Youmark

‘Si fa presto a dire spot’. Puntata numero quattro delle ‘lezioni’ di Betty. Lo ha chiesto alle cdp. A Marcello Noera, Akita Film, e Jacopo Mauri, Mercurio Cinematografica. Sia che li ragioniate di pancia o di metodo, i film hanno bisogno di un brief. E sapete in cosa sono più carenti? Reference, budget e on air. Non siete d’accordo? Leggete e poi diteci la vostra

Ciao. Mentre stavo finendo di scrivere il tema di questo quarto appuntamento con le ‘mie lezioni’, mi è venuto qualche dubbio, così ne ho inviato bozza a un vecchio amico che di spot ne sa parecchio. Lui l’ha letta e mi ha scritto una risposta che più o meno recitava così: “Sì tutto giusto, non hai detto una marea di cazzate*, ma personalmente non faccio nulla di quel che dici, ragiono di pancia tanto che non sopporto chi all’uscita dal cinema si mette a commentare un film, soprattutto se bellissimo”.  (
* ma su youmark si potrà scrivere la parola “cazzate”?)

Ah sì? Sembrava una sfida e così l’idea di archiviare per ora il vecchio articolo per preparare per lui e per qualche altro addetto ai lavori una serie di domande su come si legge uno spot. Iniziamo appunto dal mio ‘contestatore’ (avete notato che nello scrivere questo articolo ho abbandonato definitivamente il NOI?). E’ Marcello Noera, anima creativa di Akita Film.

Come spiegheresti il tuo lavoro a un bambino di dieci anni?

“A mio figlio l’ho spiegato così: ‘…è infinitamente meglio che lavorare davvero…’, e lui: ‘ma se alle 2 di notte sei ancora attaccato all’Ipad!’, e io: ‘ma quello è solo un problema di fuso orario personale…’.

Non credo che il punto sia saper spiegare, piuttosto riuscire a far ‘sentire’, è così che, senza consapevolmente deciderlo con mio figlio Tom, mi sono spesso trovato a condividere uno script, poi il relativo trattamento del regista poi il dir cut e infine ciò che è andato in onda. Senza spiegare il processo di sviluppo sarebbe stato impossibile spiegare il ruolo. Mi ha chiesto spesso qual è il percorso da fare ma ho sempre tenuto duro ripetendo come un mantra che prima della technicality dev’esserci la sensibilità, la diversa prospettiva, l’intelligenza emotiva insomma tutto ciò che non è trasferibile ma solo affinabile”.

Invece come lo spiegheresti a un cliente? Ha!

“Ha! Lo dico io… dipende dal cliente ovviamente, dalla sua conoscenza reale dei meccanismi gara-produzione, dalla sua sensibilità e dall’amore per il suo lavoro”.

Sostieni che gran parte dei tuoi giudizi su uno spot o su una reel provengano dalla pancia, dall’istinto. Ci puoi spiegare meglio questo processo?

“In pratica non faccio NULLA, ho addestrato il mio cervello a essere libero da condizionamenti e ci sono voluti anni per riuscirci davvero, libero dalle mille pressioni e ansie che il nostro ambiente ama generare. Immagina un manometro collegato alla vista e di conseguenza al cervello che decide autonomamente se farti ridere, piangere, sudare le mani o i piedi e anche altre reazioni su cui non mi soffermerei, tra queste anche il nulla assoluto (spesso). Normalmente questo ‘esercizio’ avviene durante la mia comfort zone, dalle 23 alle 3 di notte, prima di svenire.

Se il manometro sale prepotentemente, non faccio altro che schiacciare un tasto che mi permetterà di ritrovare al risveglio il link a quel film nella mia posta per poterlo riguardare e confermare o meno il verdetto. Percentuale assodata di affidabilità dello strumento in prima battuta: superiore all’80%. Comunque, se il manometro alla visione mattutina reagisce raggiungendo ancora la zona rossa, passo alla fase successiva: contatto il regista, ci faccio una chiacchierata via skype e il quadro è completo, dopo la chat non sempre un quadro positivo, ma certamente completo. Ricordo la prima volta che incontrai il nostro Enrico Mazzanti dopo aver visto i suoi primissimi acerbi lavori. Fui un po’ aggressivo, ma così mi suggerì di comportarmi la mia pancia (rieccola) e ci accordammo subito. Feci bene, benissimo. Un diamante grezzo, a brevissimo se ne parlerà molto”.

