Youmark

Upa: urge un progetto, sei i punti chiave. Prioritario fare sistema. Paese, aziende, associazioni, marche, agenzie, media, consumatori. Con le donne a pesare, pure in termini di punti di Pil. Ricordando che la comunicazione vale come il manifatturiero e non può più permettersi di perdere 3000 milioni di euro in meno di 5 anni. Al via l’operazione trasparenza. No ai diritti di negoziazione. Ma anche alle gare. Fine dell’era della lotta di prezzo?

Partiamo da qui per riassumere il contenuto dell’Annuale Assemblea Upa, tenutasi ieri, come di consueto a Milano, presso il Teatro Strehler. Davanti a un pubblico particolarmente numeroso (600 persone), a testimonianza di quanto sia proprio il caso di parlare di ‘Urgenza di un progetto’.

E qui la tentazione di affondare sulla mancanza di indirizzo che da tempo contraddistingue il nostro paese si farebbe impellente, se non fosse per la voglia di accantonare il piagnisteo guardando positivo. Come? Sicuramente sapendo che quando si tocca il fondo non c’è altra soluzione che risalire. E da noi è proprio il caso di sentirsi in qualche modo arrivati. Tanto che già oggi la stessa Upa guarda con un tenue sorriso ai dati del prossimo futuro, concordando con Assocom  sul rimbalzo tecnico che segna una fine anno a -12,5%, sul -18-20 attuale, peraltro lasciando presagire per contiguità un primo semestre 2014 in ripresa.

E se su tutto pesa l’andamento dell’economia e l’impellenza delle riforme, anche Upa sente di poter fare la sua, in  primo luogo invitando tutti ad abbandonare gli interessi di parte, pro vantaggi sistemici. Insomma, si opta per interventi capaci di generare una catena virtuosa che autoalimenti investimenti, occupazione e consumi, dunque crescita economica.

Esplicito l’invito alla trasparenza, perché senza non può esserci collaborazione alcuna. E siccome la partnership è condizione sine qua non della consulenza, alle agenzie le aziende chiedono rapporti chiari e di fiducia. Il che si traduce immediatamente in un secco no ai diritti di negoziazione, veto da difendere invocando pure azione legislativa.

Certo che se di sistema deve trattarsi anche la controparte reclama la sua fetta di tornaconto non volendo assolutamente immolarsi all’altare dei colpevoli, recriminando, anzi, giusti pesi per giuste misure. Ma Upa rassicura (ascolta al microfono di youmark  il presidente Lorenzo Sassoli de Bianchi): “disposti a rivedere i termini contrattuali”. Così come garantisce il suo no al ricorso selvaggio alla gara quale espediente per spuntare il minor prezzo. Anzi, questa del minimo a tutti i costi viene archiviata come tendenza destinata ad estinguersi, avendo appurato che non porta nulla di buono, a nessun livello.

Insomma, il nuovo progetto parla inevitabilmente di qualità, certi che alla lunga significhi pure efficienza, sicuramente efficacia, anche nel breve (urge peraltro la revisione dei sistemi di rilevazione delle audience dei media, con un consumatore e un mondo cambiato non servono più mappe, ma bussole. E torna prepotente il valore della creatività. Perché le idee sanno cambiare i mondo, così come il ciclo di vita di un brand).

Non a caso portando alla ribalta il tema dell’innovazione. Di linguaggi, modi, contenuti. Dunque, banda larga (quella dell’Italia è vergognosamente all’87esimo posto nel mondo per velocità). Perché parlare di agenda digitale con 400mila aziende alle prese con reti telematiche lentissime, dunque escluse da un certo mercato, che senso ha?

Ma innovazione significa anche donne, o meglio loro ruolo come motore di sviluppo e cambiamento sociale ed economico (efficace lo speech di Annamaria Testa, pubblicitaria, su come vengono interpretate dall’advertising. Nulla contro le ‘veline’ – plauso comunque allo Iap  per il ruolo di tutela svolto – , ma vi rendete conto che le storie al femminile sono molte altre e che potrebbero rappresentare una via nuova, distintiva ed efficace di definire posizionamenti e marche? Senza dimenticare il Roi, perché se parli in modo diverso vieni ricordato e fidelizzi, sganciandoti dalle pure logiche di prezzo. E poi si tratta di responsabilità sociale, nella sua accezione più contemporanea. I media, infatti, educano e la pubblicità può supportare lo scopo. Inoltre, quando un paese valorizza le donne e la loro occupazione, ne guadagna pure il Pil).

E poi ci sono i giovani, i comunicatori di domani, la loro formazione (negli ultimi 15 anni ce ne siamo fatti portare via circa 2 milioni di qualificati nei più disparati settori. Un’emorragia, che si traduce in crescita e ricchezza che sfumano). Abbiamo una pletora di facoltà che sfornano illusioni e offrono professionalità poco interessanti per un mercato saturo, bisogna agire diversamente (tra l’altro su YouTube nasce pure il canale ‘Upa Advertising Graffiti’, un data base video su cui saranno resi disponibili tutti gli spot pubblicitari dagli anni ’60 ad oggi – escluse le campagne on air nell’ultimo anno – tematizzati per categorie e introdotti da esperti della comunicazione).

E che dire dello scempio fatto delle risorse arte e cultura che da fonte inestimabile di entrate e crescita sono oggi costo per la collettività? Non a caso, Upa propone il rapido spostamento delle deleghe sul turismo e sui beni culturali al Ministero dello Sviluppo economico. Non è più tollerabile che la totalità dei musei italiani incassi meno del solo Louvre.

E ce n’è anche per la Rai, l’idea di intervento già lo conosciamo, una Rai pubblica conferita a una Fondazione  in cui siano rappresentati tutti i settori socio-economici e territoriali del Paese. Una rete generalista, senza pubblicità, sostenuta economicamente da un canone reso obbligatorio dal pagamento nella bolletta elettrica.

Arrivando così all’ultima delle proposte, che è poi la prima, così come nell’ordine citato da Sassoli, perché senza gli investimenti tutto crolla. Ecco allora la definizione di un tax credit (l’intervento di Antonio Catricalà, vice ministro allo Sviluppo Economico ha lasciato ben sperare sulla sua fattibilità avendolo già presentato come emendamento alla finanziaria, così come riguardo alla proposta di una Fondazione Rai, visto che a maggio 2016 si dovrà legiferare nuovamente per attribuire all’azienda la funzione di servizio pubblico, ma pure in termini di impegno pro banda larga, dal medesimo ragionata a livello europeo, unica e con stessa velocità) per gli investimenti pubblicitari incrementali, fino a un tetto del 10% per recuperare quanto perso negli ultimi anni (3 miliardi dal 2007).

Anche perché la ripresa metterebbe al riparo tutta l’editoria italiana da una crisi senza precedenti che rischia di minare la stessa garanzia democratica. E inoltre il rilancio della comunicazione pubblicitaria sta alla risalita dei consumi così come quest’ultima sta alla ripresa della crescita economica. Insomma, un intervento in tal senso è davvero necessario.