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Women in Cdp Direction, Ada Bonvini, Partner ed Executive Producer The Family: che le donne siano poche nell’industry culturale è ancora più grave che nel resto. Smettiamo di autocensurarci. E che il sistema smetta di pretendere da noi il doppio prima di considerarci. Modelli e mentori femminili sono cruciali per aprire la strada. Ps ho due soci maschi

Perché i produttori donna sono in minoranza, in Italia e nel mondo?

“A costo di ripetersi credo che la nostra industry sia in linea con tutte le altre dove i ruoli di leadership sono ancora saldamente in mano agli uomini. Mi sento di sottolineare come nell’industria culturale sia ancora più grave la carenza di talenti creativi femminili di rilievo. Penso in particolar modo alle registe, direttori della fotografia, sceneggiatrici e via discorrendo. I numeri in questi campi sono impietosi. E il riflesso culturale di questa mancanza è uno dei problemi da risolvere per costruire un immaginario diverso per le generazioni future”.

Però questa è una industry ricca di donne, cosa manca per permettere loro di fare carriera, cosa vorresti cambiasse?  

“Penso ci siano due livelli che vadano considerati. A livello macro è evidente che il sistema di potere, il riconoscimento del valore e i meccanismi per ‘avere successo’ sono ancora fortemente modellati su un sistema maschile che ha radici profonde e lontane nel tempo. Non è pensabile e forse nemmeno auspicabile sostituirlo in breve tempo ma si può lavorare per migliorarlo, aprirlo a sensibilità diverse e contaminarlo. Solo attraverso un modello alternativo, più inclusivo e sistemico le donne potranno esprimersi al meglio e avere vere opportunità.

L’altro livello è quello culturale famigliare e educativo. Le donne tendono molto spesso a non vedersi in ruoli di potere, ad autolimitarsi, a stare un passo indietro e non essere visibili. Credo che in parte sia dovuto alla carenza a livello macro di un sistema in cui si riconoscano più spontaneamente, ma in gran parte è anche dovuto ai differenti modelli educativi che ricevono dalle famiglie e dal sistema educativo.

In entrambi i casi credo che la cosa fondamentale sia la conoscenza, la consapevolezza di chi siamo nel mondo e dell’importanza dei valori che portiamo. E soprattutto la certezza che niente ci è precluso se davvero lo desideriamo”.

Nella tua storia personale, qual è la difficoltà maggiore che hai trovato e a chi o a cosa dai invece il merito per avercela fatta?

“Nella mia storia lavorativa mi sono resa conto di non aver avuto una grossa difficoltà ma tante piccole e insidiose difficoltà di cui spesso mi sono resa conto tardi. E’nelle somme delle piccole insidie che credo stia il problema per molte donne. Dal fatto di dover fare il doppio della fatica per essere riconosciute (non si capisce perché debba succedere) al fatto di non chiedere parità salariale o di ruolo in caso di pari competenze, dal sentirsi in difetto sul tema della maternità e via discorrendo.

Ho la fortuna di aver avuto un’educazione molto libera da parte dei miei genitori e questo mi ha fatto crescere con molta capacità di autodeterminazione e poche barriere culturali. Credo che questo sia stato un elemento fondamentale per la mia crescita (anche) professionale. Inoltre ho avuto dei modelli di donne intraprendenti penso ad esempio a mia nonna che mi hanno aiutato molto ad ampliare i miei orizzonti. I modelli e mentori femminili sono cruciali per aprire la strada alle donne e creare una società migliore”.

La produzione di cui sei più orgogliosa e quella che ti piacerebbe aver firmato?

“Sono tante le produzioni di cui vado fiera ma una delle cose di cui sono più orgogliosa è aver costruito insieme ai miei due soci (rigorosamente maschi) una società in cui c’è molta attenzione e sensibilità all’ambiente di lavoro, alla qualità di quello che facciamo e del come lo facciamo”.

Prossime sfide?

“Dal punto di vista professionali sono tante, quella più grande è quella di continuare a crescere e aumentare le mie capacità per affrontare nuove sfide, imparando ogni giorno qualcosa di nuovo. Dal punto di vista personale quella di crescere i miei due figli maschi in modo libero, perché in fondo anche gli uomini sono spesso prigionieri di ruoli e convenzioni di cui faticano a rendersi conto”.