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Tra meno di un anno sarà realtà la deprecazione totale dei cookie di terza parte: un convegno di IAB Italia affronta il tema e le soluzioni proposte

Manca meno di un anno alla deprecazione dei Cookie di terza parte da parte di Chrome, e IAB Italia ha dedicato questa mattina un convegno ‘Cookies: From Zero to Hero’ proprio a questo tema, di grande impatto per la necessità dell’intera industry di trovare (o meglio) collaudare nuovi strumenti, per affrontare la prossima cookieless revolution.

La necessità emergente è quella di dare al mercato gli strumenti adatti ad affrontare il drastico cambiamento, con un evento che è spaziato dai concetti basilari di questa tecnologia pubblicitaria alle sue funzioni, per poi fare un quadro delle opzioni future, necessarie per un advertising digitale efficace quando i cookie di terza parte verranno abbandonati.

Perché tutta la filiera dell’adv digitale – dalle agenzie media, alle web agency, fino agli editori e agli inserzionisti – basa la propria offerta sui cookie di terze parti. Si parla di centinaia di piccole aziende che insieme, pur rappresentando solo una piccola parte del mercato dell’adv online, hanno un impatto occupazionale ed economico importantissimo per lo sviluppo della industry.

Gli interventi della plenaria sono stati costruiti per creare un percorso che parte dalla definizione di Cookie e delle sue funzionalità attuali fino ad affacciarsi al futuro, analizzando dettagliatamente le soluzioni disponibili nell’era post-cookie, valutando gli impatti sulla industry e sulle attività di marketing.

L’evento, introdotto da Aldo Agostinelli, Vice Presidente di IAB Italia, ha visto la partecipazione alla sessione plenaria di alcuni esponenti di primo piano dell industry: Alfonso Mariniello, Country Manager Xandr Italy; Andrea Marcante, Managing Director, in:tech; Davide Corcione, Country Manager Adform Italia; Antonella La Carpia, Global VP Marketing Teads; Cristian Coccia, Regional VP, Southern Europe and MENA PubMatic; Anita Caras, Insights Director, Verizon Media.

Nonostante le premesse, l’apertura da parte di Aldo Agostinelli è stata un’affermazione decisa, con la sottolineatura di una realtà inconstestabile: il 78% del mercato pubblicitario digitale nazionale (per limitarci ai confini italiani) è controllato da 2 o 3 aziende multinazionali, mentre solo il restante 22% circa è nei fatti a disposizione di tutti gli altri operatori.

““Le soluzioni alternative non sono ancora consolidate e, mentre le aziende del comparto cercheranno di fare del loro meglio per sopperire a questa difficile situazione, gli OTT conquisteranno una posizione ancora più dominante”, ha affermato Agostinelli. “Il rischio serio è che le numerose imprese che non dispongono delle stesse disponibilità di quegli attori che, grazie proprio alla loro onnipresenza, possono contare su un enorme quantità di dati degli utenti, restino indietro e perdano terreno. Ogni monopolio dopo un po’ diventa disfunzionale alla società e solo la concorrenza permette una vera crescita del mercato, creando valore nel tempo”.

Uno squilibrio destinato ad aggravarsi, se si pensa al crescente peso del mobile e al ruolo dominante che in molti mercati nazionali ha assunto l’accoppiata tra il browser Chrome e il S.O. Android, mentre la deprecazione dei cookie è già attiva a funzionante sui browser alternativi, quali Safari e Firefox.

Un quadro ben chiaro, di cui i publisher sono a conoscenza, ma che sta ancora cercando la soluzione più adatta per riparare alla minacce che impattano su tutti gli aspetti digitali dell’advertising: sul targeting, sulla Campaign Delivery e sul Reporting & Misurazione. Tra le soluzioni privilegiate vi sono il Contextual Targeting e l’Universal ID, mentre è escluso da quasi tutti gli operatori il ricorso a un incremento dei log in come validazione dell’identità individuale. Il Contextual Targeting, inoltre, non è considerato una soluzione valida al di là del periodo di ‘emergenza’ iniziale.

Ciò lascerebbe spazio solo a soluzioni di Deterministic ID, basate sui dati di prima parte, o di Probabilistic ID, basate sui dati del traffico per costruire un’identità da utilizzare con buona approssimazione. Oppure ricorrere a un misto di queste due soluzioni, in modo da ottenere i migliori risultati possibili. A meno di non voler ricorrere a soluzioni proprietarie, come quella offerta da Google, i FLoC (Federated Learning of Cohorts), che tuttavia sono al momento vere e prorie sandbox in cui gli investitori pubblicitari hanno poche o nessuna possibilità di visione interna e verifica.

Ma come scrive Stefano Quintarelli sulla stampa specializzata “FLoC è la soluzione migliore a cui sono arrivati a Mountain View, una quadratura del cerchio a prima vista impossibile ma che, e visti gli interessi in gioco non dovrebbe sorprendere, ovviamente è più orientata a garantire gli interessi economici di Google che i nostri diritti di cittadini sul web”.

Che il problema esista e che la situazione tra un anno sarà completamente diversa da quella che viviamo oggi, come industria pubblicitaria digitale, è un dato di fatto, ma sono ancora pochi coloro che possono affermare di avere già la soluzione per affrontare le novità che abbiamo finora descritto.

I problemi sono noti, e troppi operatori stanno ancora cercando una risposta, ma tre cose sono comunque certe: il maggior ricorso ai dati di prima parte, che rappresentano un base stabile sui cui costruire le ipotesi di lavoro successive; la raccolta e l’interpretazione dei segnali in tempo reale, che possono sostituire con maggior efficacia il contextual, e infine il rispetto dei principi della ‘privacy safety’, senza tentare di costruire o di ricavare i profili degli utenti.

In questa fase di transizione, pertanto, la chiave è testare più soluzioni possibili e avere un approccio ibrido, così da trovare una chiave di lettura la più completa e scalabile possibile. Inoltre, se il mercato inizia a implementare varie soluzioni, inevitabilmente queste ultime vengono migliorate grazie ai riscontri sul campo che i vari player potranno riferire durante il loro utilizzo.