D‘accordo, ma quando vai a prendere il famoso brief in agenzia, ci sono delle indicazioni precise, non dirmi che anche lì vai a istinto, forse non te ne accorgi ma immagino che tu, come tutti, ragionerai per categorie in cui hai anche inconsapevolmente incasellato le regie, sbaglio?

“Certo, qui entra però in gioco il match tra creatività e/o tipologia di prodotto: in alcuni casi ci viene richiesto un prodotto standard, magari solo di posizionamento marca o informazione prodotto. In questo caso il rifarsi alle varie categorie di stile (con filtro budget ben attivato) è inevitabile ed efficace. Ma anche una grande creatività può far salire il manometro a monte del film e, sempre con un occhio al budget, il bacino di regie a cui attingere si fa molto più ampio. 

Se alla base del brief c’è un’emozione di qualsiasi tipo, quante sfumature di emozione hai provato nella tua vita? Infinite, appunto. Quindi, non incasellabili in assoluto. Lì inizia il bello…”.

Nella tua lunga carriera in pubblicità ti ricordi la situazione più strana che ti sia mai capitata in un brief?

Silenzio…

Dai, ti aiuto io. Una volta sono stata chiamata da una cdp per un regista di auto. Peccato che non esistesse nè script nè brief nè animatic. Insomma non c’era niente. Nel nostro immaginario, forse un pò ristretto, uno spot ‘di auto’ significa ampie strade pittoresche sulle quali fare viaggiare l’auto guidata dall’uomo invisibile, ma la verità è che molti spot di automobili, soprattutto quelli esteri, l’auto la mettono a malapena negli ultimi 3 secondi finali. Cioè, quindi, poteva essere che per quel famoso spot ci volesse uno che raccontava storie o un regista specializzato in comedy, chissà. E così gliel’ho fatto notare e non mi hanno mai più chiamata. Tu?

“Bastarda… sai perfettamente che potrei scriverne un libro intero…Ma Akita non ha nessuna intenzione di fare la tua fine”. (Nda: ride)

Se potessi dare un suggerimento alle agenzie da cui ritiri i famosi brief, cosa suggeriresti per aiutarti a fare meglio il tuo lavoro? Ci sono delle parole chiave spesso utilizzate ma che per noi che facciamo la ricerca regia sono totalmente inutili e altre invece che andrebbero usate di più?

“Ci sono agenzie che preparano brief molto dettagliati, altre che presentano solo un A4 con un abbozzo di script (magari anche non definitivamente approvato).In realtà non ho ancora messo a fuoco quale dei due preferisco. Per certo le 3 informazioni che non dovrebbero MAI mancare sono: 

TONE REFERENCE (possibilmente un film che abbia senso rispetto al budget ed evitando di citare Lurpak, Dougal Wilson, Lance Acord o Seb Edwards…BUDGET (quello vero pattuito con il cliente) ON AIR (l’unica dead line che dovrebbe contare davvero se l’obiettivo è ottenere un prodotto di serie A).

Ultima domanda. Nel mio precedente articolo parlavo delle diverse parti in cui può essere scomposto un film o uno spot ai fini del giudizio e sono partita dall’emozione. Ci fai vedere un esempio di uno spot che ti ha emozionato?

“Farò di più, ne approfitto per allargare il concetto di ‘emozione’ oltre la lacrima o la pelle d’oca, evitando i P&G ed i John Lewis, le mamme, i papà, i bambini, i pinguini e gli anziani:

E’ la mia mela. Una volta al giorno la ascolto con volume a palla, in Akita lo sanno bene e anche i vicini… stiamo cambiando uffici!”.

