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La morte del secondo me. Che non sia l’inizio della fine? Insomma, siamo così certi che i dati battano l’esperienza, che gli algoritmi sostituendosi all’istinto creino valore, che la ricerca di certezze e misurazioni non censuri a priori la necessità di osare? Sergio Rodriguez dà la sua versione

“Quanto vale l’opinione di un direttore creativo? Ma soprattutto: quanto vale la sua raccomandazione personale nel momento in cui si scontra con il sistema diagnostico del cliente?

I reparti marketing di oggi, evangelizzati dalla Consulenza, sono dotati di ogni strumento di analisi, di misurazione e quindi di scetticismo preventivo per smontare la suddetta idea in una miriade di dubbi, chiarimenti, validazioni, di ‘yes, but’.

Non è un tema da poco, perché in ballo c’è anche il mantenimento o meno di alcuni aspetti ‘carismatici’ del mestiere creativo tra cui l’artigianalità, la soggettività della bellezza, la fiducia nel proprio istinto, il dovere di osare, una certa forma mentis da condottiero ibrido, mezzo Garibaldi mezzo Chatwin.

E’un bel paradosso.

Tu puoi aver lavorato in tutto il mondo, aver risolto rogne apparentemente inestricabili con la forza delle tue idee, aver trasformato prodotti imbarazzanti in perle del portfolio, aver portato risultati e benefici alla carriera del tuo cliente, aver sedimentato una marca nell’immaginario popolare. Per poi sentirti dire che la tua opinione, in un contesto misurabile, vale quello che vale. Cioè uno.

Di sicuro l’esperienza non genera più ammirazione. E’ un po’ fuori moda nel nostro mondo.

La somma delle scelte fatte, dei rischi presi, dei problemi risolti, delle bombe disinnescate, messe su un piatto della bilancia si trovano nella parte sollevata. Non in quella che pesa di più.

Già perchè oggi la validazione di una qualunque forma di ispirazione deve passare attraverso il conforto numerico dei dati. Non è mandatory, intendiamoci, ma fa figo di brutto.

Istinto vs Dati, ma allora la guerra dei mondi è prossima a scoppiare?

Nell’attesa che qualcuno prema o non prema quel bottone io mi sento di dire, questo è un genere di guerra che non decreta vincitori. E aggiungo. Spero non si ripeta la disfida degli Ego che furoreggiò nei primi anni 2000 tra i Guru risentiti dell’Old School contro quelli elitari del Digital. Lasciò macerie e divisioni allora, ne produrrebbe ancora oggi.

E’ come se non lo volessimo capire.

A ogni trasformazione tecnologica accade sempre la stessa cosa: non sono le idee a cambiare, ma gli occhi di chi le guarda. E oggi, volente o nolente, hanno tutti gli occhi puntati dalla stessa parte: verso il basso.

Verso il piccolo indispensabile schermo che tengono sulle gambe in metropolitana, o tra le mani mentre fanno la spesa. Tutti a guardare in giù, con delle curiose propaggini bianche che spuntano dai lobi, giusto per isolarsi ancora di più nel loro mondo.

Un messaggio parlerà sempre al cuore, o al cervello, o alla pancia. Cercherà di renderti desiderabile un prodotto, una marca, un servizio. Lo farà con un linguaggio adeguato ai tempi e alle mutate sensibilità. Questo non cambierà.

Ma è come guardi quelle parole, quel video, quella confessione che spariglia le carte sul tavolo.

Il processo creativo seguirà sempre lo stesso journey: dal momento in cui ti viene in mente un’idea al momento in cui la metti giù.

Ma cambia il flusso di considerazione in cui deve farsi largo. La chiamano Economia dell’Attenzione, altri della Distrazione. Boh, si mettano d’accordo.

E’ interessante capire che chi si nutre di connessione perenne, lascia un’aura di dati che ci può fare luce nelle tre tappe fondamentali della genesi di un’idea: come costruirla, come venderla, come diffonderla.

La gelosia integralista verso il proprio personale punto di vista è archeologia industriale.  In questo contesto, non è più un punto di forza.

Ripartiamo dalla Curiosità. Troviamo un terreno di incontro che dia al nudo dato un vestito di inoppugnabile bellezza, e alla nostra opinione un avvocato difensore.

Dialogando con chi si occupa di questa disciplina, capisci quanto sia importante scoprire le anomalie tra il dire e il fare di chi ci interessa intercettare.

Esempio.

Non tutto ciò che viene dichiarato in un’intervista fuori da un supermercato coincide poi coi reali comportamenti di acquisto. Si fatica a confessare le proprie fragilità anche  al più bravo intervistatore. Un social listening accurato, invece, può intuire il vero bisogno umano dietro, ad esempio, l’ acquisto di un certo tipo di cioccolato il lunedì.  E’ un dato che ci indica un’ipotesi creativa circa il suo ruolo consolatorio per tutta la settimana, una specie di risarcimento danni preventivo.

Ricordate il film Minority Report?

E’ il rapporto di minoranza che fa luce su un caso, non la mappatura standard di tutte le informazioni possibili.

Un buon dato, smerigliato da una mente acuta, può dare molto al valore creativo.

Nessun adolescente al mondo dichiarerà mai di voler indossare i vestiti dei genitori, ma se spulci nel  loro sentiment verso le  marche life-style italiane degli anni 70 e 80, scopri l’esatto opposto: indossare un capo che ha 40 anni di storia ti dà una patente di autenticità.

Una scoperta che dà alla formulazione di un’opinione, un peso ben diverso. Anche perchè alla domanda: “Come mai questa idea dovrebbe essere ownable dalla nostra marca?” finalmente si potrà rispondere: “Non  lo dico solo io,  lo dicono anche  loro”.

Il mestiere del direttore creativo diventerà sempre di più quello del Mediatore Culturale tra questi due mondi, in apparenza distanti tra loro, ma in realtà profondamenti dipendenti l’uno dall’altro.

Saremo sempre pagati per offrire la nostra opinione sincera e ponderata. E forse questo momento storico è il più proficuo per riuscirci.

E’ morto un secondo me, ne nasce un altro più forte di prima. Tutto questo, ovviamente, secondo me”.

Sergio Rodriguez, presidente esecutivo WUNDERMAN THOMPSON.