Il Centro studi UNA – Aziende della Comunicazione Unite – presenta oggi il rapporto sul mercato del lavoro nel settore della comunicazione italiana realizzato su iniziativa di Davide Baldi, Ceo & Founder DUDE, in collaborazione con Fondazione Rodolfo Debenedetti. Oggetto d’analisi sono le società di comunicazione attive in Italia ovvero tutte quelle realtà che offrono consulenza creativo/strategica (le agenzie creative, digital e social), che si occupano di realizzazione e produzione (case di produzione audio, video, stampa, digital) e di pianificazione media, pubbliche relazioni, listening, social.
Obiettivo dello studio era raccogliere informazioni sulle caratteristiche e l’evoluzione del settore delle società di comunicazione in Italia, e sulla struttura dell’occupazione da loro generata oltre a valorizzare il contributo di questo settore nello scenario economico nazionale.
Un mercato che cresce, giovane e eterogeneo
In linea generale le previsioni per il 2019 stimano una crescita del settore della comunicazione di circa il 6%, in linea con l’anno precedente e decisamente superiore alla crescita media del mercato dei servizi (+2%[1]) e del PIL nazionale (+0,3%[2]).
Una evidenza che emerge dallo studio è la natura giovane del comparto. La maggior parte delle società di comunicazione in Italia sono nate in anni recenti – il 62% nate dopo il 2000, il 28% dopo il 2010 – presumibilmente per effetto del boom creato dall’era digitale e hanno sede nel Nord Italia, in particolare a Milano.
Il settore appare polarizzato tra una moltitudine di piccole società indipendenti (95% del campione) e pochi grandi attori, spesso appartenenti a network internazionali, che tuttavia da soli totalizzano oltre il 60% del fatturato complessivo. Nel dettaglio, il settore della comunicazione italiana appare formato per lo più da Micro e Piccole imprese, che insieme rappresentano ben l’89% del campione. Il 42% delle imprese intervistate dichiara un fatturato inferiore al milione di euro (convenzionalmente definite Micro imprese), mentre il 48% non supera i 10 milioni di euro (Piccole imprese).
Altra caratteristica del mondo della comunicazione è l’eterogeneità. Entrano, infatti, a fare parte della industry società che operano in diversi ambiti all’interno del settore: prendendo in esame la leva del fatturato il 32% opera nel settore della progettazione strategica e creatività pura, il 18% nella produzione (di audio/video, grafica o eventi), mentre le attività sui Social Media, nel settore Digital e in attività di comunicazione btl rappresentato tutte una quota equivalente dell’11%. Le restanti attività si dividono tra media planning (8%), PR e media relations (7%).
Largo a giovani e donne anche se il gender gap nelle posizioni apicali rimane una questione aperta
Anche in termini occupazionali il settore mostra un andamento positivo. Dai dati raccolti, risulta un turnover annuale positivo (assunzioni/forza lavoro) pari al 12% e un turnover annuale negativo (cessazioni/forza lavoro) pari a -7%. Per il 2018 si registra, quindi, un saldo positivo pari al 5%, che si traduce in un aumento dell’organico totale del settore. Tale saldo positivo sostiene la crescita del settore, in linea con le previsioni di crescita complessiva del fatturato.
Il settore è caratterizzato da un’occupazione molto giovane e da una forte presenza femminile. Gli occupati con un’età compresa tra i 15 e i 34 anni sono il 47% del totale (rispetto a una media nazionale del 23% mentre le donne rappresentano il 65% della forza lavoro, percentuale che rimane stabile in pressoché tutte le fasce di età. Si tratta chiaramente di una peculiarità di questo settore, che lo differenzia sia dal mercato del lavoro italiano nel suo complesso, nel quale la quota di donne tra gli occupati è pari solo al 42%, sia al solo mercato dei servizi, dove le donne sono il 47%. Tuttavia, un forte divario di genere emerge proprio confrontando la percentuale media di donne tra tutti gli occupati del settore con quella nelle posizioni apicali delle società. Tra i dirigenti, infatti, la quota di donne scende drasticamente di ben 30 punti percentuali al di sotto della media di settore (passando da 66% a 36%). Tale sotto-rappresentazione delle donne è molto più pronunciata nelle società di comunicazione che nel resto del settore servizi. Viceversa, se si prendono in esame i livelli di inquadramento più bassi, il genere femminile è fortemente sovra-rappresentate. Il settore si dimostra, quindi, caratterizzato da una forte disparità di genere nella probabilità di accesso ai livelli di inquadramento più elevati e, di conseguenza, alle posizioni apicali all’interno delle aziende.
