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Seconda giornata Summit Upa. Più specialistici gli interventi. Spazio alla creatività, quella dentro e quella fuori dal sistema. Ma anche il parere di Sassoli su Rai, investimenti, media. Il tutto con un po’ d’amaro in bocca, perché per gli ‘over ‘ l’orizzonte non può che essere di breve

Dopo i plausi alla giornata d’apertura, infatti, a conclusione di questo Summit Upa vale la pena di sottolinearlo. Purtroppo tra palco e platea pochi i giovani intervenuti (stendiamo poi un pietoso velo sulla presenza di donne. Daria Bignardi a parte, in un ruolo di voce narrante del Summit, non se n’è vista una). Certamente potendo obiettare che a pagare è stata la competenza e che probabilmente in attesa che i millennial crescano un certo ‘buco’ generazionale c’è. Ma è il caso di ammettere che se a trainare in Italia non saranno loro, è difficile poter guardare a una rivoluzione con il senso nel lungo. L’età che avanza, infatti, ti porta a concentrarti sul qui e ora, o poco più distante, declinando la volontà più che nell’investimento sul nuovo, sui grandi programmi che daranno frutti nel tempo, nella salvaguardia di interessi e posizioni acquisite, indipendentemente dal loro influsso sullo stato dei prosperi.

Ma lo scopo non è polemizzare. Così, fatta la nostra bonaria predica a Lorenzo Sassoli de Bianchi (nel video vi proponiamo l’Upa opinione su temi quali Rai, media, investimenti, pubblicità, credibilità e sostenibilità grazie all’intervista che Valentini di Repubblica ha fatto a Sassoli), nella speranza che tra tre anni nel prossimo incontro l’Upa sappia tenerne conto, teniamo a dirvi che tra i vari interventi che si sono susseguiti (Johannes Kastner, fondatore dell’agenzia Kastner & Partners; Philip Napoli, docente di media measurement della Fordham University – NY; Michael Tchong, fondatore di ‘Social Revolution’) sicuramente quello di Lorenzo De Rita (dopo un passato glorioso nell’advertising internazionale sotto l’egida della sigla Euro RSCG, oggi si qualifica come direttore ‘The Soon Institute’) ha regalato un’apertura in più.

Nel titolo a questo pezzo, la sua voce l’abbiamo classificata come la creatività fuori (al dentro ci ha pensato Bruno Bertelli, direttore creativo esecutivo Publicis, sottolineando come più che big l’idea deve essere long, ossia durare, scongiurando però i pericoli di uno sfruttamento oltre limite che risulterebbe addirittura controproducente. Ovviamente citando a benchmark il lavoro ‘Are you still with us’ per Heineken, che tanti premi ha fatto meritare al nostro paese, pure sul podio del Cannes di due anni fa), ma sarebbe stato ancora più giusto chiamarla voce che per farsi sentire più che urlare sa che deve unirsi ad altre. Sapendo che questo continuo chiacchierio individuale e disgiunto non sono voci forti, è rumore.

Comunicazione, infatti, significa condividere, che deriva dall’aggettivo comune, ossia unito ad altri con l’obbligo di partecipare. Non a caso, l’idea ha bisogno di due geni, quello che ce l’ha e quello che la capisce e come tale non appartiene al singolo, è matrimonio (non patrimonio), maternità (non paternità). Dunque responsabilità. Duecento trilioni di mezze idee, poi, non ne fanno una. Inclinazione significa tensione, che significa attenzione, che è la vera immaginazione, con la volontà di prendersi cura delle cose. Marche, aziende, clienti, pensieri, intelligenza, persone, ambiente, che siano.

Riferendo il tutto a quel sentiment di apparente disprezzo (in realtà è amore, meglio innamoramento critico) che De Rita ha nei confronti della pubblicità. Specie quella contemporanea. Definita cinica, auto indulgente, furba, guidata da interessi, ego riferita, facile. Insomma, una persona che si preferirebbe non conoscere e con cui non si vorrebbe entrare in relazione.

Eppure la creatività per vivere ha bisogno di relazioni. Ma non quelle finte che spopolano oggi addomesticando il nostro pensiero a ciò che è conveniente e rapido. Si parla di quelle vere.