Perfetto, ma se da un lato c’è chi ragiona di pancia, c’è anche chi ha un approccio forse più razionale o affine a quello proposto nella precedente ‘lezione’. State a sentire, ho rivolto più o meno le stesse domande a Jacopo Mauri responsabile reparto ricerca regia di Mercurio Cinematografica.

Come spiegheresti il tuo lavoro a un bambino di dieci anni?

“Con qualcosa come: ‘ Sono Mr. Wolf e risolvo problemi’, poi passerei il pomeriggio a spiegargli che wolf non è il lupo cattivo”.

Invece come lo spiegheresti a un cliente? Ha!

“A un cliente direi che il mio compito è formulare valide proposte di regia che soddisfino al meglio le sue esigenze”.

Al telefono mi hai ribadito che nel momento in cui giudichi uno spot o una reel ti attieni aun procedimento analitico, ci puoi spiegare meglio questo processo? Immagino che tu, come tutti, ragionerai per categorie in cui hai anche inconsapevolmente incasellato le regie, giusto?

“Non tanto inconsapevolmente. ‘Incasello’ le regie in  ‘categorie’ perché così è più facile ricordarsene al momento giusto. Non è tutto qui, però, altrimenti sarebbe un po’ riduttivo, basterebbe un database ben organizzato. Un buon lavoro di ricerca è fatto da metodo e creatività, da analisi e sintesi. Le ‘categorie’ servono per organizzare gli stili e i percorsi dei registi, l’intuito aiuta a riconoscerne le potenzialità. L’analisi di ogni elemento della reel (cast, recitazione, fotografia, montaggio ecc….), invece, serve per capire se il regista ha più o meno possibilità di vincere quella specifica gara. Naturalmente se trovo un regista molto bravo che si allontana dal brief vale sempre la pena di provare. Uno degli aspetti più belli della ricerca è quando si vede un film ‘specifico’, per esempio di food, realizzato da un regista che non diresti mai. Penso ai Lurpak di Scott Lyon o di Juan Cabral. Oltre alla sorpresa, penso che ci sia molto da imparare da questi casi”.

Nella tua carriera in pubblicità ti ricordi la situazione più strana che ti sia mai capitata in un brief?

Silenzio…

Anche tu? Non ti sbottoni?Allora ne rivelo un’altra io. Una volta, non tantissimo tempo fa, per la verità il ‘brief’ mi arrivava dall’estero, dalla Russia, mi hanno chiesto un regista che avesse in showreel una mucca. Non interessava dove fosse la mucca, chi fosse il cliente, quale il tipo di comunicazione, volevano solo vedere una mucca. Ho fatto qualche obiezione e indovina un po’, non mi hanno mai più chiamata neanche lì. Tu?

“Ricordo una gara per uno spot automotive. L’agenzia era particolarmente sensibile sul tema della regia in questo caso, perché il testimonial della campagna, a detta dell’agenzia, era una famosa pop star americana. Dopo aver speso parte della mattinata e il pomeriggio cercando possibili regie in quella direzione, la mattina dopo mi presento al brief. Mi sono trovato in questa grande sala riunioni, l’ambiente era abbastanza formale dato che stavamo dal cliente, il direttore creativo inizia a spiegarci il brief e dopo pochi minuti, introduce il testimonial: un famoso pilota di formula uno. Non sono riuscito a trattenere le risate, fortunatamente non sono stato l’unico, altrimenti non avrei saputo come giustificare la mia reazione”.

Se potessi dare un suggerimento alle agenzie da cui ritiri i famosi brief? Cosa consiglieresti per aiutarti a fare meglio il tuo lavoro? Ci sono delle parole chiave spesso utilizzate ma che per noi che facciamo la ricerca regia sono totalmente inutili e altre invece che andrebbero usate di più? Ci sono informazioni che dovrebbero essere essenziali e che alle volte mancano?

