Qua è la tua visione per affrontare il futuro, su quali paradigmi fondi il tuo credo?
Credo che il punto di partenza che ci permetta di affrontare il futuro nel migliore dei modi sia innanzitutto la consapevolezza della qualità del lavoro che l’agenzia, nel corso di questi ultimi anni, ha saputo produrre e la professionalità, determinazione e competenza del team di lavoro che la compone. Partendo da questi due capisaldi la lettura del futuro, che a oggi è ancora incerto, non può e non dev’essere negativa nonostante le tante difficoltà che il nostro settore ha incontrato e sta tutt’ora incontrando. La nostra strategia prevede (e ha previsto da marzo in poi) lo sviluppo di tutta una serie di aree, che esulano dal mero evento fisico che ancora oggi siamo impossibilitati a realizzare, che ci stanno dando belle soddisfazioni. Se a questo aggiungiamo la voglia di mettersi sempre in gioco, il fatto di non aver paura ad intraprendere strade mai battute e la passione e la determinazione nel credere fermamente nel nostro lavoro, sono portato a credere che potremo ancora ‘continuare a sognare’. Abbiamo seminato tanto e bene nel corso dell’anno appena passato, ora non ci resta che continuare a farlo per poi raccoglierne i frutti.
Cosa ti è maggiormente dispiaciuto constatare nell’anno appena trascorso?
Siamo in Italia, paese di grandi contraddizioni e ‘nonsense’. Il nostro settore, che muove punti importanti di PIL non ha avuto la giusta considerazione, non solo economica, da parte delle istituzioni. Il comparto coinvolge migliaia e migliaia di persone, professionalità variegate ed ambiti estremamente ampi permettendo quello che la nostra politica ha sempre tanto sbandierato all’estero: l’aggregazione, la condivisione e la natura estremamente propensa alle relazioni sociali del nostro paese. Al di là del grande sviluppo e supporto avuto dalla tecnologia non potremo mai rinunciare ad aggregarci perché il fattore emozionale, che ne è connaturato, è parte integrante della nostra cultura ed il nostro mondo è ciò che permette di viverlo ed alimentarlo, e non se ne può prescindere. Tutti questi fattori andrebbero considerati dalle ‘stanze del potere’ e gli aiuti dovrebbero essere commisurati a quanto di buono e bello il nostro settore è in grado di realizzare per il paese Italia.
Se fossi Ceo o Cmo di un brand che investe in comunicazione come agiresti, insomma, potendo dare consigli quali senti di dare al mercato dei clienti?
In questi mesi abbiamo avuto modo di interfacciarci con diversi clienti ed ognuno ha avuto una visione e un comportamento diverso dall’altro. Ci sono clienti che hanno deciso di fermare qualsiasi genere di attività perché spaventati dalle conseguenze che queste avrebbero potuto avere in termini di immagine (soprattutto le grandi realtà multinazionali) e ci sono stati clienti che hanno invece deciso di intervenire subito convertendo le attività in modalità virtuale raccogliendo anche ottimi riscontri ed aprendosi opportunità fino ad allora inesplorate. Infine ci sono stati clienti che hanno comunque voluto provare a portare avanti le attività rispettando i limiti imposti dall’emergenza senza però cambiare i piani di comunicazione (per esempio per un player importante del mondo del food abbiamo fatto un tour estivo nelle spiagge che è andato molto bene). E’ chiaro che per noi avere clienti disposti a mettersi in gioco esplorando nuove soluzioni o clienti decisi a portare avanti le attività pianificate nei limiti ma con determinazione, trasmette grande fiducia, non solo all’agenzia ma all’intero comparto. E’ bello sapere che ci siano brand disposti a voler andare avanti insieme anche nelle difficoltà. La sfida è stata e sarà sicuramente impegnativa e ardua ma a noi è sempre piaciuto alzare l’asticella, e fino a oggi crediamo di averlo fatto bene.
Ritieni di essere riuscito a concretizzare per la realtà che capitani il modello di business ideale, se sì perché, se no, idem e se in parte a che punto del percorso sei?
Il nostro modello di business si è chiaramente dovuto adattare all’evoluzione che tutto il nostro settore si è trovato a dover affrontare. Venivamo da annate molto soddisfacenti ed intense che ci hanno riconosciuto un ruolo importante nell’ambito della realizzazione di eventi on field, nella fornitura di staff per eventi e in quella che ci piace definire ‘la nostra anima unconventional’. Fortunatamente un processo di ampliamento di aree di business si era già messo in moto e questo ci ha permesso di non farci trovare impreparati e soprattutto pronti a gestire le conversioni di modalità operative. Due su tutte: la nostra divisione digitale Digital Yummies e il mondo retail che si è rivelato essere un nuovo e stimolante ambito di sviluppo. La nostra idea è chiaramente quella di consolidare entrambi questi settori in maniera tale da allargare sempre più le nostre competenze permettendoci di creare quelle famose ‘cross activities’ che inevitabilmente saranno centrali per la crescita dell’agenzia nei prossimi anni.
Si chiude il 2020, Un anno non facile, cosa ha rappresentato per te?
