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‘Influencing with Pride’: la tavola rotonda di We Are Social sulla valorizzazione della diversity e l’inclusione, e sui progetti che i brand possono realizzare per sostenere la community LGBTQIA+ senza cadere nella trappola del ‘Rainbow washing’

Durante il webinar ‘Influencing with pride’ tenutosi questa mattina, WE ARE SOCIAL ha approfondito il modo in cui l’influence marketing possa valorizzare la diversità e promuovere l’inclusione, e il percorso che i brand possono seguire per realizzare progetti di comunicazione a sostegno della comunità LGBTQIA+. Hanno partecipato a questa inziativa Paolo Armelli, Co-Fondatore di QUiD Media, la piattaforma crossmedia di informazione e cultura queer, Muriel De Gennaro (Muriel), Francesco Cicconetti, e Stefano Paleari & Riccardo Casiraghi (Gnambox).

Il webinar si è aperto con un intervento di Edoardo Cioli Puviani, Influence Marketing Manager di We Are Social, che ha sintetizzato alcuni punti del non sempre facile rapporto tra influencer e brand in questo contesto, a partire dal fatto, centrale per la relazione, che ogni contenuto di valore per il brand è un contenuto di valore per l’audience dell’influencer.

L’abilità del brand sta nel farlo veicolare dal creator che meglio riesce a rappresentarlo e racchiuderlo organicamente nella propria narrativa. “La massimizzazione dell’efficacia di un branded content”, ha ricordato Cioli Puviani, “avviene quando la differenza tra le audience di questo e di un post organico tende a zero”.

E qui si inserisce nell’evento la narrazione di un fenomeno piuttosto recente, ma dai risultati esiziali, di cui si è parlato nella successiva Tavola Rotonda: il Rainbow washing, cioè una presa di posizione artefatta e sostanzialmente falsa che cerca di capitalizzare sulla notorietà evocata dal Pride Month assumendo posizioni poco o nulla condivise dal brand.

Una posizione che tutti i creator presenti hanno stigmatizzato ma – pur senza fare esplicitamente nomi – hanno ammesso di essere a conoscenza per esperienza diretta o indiretta.

“Le aziende inzialmente erano interessate al mio percorso, prima ragazza lesbica, poi ragazzo trans”, ha sottolineato Francesco Cicconetti, “ma solo da circa un anno si sono avvicinate: io mi considero più un attivista che un influencer, di conseguenza le tematiche di cui parlo sono molto vicine al mio essere autentico, per questo non accetto lavori che non rappresentino a mio parere la verità del brand”,

Sul tema concordano anche gli Gnambox (Stefano Paleari & Riccardo Casiraghi): “Abbiamo riscontrato, sopratutto all’inizio, quando parlavamo di cibo e cucina ed eravamo sconosciuti ai più, un’associazione curiosa tra l’incredibile engagement ottenuto magari da un foto in cui ci scambiavamo gesti naturali di affetto, e la contemporanea e parallela perdita di like. Segno che il tema LGBTQIA+ conserva un carattere potenzialmente molto divisivo”.

Secondo Muriel (Muriel De Gennaro) invece la tematica va perdendo di asperità man mano che se ne parla apertamente: “In passato ricevevo addirittura insulti quando affrontavo temi quali quali la transessualità e il lesbismo: oggi invece, paradossalmente, sono più ‘a rischio’ le mie prese di posizione relativa alla body positivity, forse perché è un tema più nuovo, di cui si parla meno”.

Anche il Pride Month meriterebbe di essere guardato con occhi nuovi. “Sicuramente è utile mettere sotto gli occhi di tutti queste realtà che rischiano la ghettizzazione: il mese dedicato è un’ottima iniziativa per dare ai temi un boost particolare”, è l’opinione di Cicconetti. “Tuttavia il vero cambiamento si avrà solo quando queste tematiche saranno così accettate da essere normali e non richiedere di essere enfatizzate con un Pride Month”.

D’accordo solo in parte i Gnambox: “Questo è un fenomeno sostanzialmente positivo per l’intera comunità: il processo verso la piena consapevolezza è ancora in corso e richiede prese di posizione forti”, e Muriel: “È opportuno fare attenzione al Rainbow Washing, ma questa tempistica è opportuna per mettere bandiere simboliche ma ben visibili”.

“Non di sola brand awareness necessita la community LGBTQIA+”, sintetizza Paolo Armelli, “Serve solidarietà concreta, donazioni e impegno a 360°, non limitate solo aqueste settimane di speciale visibilità”.

In chiusura un ultimo cenno alle attività di ‘attivismo performativo’, che sono più frequenti in nel mese dedicato. “Sostanzialmente è un auto-brandizzazione”, secondo Cicconetti, “serve solo a creare rumore intorno al tema, non a combatterlo. Sono una cosa tossica per la comunità”.

“Per fare qualcosa di concreto a favore della comunita”, è l’opinione di Muriel, “occorre informarsi veramente prima di parlare, soprattutto persone che hanno un seguito tangibile come influencer o creator. Abbiamo responsabilità nei confronti del pubblico”. “Serve un tono di voce positivo”, concludono i Gnambox, “evitando polemiche inutili e riferimenti all’odio. Comunicare meno ma comunicare meglio”.