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Helping is the new selling, le 3 Regole d’Oro ai tempi del Covid-19 secondo il Ceo, l’Ecd e l’Head of strategy di VMLY&R Italy

Covid Paper Italia – VMLY&R (se vuoi scaricare l’articolo clicca il link)

L’isolamento al quale siamo stati costretti dal Corona Virus sta limitando i nostri contatti umani ma, a quanto pare, non quelli con i brand.

Al di là di alcune categorie merceologiche penalizzate per definizione dal dato di fatto che tutto il mondo #RESTAACASA, i consumi proseguono; in certi casi aumentano. Esattamente come prosegue il dialogo con i brand che da sempre si gioca attraverso la comunicazione e l’advertising.

Una ricerca Kantar pubblicata in questi giorni ci segnala che solo l’8% dei consumatori si aspetta che i brand smettano di fare pubblicità in tempi di Corona Virus.

E d’altro canto, dal momento che molte aziende stanno considerando ‘l’oscuramento’ come un’eventualità per risparmiare sui costi in attesa che passi la nottata, la stessa ricerca Kantar stima che “un’assenza di sei mesi dalla TV si potrebbe trasformare in una diminuzione di brand awareness pari al 39%, ritardando ancora di più il recupero post-emergenza.”

Insomma, a quanto pare, ai tempi del Corona Virus i brand non devono smettere di comunicare, di agire, di essere presenti. Sono i consumatori a volerlo. Di più, i consumatori, a tempesta passata, penalizzeranno i brand che saranno rimasti silenti. E tutto ciò non deve stupire.

COVID: SOCIAL PLAGUE vs. SOCIAL PURPOSE

Fino al giorno prima che il Covid19 sbarcasse in Italia l’hot topic delle discussioni sui Brand erano i Purpose. Per essere più precisi i Social Purpose.

Ricerche eseguite in tutto il mondo dai più grandi istituti e monitor internazionali ci segnalavano già da tempo che uno dei nuovi principali driver di acquisto dei prodotti di un brand fosse diventato la condivisione dei cosiddetti valori sociali di quel brand, e cioè l’apprezzamento del ruolo positivo che i brand dichiarano di voler svolgere attivamente verso il mondo che li accoglie.

Il Covid19 si è manifestato in contemporanea col nascere di una sorta di new age del mondo dei consumi: in uno scenario nel quale, diffusamente, la fiducia nelle istituzioni è in caduta libera, i brand, le aziende che li possiedono e le persone che amministrano entrambi, si sono riposizionati come punti di riferimento pubblici e politici agli occhi dei consumatori.

Tutto il mondo era letteralmente bombardato da campagne di social activism quando il Covid19 ha varcato i confini della Cina per diventare una questione un tantino più globale.

Non è poi così inspiegabile, quindi, che oggi, mentre siamo rinchiusi nelle nostre case a interrogarci sull’affidabilità delle nostre istituzioni e governi riguardo alla gestione dell’emergenza Corona Virus, guardiamo con interesse ai brand in quanto possibili punti di riferimento per affrontare efficacemente la piaga sociale che ci sta affliggendo.

I brand possono senz’altro avere un ruolo determinante, e non solo con i loro prodotti. Ancor di più, attraverso le loro azioni concrete.

E, a dimostrazione di quanto ai brand sia richiesto oggi più che mai un ruolo sociale, c’è un ulteriore dato della ricerca Kantar sopracitata, secondo il quale le aziende “… non dovrebbero sfruttare la situazione di crisi per promuovere il proprio brand – 75% dei rispondenti…”.

Si direbbe che il nuovo motto di tutti i brand in questo momento debba diventare HELPING IS THE NEW SELLING.

Ma vediamo più in dettaglio come oggi i brand possono aiutare.

 LEARNING BY DOING, MA NON TROPPO…

Nell’ultimo mese, in VMLY&R ci siamo ritrovati a dover gestire uno tsunami che si è abbattuto all’improvviso sul nostro modello di lavoro quotidiano e sul nostro rapporto consulenziale con i brand. Lo tsunami ci ha sorpresi ma non ci ha trovati del tutto impreparati. Stavamo monitorando l’evolversi della relazione sociologica tra persone e brand. Abbiamo reagito in modo automatico, data l’urgenza che la situazione richiedeva (e continua a richiedere), ma gli automatismi sono scattati sulla base di competenze ed esperienze che stavamo consolidando da tempo.

Inoltre, in particolare nelle ultime due settimane – essendo entrati nel frattempo in ‘Covid Crisis Management’ anche i maggiori Paesi e culture del mondo per quanto riguarda la brand communication, e cioè UK e USA – abbiamo cominciato ad osservare le azioni dei grandi brand internazionali e le conseguenti reazioni a caldo dei consumatori.

Dal confronto tra ciò che stiamo facendo noi in Italia per i nostri clienti, con le prime grandi case history internazionali, ragionando con Simona Maggini e Francesco Poletti abbiamo voluto razionalizzare e sintetizzare quelle che a nostro avviso oggi – in un quadro di diffusa incertezza su cosa di qui ad un anno si sarà rivelato concretamente giusto o sbagliato – possono essere considerate le 3 golden rules che qualsiasi brand dovrebbe rispettare nello scenario creato dal Corona Virus.

