è non solo in atto a tutti i livelli, ma questi anni, da oggi fino al 2021, sono cruciali per la sua implementazione completa (o quasi) nelle aziende. D’altra parte, un sondaggio effettuato a livello globale tra i senior executive delle aziende, per lo meno di quelle che fanno parte del mondo occidentale, se vogliamo allargato anche alla Cina, ha riconosciuto che la tecnologia digitale sta cambiando ruolo, passando dall’essere impiegata per crescere l’efficienza marginale dei processi a diventare elemento catartico dell’innovazione e della disruption.

Non solo, ma l’elemento tempo diventa essenziale, perché per l’85% degli interrogati ci sono due anni da sfruttare per usufruire della finestra di opportunità, e per un 50% rischiamo di arrivare tardi. Ma tardi per che cosa? La data del 2021 non ha un vero significato in termini di calendario, eppure due anni sono un’indicazione cogente, presa molto sul serio da chi con la continua evoluzione della tecnologia, dei media e dei consumatori è costretto a fare i conti quotidianamente: dopotutto siamo già entrati nella “Era dell’Aiuto” (Age of Assistance) come Google l’ha battezzata già un anno fa.

Proviamo allora a sbilanciarci un po’ e ad esaminare gli ambiti più promettenti in questo percorso verso il futuro.
Intelligenza artificiale e assistenti vocali innanzitutto, perché strettamente legati tra loro, in termini di autoapprendimento e di servizi offerti. Gli assistenti vocali imparano dalle migliaia di richieste che vengono loro rivolte degli utenti (la lingua però rimane un elemento differenziante). È solo una questione di tempo prima che siano in grado di rispondere a richieste più complesse e di fornire insight sempre più raffinati, oltre che stabilire forme di collaborazione orizzontale tra loro, anche di produttori diversi. Per non parlare della sinergia tra terminale mobile e assistente, ormai di fatto uno standard che attende solo una maggiore diffusione tra gli utenti, essendo offerta gratuitamente da tutti i principali fornitori di smartphone (Android, Amazon e Apple, per citare solo i mercati occidentali – questa volta in senso proprio). Ma gli assistenti non sono l’unica applicazione dell’IA (o del machine learning ai livelli più bassi): nel digital marketing è già utilizzata per analizzare la montagna di dati disponibili per estrarne le indicazioni utili da applicare nei più diversi comparti, dal programmatic all’ideazione delle campagne. E soprattutto, in perfetta ottica da Era dell’Aiuto, per consegnare al consumatore quelle esperienze di Brand sempre più valutate. In attesa della definitiva affermazione dei chatbot, che ormai sono quasi irriconoscibili rispetto agli umani (un altro problema in arrivo).

L’Intelligenza Artificiale non ha ancora raggiunto le forme inquietanti degli androidi, ma la presenza di veicoli a guida autonoma e di droni delle dimensioni di un caccia dimostrano che non è per mancanza di capacità che questo è avvenuto.

Un altro comparto dove si attendono evoluzioni rapide è quello della blockchain: non più solo cryptovalute, ma un utilizzo diffuso in qualsiasi industry, dalla prevenzione delle frodi alla certificazione delle transazioni, con un occhio particolare al mondo B2B.

Probabilmente la tecnologia che ha maggiori potenzialità, tuttavia, è quella del Quantum Computing. Qui la misura temporale in gioco è ben più ampia di quella citata in precedenza, si parla di parecchi anni. Ma anche di una vera rivoluzione promessa per una serie di settori verticali che potrebbero andare dalla gestione delle risorse pubbliche alle attività di marketing one-to-one, a quelle dalla Virtual Reality.

IBM offre a chiunque l’accesso ad un processore quantistico a 5 qubit. Mentre il gigante della tecnologia lavora ad un computer con decine di qubit, sta mettendo online il suo chip più piccolo: è possibile programmare il chip di IBM utilizzando un servizio web chiamato Composer, così chiamato perché l’interfaccia assomiglia a una partitura musicale. I tutorial spiegano come trascinare e rilasciare diverse porte logiche quantistiche per creare un algoritmo, che può poi essere eseguito sul chip fisico del laboratorio di IBM. E Google sta lavorando su un computer a 72 qubit. Parafrasando la celebra frase di Armstrong: “Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità”. O per lo meno per l’industria dello 0-1.