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Il futuro dell’addressable Ad tra privacy e personalizzazione, nel rispetto della regole. La posizione di Facebook

La cosiddetta ‘cookieless revolution’ – la cessazione da parte di tutti i browser (alcuni di essi, come vedremo, lo hanno già implementato) è ormai alle porte, e non mancano le proposte per ovviare alla loro assenza con altre soluzioni, sempre nel rispetto degli obblighi di legge. Leggi che si fanno facendo sempre più presenti sul tema: ha aperto la strada il GDPR europeo nel 2018, ha fatto seguito il californiano CCPA dell’anno scorso, ed è stata recentemente approvata la legge sui dati personali in Brasile, in attesa degli sviluppi attesi in Africa e in Asia.

Le proposte disponibili sono molteplici: si va dai personal identifier al contextual advertising, fino alle Federated Learning of Cohorts (FLoC) di Google. Uno dei walled garden più minacciosi per il mercato, data le dimensioni finanziarie dello stesso. Ma oggi ci dedicheremo all’altro walled garden, quello di Facebook – 84 miliardi di dollari di revenue nel 2020 – prendendo spunto dall’evento digitale ‘The future of digital advertising: can personalisation & privacy co-exist?’ che si è tenuto in mattinata.

La domanda è retorica, per lo meno per Facebook: certamente i due paradigmi possono convivere. Anzi rispondono alle esigenze dei consumatori europei: il 75% di loro, ricerca IAB, preferisce l’esperienza odierna rispetto un web privo di pubblicità indirizzabile e al pagamento per poter accedere a servizi e alle app finora gratuite. Lo stesso 75% afferma di considerare utile questa forma di annunci, e il 32% si azzarda a definirli ‘utili’ sempre o spesso.

Perché il nocciolo del problema è proprio questo: che fine farà l’addressable ad quando anche gli ultimi browser, l’anno prossimo, rifiuteranno i cookies? Le dimensioni del mercato sono impressionanti: Facebook dichiara che 10 milioni di aziende piccole e medie vi fanno attualmente ricorso sulla propria piattaforma, e che tre quarti di queste imprese la ritengono ‘indispensabile’ per il proprio business, ed efficace per trovare nuovi acquirenti per il loro prodotti.

Come si conciliano allora questa contrastanti esigenze? Dall’anno prossimo si aprirà un campo di confronto totalmente nuovo, e la risposta di Facebook alla sfida si impernia su tre principi.

Innanzitutto la ‘Secure Multiparty Computation’; poi la ‘Blind signature’; e infine l’ ‘On-device learning’. Il primo principio si basa sull’accesso limitato alle informazioni identificative che Facebook elabora; il secondo serve anche a mitigare i rischi di adfraud, mentre l’ultimo mantiene i dati personali localizzati solo sul device propritario di chi sta naviigando in rete, azzerando i pericoli di diffusione illecita.

Nel primo caso di specie, infatti, le informazioni sono parzialmente distribuite tra Facebook, che eroga la pubblicità, e l’azienda investitrice, che conosce le vendite effettuate: il matching tra questi due elementi chiave è anonimo, e le ‘attributed conversion’ risultanti sono di conseguenza assolutamente anonimizzate.

Anche nel secondo caso, i dati personali vengono verificati all’inizio ma poi trasferiti ed elaborati in forma anonima, cosicché sia impossibile risalire all’identità della persona che ha compiuto una determinata azione.

Nell’ultimo caso, invece, solo una piccolo ‘pezzo’ dell’informazione relativa all’azione compiuta, sia esso su Facebook o al fuori di esso, viene trasferito al social media blu, e qui raggruppato con le altre per tracciare un profilo basato sui behavioral data. Il risultato rappresenterebbe l’optimum: il web è libero, l’advertiser può presentare i suoi prodotti solo agli utenti interessati, che scoprono così nuove possibilità di acquisto che richiedo in prima persona.

Si tratta di tecnologie basate su tecniche crittografiche e statistiche avanzate che riducono al minimo i dati che raccolti, elaborati e condivisi, che aiutano a proteggere i dati in diverse fasi del loro ciclo di vita. Siamo alle prime fasi di questo investimento e stiamo continuando ad analizzare le possibili occasioni d’uso.

In realtà le cose sono più complesse di così, e la ‘guerra’ sotto traccia continua e continuerà ancora a lungo. Prendiamo ad esempio le nuove regole sulla privacy di Apple, per ora implementate solo sulla versione 14.5 di iOs, che sono state all’inizio attaccate anche giudizialmente da Facebook, perché ‘anticoncorrenziali’.

In pratica, però, nonostante il successo delle nuove funzioni sulla privacy di iOS 14.5, non è arrivata alcuna spallata al modello di business di Facebook. Durante l’ultima trimestrale, a fine aprile, l’azienda di Menlo Park ha dichiarato che l’impatto dell’App Tracking Transparency (il nome dato da Apple all’insieme di nuove funzioni anti-tracciamento) sarebbe stato ‘gestibile’, e che non si attendono particolari contraccolpi economici legati ai cambiamenti introdotti da iOS 14.5.

Segno che i signori degli algoritmi hanno trovato il modo di ottenere, tramite altra via, perfettamente legale ci mancherebbe altro, i dati che a loro necessitano per far proseguire il business dell’addressable ad.