La presenza di occupati stranieri è invece molto ridotta – pari solo al 4% – e inferiore alla media nazionale (11%). Solo nelle società indipendenti con filiali all’estero la presenza di occupati stranieri sale al 9%, restando comunque al di sotto della media nazionale.
Contratti e qualità del posto di lavoro
Lo studio evidenzia che il 64% del personale è assunto con contratto a tempo indeterminato, mentre il restante 36% con una varietà di contratti flessibili a termine e/o autonomi. Ad essi, si aggiunge un 21% addizionale di “freelance occasionali”. Le società adottano, quindi, una struttura organizzativa flessibile per adattarsi rapidamente a variazioni di domanda, utile anche come potenziale bacino di reclutamento.
L’intero settore si caratterizza per una forte flessibilità anche in termini di orario di lavoro. Il 26% delle società intervistate alla domanda su quale sia l’orario tipico di ingresso e uscita dal posto di lavoro, dichiara esplicitamente di non avere alcun orario standard. Il dato sembra ulteriormente confermato dalle risposte alla domanda su quali strumenti vengano utilizzati per rilevare presenze e orari del personale. Nel 36% delle aziende, infatti, non viene applicata alcuna rilevazione. Un altro indicatore rivelatore di una gestione di tempi lavorativi improntata alla flessibilità è l’elevata incidenza dello smartworking: il 52% del campione dichiara, infatti, di ricorrere a tale strumento. In media, in tali società, usufruisce dello smartworking il 48% dei lavoratori dipendenti. Nel 75% dei casi si tratta di uno o due giorni a settimana, ma è presente anche una quota di aziende in cui è consentito 5 giorni a settimana (il 16%).
Analizzando, invece, i benefit aziendali previsti dalle società intervistate, quelli in assoluto più diffusi si confermano il telefono (62%) e il computer aziendali (60%), seguiti dai buoni pasto (42%). Seguono l’auto aziendale (29%) e l’assicurazione sanitaria (22%), importante spazio viene dato anche alla cura personale del dipendente attraverso servizi educational (18%) o benefit inerenti palestra o sport (10%) o agevolazioni per la nascita dei figli (10%). Altro tema di grande interesse è la questione dei bonus o premi di produzione previsto da ben il 78% dei rispondenti.
“Poter lavorare su questo studio è stato assolutamente illuminante. Uno degli obiettivi principali dell’Associazione è poter fornire agli associati e al mercato un quadro chiaro del mercato al fine di istituire delle linee guida e azioni concrete per migliorare il contesto, attrarre talenti e incrementare il peso del nostro settore all’interno dell’ecosistema economico nazionale”, commenta nella nota Marianna Ghirlanda, Responsabile Centro Studi UNA. “Questo report mette in luce moltissimi lati positivi della nostra industry così come le sue ombre ed è proprio da qui che bisogna partire e agire”.
Il Rapporto completo è scaricabile dall’homepage del sito UNA – Aziende della Comunicazione Unite.
Hanno partecipato alla stesura del questionario dell’indagine, all’elaborazione dei dati e alla redazione del rapporto:
Marianna Ghirlanda – Responsabile del Centro Studi UNA e CEO DLVBBDO
Davide Baldi – Ceo & Founder, DUDE
Paola Monti – Research Coordinator, Fondazione Rodolfo Debenedetti
Stefano Del Frate – Direttore Generale UNA
[1] Rapporto sulla competitività dei settori produttivi. Edizione 2019. Istat
[2] Le prospettive per l’economia italiana per il 2019”, Istat (2019)