“Ho notato che i brief sono molto diversi, a volte sono molto dettagliati, altre confusi o addirittura contraddittori. Più delle parole, mi sembra utile l’uso delle reference, magari non sempre le stesse… . Vorrei che l’esempio per il ‘tono naturale’ o per “persone vere, non attori…..’ non fosse sempre uno spot Apple. Un’informazione altrettanto importante che manca quasi sempre è il budget. Non capisco perché sia difficile capire che è primaria, definisce il livello del progetto e quindi il livello della regia. C’è invece una parola che vorrei sparisse per sempre dai brief: “fresco”, perché non racconta gran che”. Verissimo! (Nda)

 La vostra casa di produzione è nota per essere una delle pochissime rimaste in Italia in grado di far crescere dei registi al suo interno, di investire su di loro e di essere per così dire incubatrice di talenti. Ci puoi spiegare come fate e secondo te perchè poche altre realtà italiane ci riescono?

“Ci piacciono i nuovi talenti e li sosteniamo, perché pensiamo possano dare di più per entusiasmo e passione. Negli anni ci è andata bene e adesso, in qualche caso, agenzia e cliente si fidano e ci danno credito. Come facciamo? Beh, ci vuole pazienza e un po’ d’occhio, poi bisogna dare fiducia e spingere per permettere ai giovani di crescere, credendoci. Forse gli altri non lo fanno perché è più facile affidarsi a registi già ‘consolidati’, comportano meno rischi e sono più solidi in presentazione. Portare avanti un regista giovane e meno esperto è strada in salita, è più faticoso. Cerco di dedicare più tempo possibile alla ricerca di nuovi talenti andando ai festival e cercando anche al di fuori dallo stretto mercato pubblicitario. Questo è l’aspetto più interessante del mio lavoro. Sarebbe bello, un giorno trovare un nuovo Capotondi”.

Come già detto, nel precedente articolo si è parlato delle varie parti in cui può essere scomposto un film o uno spot per giudicarlo. Siamo partiti dall’emozione; ci fai vedere un esempio di uno spot che ti ha emozionato?

“Questo per me è davvero toccante”.

Ricapitolando, sia che si giudichi un progetto in maniera spontanea o si applichi un approccio più razionale, sembra di intuire che al momento di ricevere un brief, l’esigenze principali, qui sottolineate come essenziali, ma lacunose, siano reference, budget, on air. Facendo sparire per sempre l’aggettivo: ‘fresco’!.

Ma come mai non ci si è già allineati per soddisfarle? Perché non fare qualche cosa a riguardo? Dopotutto si lavora per lo stesso fine. Dunque, creativi e clienti, ne parliamo?
 Come vedete, qua sotto c’è un bello spazietto rettangolare. Serve per i commenti, giuro, non morde! Lasciatemi i vostri, così magari ci confrontiamo.
Per ora è tutto, alla prossima,
stay tuned.

Chi è Betty Codeluppi

Nasce in Emilia. Dopo una laurea in Storia dei Trattati Internazionali conseguita a Bologna presso la Facoltà di Scienze Politiche, si trasferisce a Milano, dove inizia a lavorare nell’ambito della comunicazione integrata. Scrive centinaia di comunicati stampa, scrive su diversi House organs istituzionali, sulla ‘Guida al lavoro’ del Il Sole 24ore ed è ghostwriter per alcuni funzionari che ricoprono alte cariche nel territorio lombardo. Nel 2001 si trasferisce a Barcellona per due anni. Facendo avanti e indietro con la Spagna, passa molto tempo in aereo e incomincia a scrivere brevi racconti di viaggio. Apre una società di rappresentanza registi (la fromAtoZed) e inizia a lavorare come personal producer per registi italiani e stranieri. Vince una borsa di studio e si sposta a Los Angeles, dove frequenta alcuni corsi di regia presso la University of Southern California. Rientrata in Italia si trasferisce stabilmente a Milano. Riprende il lavoro di personal producer e agente e, nel frattempo, scrive sulla sua pagina Facebook e sulla sua pagina autore (Serial Lover);  i suoi post sono caratterizzati da grande ironia e senso analitico. Si occupa di costume, società e scrive racconti brevi che spaziano dal mood noir a quello più leggero e scanzonato. La sua prima pubblicazione è per l’opera collettiva Annuario delle Droghe, AAVV, Nobook. La seconda è il romanzo ‘Bye bye Milano’ per Nobook.