Google ha comunicato che vuole posticipare la rimozione dei cookie di terza parte, rinviandola alla fine del 2023, con due anni di ritardo rispetto alla tabella di marcia iniziale che indicava l’inizio del 2022. La tecnologia dei cookie è utilizzata da tempo dal settore pubblicitario per monitorare le abitudini di navigazione sul web e inviare annunci mirati agli utenti.
L’annuncio è clamoroso per le conseguenze pratiche, ma arriva in maniera quasi anodina sul Blog di Google in un giovedì sera di fine giugno, come se fosse la notizia di uno degli innumerevoli aggiornamenti del browser o di uno degli algoritmi. In realtà la questione è centrale per Google, che si trova in mezzo, tra i futuri FloC (Federated Learning of Cohorts) la cui accoglienza, sia pure a livello di test, non è propriamente univoca da parte del mercato, e la diverse Authority che si stanno interessando di tutte le varie ricadute, dalla Privacy alla concorrenza da parte di terzi, che la decisione di azzerare i cookie di terza parte su Chrome sta generando.
Perché, non va dimenticato che Chrome è il browser più largamente usato nei Paesi occidentali, con una panetrazione che va dal 65% al 90%: non è come quando Safari o Mozilla hanno annunciato il blocco dei cookie di terza parte. Dal punto di vista dei principi informatori, la cosa non dovrebbe fare alcuna differenza, ma in pratica, con la sua comunicazione, Google aveva di fatto annunciato la fine di un modo molto diffuso di fare pubblicità online, il Digital Advertising, che sta conquistando quote crescenti di investimenti da parte degli utenti, arrivando in alcuni paesi a sorpassare anche la televisione come medium principale di massa.
I cookie di terza parte sono alla base dei parametri – frequenza, pressione, retargeting – che consentono le attività di identificazione e profilazione degli utenti, in particolare nell’ambito del Programmatic Advertising. Un modo per raggiungere la personalizzazione dell’advertising che è stato ritenuto insicuro e poco rispettoso della privacy degli utenti. L’annuncio era dunque una risposta alle richieste dei consumatori di maggiore trasparenza e chiarezza sull’utilizzo dei propri dati sul web.
Ma ha messo da subito Google in mezzo al fuoco incrociato tra le Autority che vigilano sulla privacy e quelle che sovraintendono alla concorrenza e ai mercati: non è un caso, infatti, che l’annuncio del rinvio della deprecazione dei cookie di terza parte faccia riferimento ai colloqui in corso con l’Authority Antitrust britannica: “subject to our engagement with the United Kingdom’s Competition and Markets Authority (CMA)”.
A monte della decisione del rinvio, ha spiegato il gigante dei motori di ricerca, c’è la volontà di studiare nuove tecnologie che mettano d’accordo sia i pubblicitari sia gli editori. Infatti, pochi giorni fa, la Commissione Ue ha annunciato una nuova indagine antitrust su potenziali pratiche anticoncorrenziali di Google sul fronte pubblicitario, in particolare sulle presunte attività di concorrenza sleale nell’utilizzo dei dati di utenti e inserzionisti per agevolare il proprio servizio di compra-vendita Marketplace.
Il tema – tanto più se a Chrome si aggiunge la dominanza di Google nell’ecosistema Android – è ad altissimo rischio: come si fa si sbaglia, verrebbe da dire, considerando anche i tentativi da parte di società ad tech indipendenti di penetrare il meccanismo dei FloC, per riuscire a ‘leggere’, tramite incroci, i comportamenti individuali che lo compongono, mascherati – o almeno questo sostiene Google – all’interno delle Coorti.
“Le soluzioni alternative non sono ancora consolidate e, mentre le aziende del comparto cercheranno di fare del loro meglio per sopperire a questa difficile situazione, gli OTT conquisteranno una posizione ancora più dominante”, ha affermato settimana scorsa Aldo Agostinelli, Vice Presidente di IAB Italia a un convegno sul tema di un futuro ‘cookieless’. “Il rischio serio è che le numerose imprese che non dispongono delle stesse disponibilità di quegli attori che, grazie proprio alla loro onnipresenza, possono contare su un enorme quantità di dati degli utenti, restino indietro e perdano terreno. Ogni monopolio dopo un po’ diventa disfunzionale alla società e solo la concorrenza permette una vera crescita del mercato, creando valore nel tempo”.
Quasi a voler rimarcare questo concetto, è arrivata alla vigilia dei Prime Days di Amazon, il 21 e il 22 giugno, la notizia che il terzo operatore del digital advertising, dopo Google e Facebook, aveva messo intorno ai propri dati, molto preziosi in particolare quelli sugli acquisti e sul search, una barriera elettronica che impedisse a Google di alimentare i suoi FloC con quelle informazioni.
“Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire”: sembra che Google abbia scelto di far proprio il suggerimento del Conte zio del Manzoni: la deprecazione dei cookie di terza parte è stata confermata, ma viene rinviata a fine 2023, quasi due anni dopo il termine previsto, l’inizio del 2022.
Per il momento, comunque, in attesa di scoprire che cosa accadrà davvero alla fine del 2023, le ad tech company festeggiano in Borsa: dopo l’annuncio della decisione di Google, per esempio, le azioni di The Trade Desk sono cresciute del 16%, quelle di Magnite hanno quasi raggiunto un +10%, così come quelle di PubMatic (+13%), Criteo (+12%) e LiveRamp, ultima in classifica con un più modesto, ma consistente, +6%. Follow the money!