Una sfida inaspettata che mi ha messo alla prova, innanzitutto verso me stesso. Il doversi misurare con qualcosa che per la prima volta non è dipeso dal proprio lavoro; l’incertezza di non sapere cosa sarebbe successo e dove saremmo andati ma anche la forte determinazione ad affrontare la situazione senza guardarsi indietro consapevole di quanto di buono avevamo fatto negli anni passati. Per una realtà medio piccola come la nostra essere riusciti a crescere tanto negli ultimi anni ed avere un piano di sviluppo ambizioso per il 2020 per poi ritrovarsi di colpo ridimensionati e fragili è stato emotivamente complicato da gestire. Si navigava con il sole, vento in poppa carichi e tronfi e ci si è ritrovati, alla velocità della luce, in una tempesta con onde alte decine di metri ed una barca alla deriva. Il primo grazie lo dobbiamo dire sicuramente ai ragazzi che ci hanno aiutato e supportato nel migliore dei modi ad attraccare la barca al porto; senza di loro non saremmo qui. Per quanto mi riguarda non ho mai smesso di crederci e non ho mai smesso di cercare il sole tra le nuvole anche e soprattutto durante la tempesta. E lo stesso approccio e la stessa consapevolezza li ho oggi di fronte all’attuale incertezza nella quale ci troviamo.
Essere oggi leader: qual è la principale dote che bisogna possedere?
Cosa significa essere leader? Chi lo è davvero? E’ davvero necessario esserlo? Quando sento parlare di leadership inevitabilmente mi sorgono tante domande, sarà perché è da quando ho iniziato a lavorare che ne sento parlare, sarà perché credo sia l’ambizione di tanti averla. Io sono un leader? Francamente non lo so e non diventerei matto qualora non lo fossi. Diciamo che nel corso della mia vita ho sempre cercato di trasmettere la passione che anima ciò che faccio, sia dal punto di vista professionale che personale. Ho sempre creduto molto nella passione perché lì è più difficile bluffare ed è grazie alla passione che possiamo esprimere davvero noi stessi. Se una persona è appassionata ed appassionante spesso e volentieri diventa automaticamente un leader contagiando le persone che la circondano. La leadership difficilmente si insegna, ci si può lavorare, si può cercare di acquisirla ma è un po’ come il talento, ci si nasce. E poi essere un ottimo gregario trovo abbia molto più valore che essere un finto leader.
Successi, progetti, quali vuoi menzionare come emblematici della tua impostazione?
Dovrebbero essere gli altri a parlare dei nostri successi, onde evitare di sopravvalutarci. Diciamo che in questi anni ritengo di aver lavorato bene e di aver ottenuto interessanti soddisfazioni professionali grazie anche alle persone con le quali ho collaborato. Aver dato continuità all’agenzia in tutti questi anni vedendola crescere ed ingrandirsi è fonte di grande orgoglio, considerando il fatto che lavoriamo in un mercato altamente competitivo e ricco di competitors bravissimi e molto più grandi di noi. Essere stati in grado di ritagliarsi uno spazio in questo mondo, aver dato un’identità specifica all’agenzia, aver superato le difficoltà che fino ad oggi abbiamo incontrato, credo siano fattori che debbano renderci estremamente orgogliosi e soddisfatti. Certo, l’ambizione è sempre quella di poter far meglio, di continuare a crescere, di sviluppare nuovi business, ma fermarsi ogni tanto a godere di ciò che si è fatto trovo sia salutare. Indubbiamente questa situazione, volenti o nolenti, ci ha dato la possibilità di capire che la vita è sempre imprevedibile e che non dobbiamo mai sederci sugli allori. E comunque condivido un aforisma di un noto premio Nobel: “Non temete i momenti difficili. Il meglio viene da lì”.
Il tema della rilevanza del mercato della comunicazione: è un tema? Ossia perché non sempre si è tenuti in alta considerazione, da governo, aziende, opinione pubblica? Una questione di carenza di ‘carismatiche star’?
Ritorno un po’ a quanto già evidenziato prima: questa situazione ci ha fatto chiaramente capire come ci siano settori di serie A e settori di serie B. In realtà la dignità del lavoro, a prescindere dal peso o dall’esposizione mediatica dovrebbe essere, in un mondo ideale, uguale per tutti. Così non è e difficile sarà cambiare le cose, soprattutto la cultura in merito. Il nostro settore è un settore trainante per il paese intero e dovrebbe meritare la giusta considerazione e non solo diventare fico ed attraente quando si tornerà a partecipare ad happening modaioli o festivalieri. Si è parlato tanto di far sentire la nostra voce e l’iniziativa Bauli in Piazza, alla quale ho partecipato, è stato un primo segnale importante. E’ bastato? Non credo; sarà necessario fare molto di più affinché la voce di un settore intero reclami ciò che è giusto gli venga riconosciuto. Del resto è indubbio che il nostro mondo fornisca qualcosa di imprescindibile alla vita di tutti i giorni: le emozioni.
Angelo Mazzi, Founding Partner e Direttore Commerciale & Mktg MAI TAI.