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Sarzana/Zooppa e Stigliano/H-Hart a proposito dell’ultimo SXSW: la tecnologia non è più di nicchia. Responsive Retail, Internet of Things e Self-Driving Car. Ma anche contesto, salute e robot umanizzati. E alla comunicazione un monito: costruite esperienze che alimentino i contenuti, le campagne si fanno poi, di conseguenza

Da scoprire, inoltre, il ruolo dell’arte, di cui ci parla Giuseppe Folonari, strategic advisor H-Art, nel video, girato a Austin, che vi invitiamo a guardare prima di proseguire con la lettura dell’intervista a Matteo Sarzana, general manager Zooppa, e Giuseppe Stigliano, head of connected retail H-Art.

 Matteo sbaglio, o questo SXSW è stato effettivamente meno denso d’innovazione di quello passato?
“Definirei questo SXSW meno ‘sensazionalistico’ rispetto all’edizione dell’anno scorso. Sono scomparsi i grandi eventi di presentazione delle startup e i grandi spazi affittati per fare show-off e presentare le proprie idee al pubblico. Questo non vuol dire che ci sia stata meno innovazione rispetto al passato, anzi, probabilmente questo mancato sensazionalismo ha finalmente decretato la presa di coscienza del fatto che non si stia più parlando di temi che riguardano solo poche persone o un futuro molto lontano, ma la vita quotidiana di tutti noi. Se guardiamo alle innovazioni presentate a SXSW negli ultimi anni, ci possiamo rendere conto di quanto sia aumentato il tasso di adozione e si siano ristretti i tempi in cui vengono accettate le nuove tecnologie. Come è stato detto in uno dei panel di apertura, la tecnologia sta diventando natura(le) e quindi ci stupiamo di meno rispetto a quanto vediamo. Diventa ancora più interessante valutare, invece, l’impatto che le tecnologie stanno avendo sulla nostra vita, come stanno influenzando la medicina, quali sono le frontiere etiche e legali. Questo proprio perché, non essendo più un fenomeno di nicchia, l’impatto è su centinaia di milioni di persone”.

Giuseppe, quali sono le due o tre cose che vi sono e vi resteranno più in mente perché secondo voi segnano i trend in divenire?
“Sicuramente al primo posto, il Responsive Retail: le tecnologie di proximity marketing, Beacon in primis, che costituiscono ormai stabilmente un ponte tra brick & click, ovvero tra i punti di vendita fisici e il mondo digitale. Questo significa che lo spazio fisico smette di essere passivo e comunica con le persone in modo attivo e sempre più personalizzato. Business Insider stima nel mondo 570 milioni di smartphone compatibili con la tecnologia BLE (Bluetooth Low Energy) su cui si basano i Beacon e una progressione esponenziale del numero di dispositivi installati nei prossimi anni.

Segue a ruota Internet of Things (IoT): nel giro di pochissimi anni il numero di oggetti connessi a internet passerà dagli attuali 15 miliardi circa a circa 50 miliardi (entro il 2020 come si evince dall’analisi di Cisco). All’interno di questo comparto, hanno ricevuto grande attenzione a SXSW le tecnologie indossabili, che diventeranno sempre più accessori discreti ad alto contenuto di tecnologia, scalzando definitivamente gli ingombranti dispositivi che hanno contraddistinto la prima ondata di wearable.

Infine, le Self-Driving Car: Tesla quest’estate rilascerà un aggiornamento del software di tutte le sue auto che abiliterà la funzione pilota automatico in autostrada. Google dichiara di essere pronta con questa funzione da due anni, ma di essersi concentrata sull’arricchimento del software affinché il pilota automatico funzioni dovunque e non solo sulle strade ad alto scorrimento. Molte case automobilistiche hanno già presentato, o annunciato, dotazioni di questo tipo sui modelli che saranno messi in commercio entro i prossimi tre anni. È evidente che ci siamo, le auto intelligenti sono già realtà. Pensiamo alle ripercussioni che questo avrà sulle assicurazioni, sugli studi legali specializzati in infortunistica stradale, sul settore degli autotrasporti, sulle vite di coloro che in auto passano molte ore e su tutto quello che potranno fare nel tempo che avranno a disposizione in auto”.

Matteo, è emersa prepotente l’importanza del contesto. In che senso?
“Se è vero che la tecnologia semplifica la nostra vita, è ancora più vero che aumenta la complessità per chi deve entrare in contatto con i consumatori. Le persone, infatti, con il crescere della pervasività della tecnologia, nei confronti dei brand hanno aspettative sempre più alte.

Se nell’ultimo decennio questa complessità è stata dettata dal proliferare di schermi e piattaforme, la sfida del prossimo futuro sarà prendere in considerazione non solo il singolo consumatore e le sue esigenze/preferenze, ma anche il contesto all’interno del quale avverrà il contatto brand-consumatore.

Il contesto è tutto quanto non può essere controllato dal brand: luogo di consumo dell’informazione, tempo atmosferico, persone presenti oltre al consumatore in quel momento.