  1. #CORONA_AT_CORE

“Ask not what your country can do for you, ask what you can do for your country”, diceva J.F. Kennedy in uno dei suoi più celebri speech alla Nazione Americana.

E mai citazione fu più azzeccata per descrivere il principale contributo che oggi i brand possono dare alla società: ricalibrare e/o riconvertire la propria attività core, in modo da erogare e offrire prodotti-servizi destinati prevalentemente o addirittura esclusivamente al supporto della guerra al Corona Virus.

Secondo Simona Maggini, Ceo di VMLY&R Italy, questa è da un lato una scelta radicale, potenzialmente rischiosa sotto il profilo del business di breve periodo e di difficile attuazione in real time, ma allo stesso tempo la più concreta possibile delle azioni di social activism alle quali un brand o una company possano dar vita. Destinata, col senno di poi, a tradursi in un investimento di inestimabile valore per i brand che la avranno attuata.

Il pioniere della più decisa di queste azioni, la riconversion, è stato senz’altro, solo un paio di settimane fa, il gruppo francese Lvmh, noto soprattutto per alcuni brand di moda come Louis Vuitton, Dior, Fendi, annunciando che avrebbe dedicato in Francia la sua unità profumi e cosmetici a produrre esclusivamente il gel disinfettante da distribuire in tutto il territorio francese.

In Italia abbiamo avuto vari casi di PMI del tessile, per esempio, le quali, facendo anche di necessità virtù, hanno riconvertito le loro linee produttive per realizzare mascherine o altri pezzi di abbigliamento destinati a operatori sanitari.

E’ di pochi giorni fa la notizia che Armani riconvertirà tutti i propri stabilimenti produttivi italiani per produrre camici monouso destinati agli operatori sanitari che lottano ogni giorno per arginare il virus.

A seguire è arrivata una analoga comunicazione di Ralph Lauren che negli USA produrrà mascherine e divise sanitarie.

E molto interessanti sono anche le operazioni di ricalibratura del proprio core-business per venire incontro alle mutate necessità dei propri consumatori. Alcuni esempi di seguito:

“Queste sono opzioni strategiche che, sia pur con tutte le difficoltà e barriere connesse, stiamo valutando insieme ad alcuni dei nostri più importanti Clienti”, afferma Simona Maggini. “Per esempio Danone Group, che è sul mercato con brand funzionali, come Activia, Actimel, Danacol, focalizzati sul rinforzo delle difese immunitarie e in generale su Wellness ed Healthcare. In generale bisogna valutare riconversion e ricalibration con le opportune cautele e in funzione di una effettiva fattibilità che tenga conto della cosiddetta sostenibilità-profit di lungo periodo dell’azienda”.

In altre parole, per i Brand oggi è certamente tempo di rendersi utili alla società in modo attivo nella lotta al Covid19, ma non è mai tempo di ‘eroismi’ che compromettano il loro economico perdurare nel tempo.

  1. #WALK_THE_TALK

Lo scenario ci suggerisce che continuare a comunicare è una scelta forzata per i brand, in particolare comunicare un’idea di vicinanza.

Kantar ci dice: “…i consumatori si aspettano che… le campagne pubblicitarie abbiano un impatto positivo sulla società. Tra le aspettative dei consumatori in questi termini troviamo soprattutto:

Parlare di come la marca è utile nella “nuova” vita di tutti i giorni: 77%

Raccontare/comunicare gli sforzi fatti dal brand per affrontare/migliorare la situazione: 75%

Usare un tono rassicurante: 70%”

Secondo Francesco Poletti, Ecd VMLYR Italy, un secondo importante livello di presenza dei brand in tempo di Covid19 è quello del contributo concreto come supporting evidence. In sostanza, far seguire alle parole i fatti è oggi un elemento imprescindibile di credibilità per qualsiasi comunicazione. E la mancanza di un concreto contributo del brand rischia di causare un effetto boomerang che non solo, nel breve periodo, sgonfia e fa apparire “gratuito” un messaggio di solidarietà del brand, ma potrebbe generare un vero e proprio effetto respingente verso quel brand nel lungo periodo, quando tutto sarà passato.

Da questo punto di vista, alcuni icon brand italiani e internazionali, hanno fatto uscire campagne delle quali si è parlato molto in questi giorni – Tempo, Mc Donald’s, Nike, CocaCola – che, pur essendo eseguite egregiamente sotto il profilo visivo, simbolico, copy, non danno una chiara risposta alla domanda ‘ok ma tu cosa stai facendo di concreto’?

A questo si aggiunge il rischio dell’effetto ‘Don’t patronize me!’ nel quale il brand può incappare se si limita a dare consigli e raccomandazioni senza agire concretamente.

Da questo punto di vista, a livello globale, la campagna che più apprezziamo al momento è quella di Budweiser. Che sovverte le regole in modo molto intelligente ed efficace, facendo diventare il proprio manifesto valoriale sul proprio ruolo sociale ai tempi del Covid la supporting evidence di una donazione sostanziosa a favore dei cittadini americani. E tutti gli altri esempi analoghi di brand communication che vanno sulle azioni concrete e non puramente valoriali.

