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Faccia a faccia con imprenditori e Ceo della comunicazione. Lorenzo Brufani: la competenza conta. Se si fossero seguite le regole di base del crisis ready management si sarebbero evitate situazioni grottesche che hanno generato panico e confusione tra la gente

Qual è la tua visione per affrontare il futuro, su quali paradigmi fondi il tuo credo?

Su un approccio ottimista perché ogni situazione di crisi se affrontata con serenità e determinazione può portare dei cambiamenti positivi. Dall’altra non credo alla ripartenza perché anche nel 2020 non mi sono mai fermato. Ho lavorato duro in smart working con i miei ragazzi di Competence e seminato con altri amici per la apertura di una start up e nuovi progetti.

Cosa ti è maggiormente dispiaciuto constatare?

Le istituzioni non sono state in grado di gestire in modo efficace la comunicazione legata alla pandemia e si sono lasciati parlare troppi politici a livello locale senza coordinamento. Se avessero seguito le regole di base del crisis ready management si sarebbero evitare situazioni grottesche che hanno generato panico e confusione tra la gente.

Se fossi ceo o cmo di un brand che investe in comunicazione come agiresti, insomma, potendo dare consigli quali senti di dare al mercato dei clienti?

Comunicare in modo davvero trasparente e responsabile senza ricordare il chi siamo e il cosa facciamo ma focalizzare il messaggio sul perché esistiamo e su come portiamo valore aggiunto alle comunità. Meno prodotto e più persone.  Meno autocelebrazione e più umiltà ma con un pizzico di smile marketing.

Ritieni di essere riuscito a concretizzare per l’azienda che capitani il modello di business ideale, se sì perché, se no, idem e se in parte a che punto del percorso sei?

Non si finisce mai di crescere e di migliorare. Ho aperto Competence ormai 15 anni fa con due collaboratori e senza avere santi in paradiso. Negli anni ho sempre cercato di imparare da esperienze maturate sul campo – anche quelle negative –  e tramite le occasioni di confronto con altri esperti e professionisti che mi hanno dato preziosi suggerimenti. Oggi credo nel modello della agenzia come hub di servizi personalizzati ma flessibili grazie a reti di professionisti che credono in valori comuni e sono imprenditori nel loro modo di lavorare. La agenzia come struttura rigida dove il brand oscura le capacita persone, che pensa di avere autorevolezza monolitica solo perché è  guidata da un faraone o da una regina dei salotti ormai è morta e sepolta.

Si chiude il 2020. un anno non facile, cosa ha rappresentato per te?

Un anno difficile ma alla fine positivo. Siamo rimasti compatti lavorando sin da fine febbraio in Smart working grazie all’impegno e alla professionalità dei miei trenta colleghi che non finirò mai di ringraziare abbastanza. Abbiamo incrementato le aree di competenza soprattutto sulla comunicazione interna e sul digital marketing e questo ci ha permesso di mantenere i clienti e portare a casa gli obiettivi di business: una doppia soddisfazione visto lo scenario generale.

Essere oggi leader: qual è la principale dote che bisogna possedere?

Saper ascoltare, motivare le persone e saper guardare avanti in modo strategico e non solo rispondere al contingente. Un leader deve saper prendere decisioni importanti anche senza avere tutte le carte in mano ma se poi sbaglia deve sapere chiedere scusa con onestà e prendersi le responsabilità se ha sbagliato.

Successi, progetti, quali vuoi menzionare come emblematici della tua impostazione?

Abbiamo lanciato con soddisfazione proprio sotto Covid – il 21 aprile – la prima business community sulla reputation Economy che abbiamo chiamato Comtalks. Oggi abbiamo già circa 500 manager registrati con cui condividiamo news, video, podcast e webtalks su temi che vanno dal crisis management alla sostenibilità, dalla leadership all Employee Engagement. Provare per credere…

Il tema della rilevanza del mercato della comunicazione: è un tema? Ossia perché non sempre si è tenuti in alta considerazione, da governo, aziende, opinine pubblica? Una questione di carenza di ‘carismatiche star’?

Perché i comunicatori non riescono a fare fronte comune su alcuni temi chiave ma preferiscono giocare in proprio e poi solo in Italia la figura del portavoce è di fatto una star che sta sul palco e non dietro… Mi auguro che si possa arrivare ad una vera integrazione tra le diverse associazioni e sigle di professionisti della comunicazione ma siamo ancora agli inizi. I giornalisti non riconoscono la figura del comunicatore così come soffrono la concorrenza dei blogger e influencers. Risultato: tutti contro tutti e zero collaborazione.

Lorenzo Brufani, Ceo Competence

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