Per fare un esempio concreto, la notifica di Nike che ti invita a percorrere più passi, sarà funzione del mio pattern normale, ma sarà anche influenzata dal tempo atmosferico, dalla location, dai miei dati biometrici, e altro ancora, rendendo di fatto sicuramente più complesso, ma anche straordinariamente pertinente, il contatto con il brand. Sarà tempo per i brand di cominciare a stilare dei Piani di Contenuto per far fronte a questa rivoluzione”.

Che dire in merito al grande contenitore ‘salute’?
“Ho come l’impressione che la prossima ‘lobby’ a crollare sarà quella della salute. Stanno proliferando piattaforme che mettono il potere nelle mani dei consumatori. Non come sostituti dei medici, sia ben chiaro, ma come consumatori attivi nella scelta del medico, delle cure e dei dati connessi alla propria salute. Un passaggio quasi obbligato in un mondo dove il numero di malati è in aumento costante, ma non cresce alla stessa velocità il numero di medici in grado di curarli. Queste piattaforme si troveranno davanti a una sfida interessante, ovvero quella di dover garantire la sicurezza dei dati di chi vi farà affidamento”.

E la casa, sempre più robotica?
“Oltre ai droni e agli oggetti intelligenti che già comandano parti della nostra casa (Nest, Dropcam), si sta affacciando una nuova generazione di robot che sarà molto più vicina a un assistente reale, di quanto non possiamo immaginare. Jibo ne è forse la massima espressione. Saranno in grado di coniugare emozioni e capacità cognitive, di relazionarsi con le persone e di fornire loro assistenza. Insomma, veri e propri ‘esseri di casa’ che potranno insegnare ai bambini e prendersi cura delle persone bisognose. Nel frattempo, Amazon ha ottenuto il via libera per testare le prime delivery via drone”.

Giuseppe, abbiamo pubblicato la vostra pillola sulle 10 tendenze retail by app. Ovviamente era un assaggio di un contenuto più ampio. Visto però il successo di lettori riscontrato, ci dici qualche cosa di più approfondito in merito?
“In generale nel mondo del retail ci si pone l’obiettivo di rivoluzionare la customer experience combinando i punti di forza dello spazio fisico, in cui avvengono le relazioni tra persone, con le dinamiche proprie del mondo digitale e le più recenti evoluzioni tecnologiche. Questo stravolgerà il rapporto delle persone con i prodotti e i servizi, rendendolo più rilevante grazie alla personalizzazione dei messaggi basata sui big data e di conseguenza più efficace, perché riduce la dispersione e incontra meno barriere nel destinatario. Nel concreto le persone cominciano ad aspettarsi che, come nell’online, il retailer fisico tenga conto dello storico degli acquisti, delle preferenze espresse, dello scontrino medio, della composizione del nucleo familiare e altro ancora. Per ottenere questo beneficio i consumatori possono valutare di cedere un certo numero di dati, ma è importante che ne traggano un vantaggio in termini di semplificazione, pena l’effetto boomerang. Un trend interessante che riguarda particolarmente alcuni settori come il lusso, il fashion e l’elettronica – ma non solo – vede i punti di vendita trasformarsi in un medium in cui dar vita a esperienze multisensoriali disegnate per incantare i consumatori rendendo i prodotti ‘magici’. In questa visione il punto di vendita è quindi uno show room in cui mettere in scena i prodotti e non più un contenitore di merci. La transazione economica e il ritiro del prodotto diventano una commodity da relegare a una fase marginale dell’esperienza, anche in differita rispetto all’esperienza vera e propria”.

Matteo, altro da aggiungere?
“Mi ha molto colpito come, partendo da qualche cosa di consolidato come il pack, si possano creare esperienze di brand completamente nuove. Questo avviene quando la confezione è un veicolo tramite il quale si può ingaggiare il consumatore in funzione del contesto. Ne sono degli esempi concreti, la bottiglia di una bevanda energetica che ‘capisce’ il luogo in cui viene consumata. Next glass app, invece, in base alla tipologia di vino che piace a un consumatore propone altri vitigni che potrebbero piacere altrettanto. Coffee mate app, un notiziario video che ha la medesima durata del consumo di caffè”.

Per concludere, Giuseppe, quali lezioni possiamo trarre in termini di comunicazione, cosa e come deve cambiare il modo di essere agenzia, ma anche piattaforma crowd, realtà web, consulente?
“La lezione principale è che il digital non è una disciplina o una funzione aziendale. Il digital è come l’elettricità. È un layer che attraversa orizzontalmente il mondo in cui viviamo, abilitando un’infinità di nuove possibilità. Se non si comprende e si fa propria questa visione, scardinando i silos verticali che imprigionano le interazioni tra i team d’agenzia (e d’azienda) si rimarrà prigionieri di un mondo che non esiste più. Lavorare per un brand oggi, sia sul fronte dell’agenzie sia su quello dell’azienda, significa costruire esperienze in grado di alimentare la produzione di contenuti sui quali impostare successivamente le campagne di comunicazione. Significa essere profondamente convinti che tra pochissimo le esperienze off line non esisteranno più, perché progressivamente tutti gli oggetti che ci circondano saranno connessi tra di loro e con le persone”.

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