Poletti osserva: “In questo momento in VMLY&R abbiamo un cliente come Lavazza che si sta muovendo molto concretamente per la propria comunità, con azioni, donazioni e iniziative delle quali si è parlato in questi giorni.

Lavazza al momento sta optando più per una presenza concreta che per azioni di comunicazione potenzialmente gratuite. E non possiamo che complimentarci con l’azienda”.

Allo stesso tempo, se e quando il brand ci chiederà di lavorare con loro per una campagna di comunicazione adeguata al momento, i presupposti di credibilità e apprezzamento da parte dei consumatori ci saranno tutti.

  1. READY_FOR_NEXT

Ci siamo lasciati alle spalle da tempo l’opzione ‘un paio di settimane a casa e tutto torna come prima’. È sempre più evidente che, quando sarà passata l’ondata principale di questa pandemia, proprio nulla sarà più come prima. In questi giorni si susseguono sui media ipotesi su quelli che potranno essere gli scenari post-covid19, da parte di medici, scienziati, politici, economisti, filosofi, sociologi, psicologi.

Difficile inquadrare oggi con precisione quello che potrà essere davvero lo scenario in un futuro anche prossimo. Cionondimeno alcune certezze si vanno definendo. E i brand, che devono entrare nelle nostre vite e nei nostri lifestyle ogni giorno in modo rilevante, dovranno tenerne conto.

Innanzitutto, rassegniamoci, passata l’ondata principale del Covid19, ci sarà un’onda lunga.

Sono i medici, i virologi, gli epidemiologi a dircelo: non usciremo di casa tutti insieme di punto in bianco e, una volta usciti, non riprenderemo a relazionarci fisicamente con gli altri come facevamo prima.

L’isolamento progressivamente finirà, ma per lungo tempo lascerà il posto al distanziamento. Abituiamoci alla ‘DISTANT SOCIALITY’: ristoranti, cinema, teatri, musei, spazi pubblici come le piazze, i parchi non saranno più “affollati” per un bel po’.

Pensiamo a come il mondo dell’Arte, della Musica, dello Sport, degli eventi di Intrattenimento, possano dover essere ripensati sin della loro essenza.

Viaggiare nei prossimi anni sarà un’esperienza che implicherà un investimento psicologico ben più consapevole rispetto allo spirito di fuga, avventura, evasione che fino a ieri ne rappresentava la principale ispirazione.

Transitare in un aeroporto, una stazione ferroviaria, stare seduti in un aereo, in un treno, sarà stressante, ansiogeno perfino, per molti anni a venire.

Indipendentemente dalla gravità e dalle modalità con le quali si manifesterà, ci sarà certamente una crisi economica prolungata su scala globale.

Tutte le Borse sono in crush e gli analisti ci dicono che è il caso di prepararsi al peggio.

Molte aziende sono a rischio fallimento, dovranno ridimensionarsi o, peggio, non sopravviveranno al Corona Virus.

E, ahimé, si ventila una apocalittica esplosione della disoccupazione in tutto il pianeta.

I brand faranno quindi i conti con un nuovo Average Joe:

  • Più povero
  • Più depresso o comunque in ansia cronica
  • Più attento, consapevole
  • Più prudente
  • Più esigente
  • Più arrabbiato

 Quindi, tornando ad un tema toccato all’inizio di questo articolo, più che mai per i brand sarà fondamentale essere animati da un Purpose.

Perché il social activism sarà sempre più diffuso e centrale nella nostra vita individuale e collettiva.

Consideriamo che per molti eminenti pensatori il Covid19 potrebbe essere stato una forma di legittima difesa della Natura contro la devastazione del pianeta perpetuata dall’uomo negli ultimi 150 anni.

La coscienza collettiva sta cominciando a considerare il Corona Virus come un monito. Un monito ad avere rispetto per la Vita in tutte le forme che essa assume sul pianeta Terra. Perché no, un monito anche ad un maggior rispetto tra esseri umani.

Se i brand stavano tutti precipitandosi a dichiararsi Social Activist fino ad un mese fa, è probabile che di qui in avanti non solo saranno costretti a mettere i propri social purpose nel cuore dei loro business model, marketing mix e communication platform, ma anche e soprattutto dovranno agire, come e più di prima, in modo concreto, frequente, continuativo nella stessa direzione.

I consumatori si erano abituati già da prima del Covid19 a diventare sorveglianti sia delle istituzioni che dei brand, controllori della bontà delle azioni di questi e di quelli. Tributando ai brand una apertura, una sorta di credito rispetto a quello che è diventato ormai un pregiudizio diffuso nei confronti delle capacità dei Governi (peraltro rimesso in discussione ora che siamo sotto attacco da parte del virus).

Se fino a ieri stava diventando sempre più raro, nei prossimi anni potrebbe diventare addirittura impensabile avere una relazione commerciale e di consumo con un brand senza che ci sia una totale condivisione valoriale e del ruolo sociale che quel brand avrà dimostrato di avere.

VMLY&R