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Faccia a faccia con impreditori e Ceo della comunicazione. Fabrizio Parisi: il modello di business ideale? Quello che produce valore per l’azienda cliente. Cosa consiglio ai brand? Affidatevi alle agenzie, con budget e tempi adeguati. Lavorare insieme va bene, ma rispettiamo le rispettive competenze

Qual è la tua visione per affrontare il futuro, su quali paradigmi fondi il tuo credo?

Alla base ci deve essere autenticità, perché bisogna conquistarsi la fiducia di clienti, fornitori e collaboratori, con azioni, parole e progetti veri, senza fronzoli o virtuosismi inutili. Poi è necessaria una grande apertura, verso le idee e le persone: ciò garantisce un rinnovamento continuo – anche quando le cose vanno bene – e permette di essere sempre competitivi. Saper cambiare pelle periodicamente, restando fedeli ai propri valori, consolida il marchio e lo rafforza.

Cos’è maggiormente dispiaciuto constatare nell’anno appena trascorso?

Poter lavorare a distanza, senza cali di produttività, è un miracolo della tecnologia che soltanto pochi anni fa non sarebbe stato possibile. Tuttavia, l’assenza di contatti fisici può mettere a dura prova un valore in cui credo molto: lo spirito di squadra. Mi prodigo in continuazione per mettere insieme idee e persone, stimolando la collaborazione e la condivisione. La separazione fisica rende più difficile lo scambio emotivo, un passaggio fondamentale per cementare il team. Quando si lavora a distanza bisogna fare uno sforzo ulteriore per raggiungere gli stessi equilibri.

Se fossi Ceo o Cmo di un brand che investe in comunicazione come agiresti, insomma, potendo dare consigli quali senti di dare al mercato dei clienti?

Osare di più e smettere di pensare in ‘markettinghese’, nascondendosi dietro inglesismi inutili e convinzioni granitiche. Bisogna affidarsi alle agenzie, conferendo loro budget e tempi adeguati. Lavorarci a stretto contatto va bene, ma senza ergersi a giudici pronti a esaminare ogni passo cercando di indirizzare tutti gli aspetti del lavoro. Trovo utile anche dedicarsi sistematicamente allo scouting, mettendo sotto osservazione decine di professionisti per trovare la competenza ideale per ogni singolo progetto.

Ritieni di essere riuscito a concretizzare per la realtà che capitani il modello di business ideale, se sì perché, se no, idem e se in parte a che punto del percorso sei?

Il modello di business ideale? Quello che produce valore per l’azienda/cliente. Sembra una battuta ma è l’unico punto fermo. Le dinamiche cambiano troppo in fretta. Una cosa che sembra perfetta oggi, domani magari non lo è più. Una persona che fino a ieri ricopriva il suo ruolo ideale, potrebbe improvvisamente essere più utile altrove. Bisogna adeguarsi in fretta ai cambiamento ragionando in modo più semplice, riducendo le complicazioni. Troppe complicazioni bloccano l’azione. E un’azione lenta è il rischio maggiore in ogni business.

Si chiude il 2020. un anno non facile, cosa ha rappresentato per te?

La fine della cultura degli alibi. Nei periodi ‘normali’ è più facile nascondere le inefficienze. I mesi che ci attendono saranno invece spietati: mai come ora il futuro dipenderà da ognuno di noi e dalla personale capacità di trovare spazi o addirittura inventarseli. Per chi è abituato a navigare bene solo in acque calme, si prospettano tempi particolarmente duri.

Essere oggi leader: qual è la principale dote che bisogna possedere?

La capacità di agire e di rendere facili le cose difficili. Mi piacciono i leader che hanno bisogno di poche parole per farsi seguire dal gruppo, quelli che trascinano con l’esempio e non hanno paura di mettersi in discussione.

Successi, progetti, quali vuoi menzionare come emblematici della tua impostazione?

Ci sono quattro iniziative in particolare: la prima è il Fuorisalone, trasferito in versione digitale con una web tv che per una settimana ha diffuso un palinsesto ricchissimo di idee, approfondimen0, live talk e interviste sul mondo del design. La seconda, sempre sul design, ci ha visto impegnati nella realizzazione del format dedicato a Digital Design Days Live, un evento che prevede l’arrivo da tutto il mondo di circa duemila persone. Nel 2020 l’abbiamo trasmesso in live streaming attraverso una piattaforma digitale dedicata.

E poi IF! Italians Festival di cui siamo partner fin dall’inizio. Quest’anno abbiamo lavorato sulla progettazione di una regia “ibrida”, sia virtuale che fisica. La quarta e ultima iniziativa, ma solo in ordine di tempo, che voglio citare è Diabethon: un’idea nata e sviluppata insieme a Francesca Ulivi. Una maratona digitale in live streaming per raccogliere fondi per la ricerca di una cura definitiva per il diabete di 0po 1, che ci ha permesso di donare 18.000 euro alla Fondazione Italiana Diabete Onlus.

Il tema della rilevanza del mercato della comunicazione: è un tema? Ossia perché non sempre si è tenuta in alta considerazione, da governo, aziende, opinione pubblica? Una questione di carenza di ‘carismatiche star’?

Può essere. In effetti non vedo figure in grado di trascinare davvero il settore. E non vedo neanche lo spirito di squadra e l’unione che invece esistono in altri settori. Credo sia anche difficile mettere insieme così tante realtà, di diverse dimensioni, che a vario titolo operano nella comunicazione. Troppi interessi diversi e, forse, troppa dipendenza da altre aziende: vincoli che non permettono di raggiungere mai un buon grado di compattezza. Inoltre, se guardiamo come alcune multnazionali trattano le agenzie in fase di gara per assegnare un progetto e come tutte, o quasi, le agenzie accettano certi trattamenti, forse si capisce meglio il motivo per cui non abbiamo peso nei confronti di governo, mass media e opinione pubblica. Poi, diciamo la verità, la comunicazione in Italia è come il calcio o la politica: tutti si sentono grandi allenatori, politici navigati e comunicatori esperti.

Fabrizio Parisi, Founder e Ceo SUPERBELLO.

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