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Retail, il fascino delle origini. Brunelli e Caprotti ancora oggi protagonisti. Lo racconta Acqua Group

E’ incredibile come certi luoghi facciano oramai talmente parte del nostro vissuto quotidiano da farci pensare che esistano da sempre e come altri si facciano strada nelle nostre abitudini di consumo con una velocità e un successo sorprendenti.

E’ il caso di brand consolidati come Esselunga – attivo nella grande distribuzione organizzata italiana con i suoi supermercati e superstore contraddistinti dalla caratteristica S allungata ideata dal designer svizzero Max Huber negli anni ’50 – e di nuovi arrivati come Il Centro – il mall più grande d’Italia, uno dei più grandi d’Europa, firmato da Michele De Lucchi, recentemente inaugurato ad Arese dove un tempo sorgeva l’Alfa Romeo.

Per una volta, vogliamo sottrarci a qualsiasi considerazione relativa alle tendenze nel mondo del retail e ai cambiamenti socio-culturali in atto, alle sfide poste dallo shopping on line e alla necessità di integrare operazioni di comunicazione off line e online, alla cultura quale valore economico e alle necessità di fidelizzazione del cliente.

Per una volta vogliamo condividere il fascino di una storia, quella del Retail e di uomini che hanno contribuito a costruirla. Per farlo, dobbiamo fare un salto indietro nel tempo, guidati dal racconto di Victoria de Grazia, professoressa di storia alla Columbia University di New York.

All’inizio di questa storia, in linea di massima, in Europa le istituzioni della vendita al dettaglio erano sostanzialmente due: la bottega sotto casa – decentrata, dall’aspetto poco curato, in cui il prezzo della merce veniva calcolato al momento del peso e dove si poteva pagare a credito segnando l’importo sul conto mensile, e il grande magazzino – collocato nel centro cittadino, dispensatore di lusso e rispettabilità, in cui le merci erano esposte sontuosamente, separate per reparti e ogni articolo era corredato da un cartellino riportante il prezzo rigorosamente fisso.

Nel periodo tra le due guerre mondiali, la crisi economica fece emergere negli Usa una terza via nel panorama della distribuzione al dettaglio: la catena di negozi a prezzo fisso, che vendevano un po’ di tutto, caratterizzati dalla fissazione del prezzo fra non più di 5 o 6 importi diversi, in cui le merci erano esposte in reparti diversi a seconda del prezzo, dall’assistenza ridotta allo stretto necessario e dal risparmio rispetto a merci analoghe acquistate in grandi magazzini o negozi specializzati, nonché dalla collocazione in zone cittadine più periferiche. In Italia era il caso dell’Upim, che a Roma sorgeva in via più popolari rispetto a La Rinascente, che era situata nell’elegante via del Corso.

Anche l’aspetto del negozio (spazi lindi e rettangolari, scaffali ordinati, illuminazione vivida e uniforme, commessi che non si davano delle arie), la libertà di muoversi al suo interno e di confrontare tra loro articoli di diversi reparti, la sensazione che a tutti i clienti fosse riservato lo stesso trattamento, il crescente numero di marchi reclamizzati sulle riviste femminili e il fatto che non chiudessero all’ora di pranzo, attraendo anche signore-bene residenti in quartieri più eleganti, contribuirono a dare un importante slancio alla grande distribuzione.

Negli anni ‘40, negli Usa l’abitudine di fare la spesa in un unico punto vendita self-service aveva fatto passi da gigante, ma questa nuova istituzione di vendita richiedeva importanti investimenti di capitale, che tuttavia oltre oceano non mancavano.

Tanto è vero che, l’International Basic Economy Corporation (IBEC) fondata nel 1948 dai fratelli Rockefeller, che a metà degli anni ’50 gestiva supermercati anche in America Latina, desiderava espandersi in Europa. Sebbene all’epoca l’Italia si presentasse come un Paese poco attraente per via della burocrazia e della povertà dei consumatori, le leggi italiane in materia di investimenti stranieri erano le più favorevoli d’Europa.

In questo contesto, per l’Ibec la città ideale era rappresentata da Milano in quanto aveva circa 1,5 milioni di residenti relativamente prosperi rispetto al resto del Paese. Pertanto, gli americani contattarono il vertice del capitalismo industriale italiano: il magnate del tessile lombardo Mario Crespi, Marco Brunelli, erede di un’agiata famiglia di antiquari, e i fratelli Caprotti, produttori tessili conosciuti negli Usa come uomini efficienti e di ampie vedute.

Il fatto che la famiglia Crespi possedesse anche il Corriere della Sera rappresentava un vantaggio in termini di copertura giornalistica e di agevolazione sugli spazi pubblicitari. Nacque così, nel 1957, la Supermarkets Italiani SpA, che poi diventò Esselunga.

Oggi questi uomini sono ancora i protagonisti del mondo del retail: Marco Brunelli, classe 1927, è proprietario di Finiper la società che possiede Il Centro, e Bernardo Caprotti (nella foto), classe 1925, continua ad essere l’instancabile patron di Esselunga.

A cura di Acqua Group

Fonti:

-Il futuro del retail – Future Concept Lab;
Victoria De Grazia, L’impero irresistibile. La società dei consumi americana alla conquista del mondo., Einaudi, 2006;
Esselunga
Marco Brunelli