I lavori di comunicazione che ci piacciono. CareBonara | Le Origini della Carbonara. Praticamente un film, con una regia che dimostra di non temere il confronto con il grande schermo. Ci racconti il dietro le quinte, dal brief alla realizzazione, visto che ne sei anche copy?
“L’agenzia mi aveva inviato mezza pagina con una storia molto carina, con un un inizio e una fine. La fine della storia era perfetta. Funzionava. Con le sceneggiature sono selettivo, ma questa l’ho ho subito amata, perché è emozionante e io amo le emozioni e arrivano alla gente. Qui il potenziale stava nei due protagonisti, molto diversi per cultura e vissuto. E’ sempre una questione di conflitto, le buone storie su questo poggiano e sul modo in cui ognuno vi si rapporta, creando un ponte tra visioni apparentemente lontane. Un altro motivo per cui mi è piaciuta molto è per la causa sottostante. MI lascio spesso coinvolgere da cause sociali. Ad esempio, nel 2020, abbiamo il Grand Prix di New York per Please Arrest me , sensibilizzazione per cambiare le leggi indiane che non prevedono arresto in caso di stupro delle donne all’interno del matrimonio. Per tornare a CareBonara, mi ha catturato il lato umano della storia, il fatto che si potesse parlare di differenze e intenderle come un arricchimento reciproco e pure la libertà creativa che mi è stata lasciata per poter lavorare con il mio occhio la storia. Per avere questo progetto ho presentato quasi 100 pagine di trattamento, trasformando poi la mezza pagina di script in ben18, con tutti i dialoghi. L’intero processo di riscrittura della sceneggiatura è stata una collaborazione con Demetrio Chirico che è un bravissimo copywriter. Io non sono un copy, sono uno sceneggiatore, c’è differenza. Non ero solo a bordo. Ci sono state alcune fasi e alcune mie idee che volevo proteggere, ovviamente, ma tutto il processo è stato fluido, lui ha avuto una mente molto aperta e in meno di due settimane avevamo terminato lo script. Per la verità il tempo stava quasi per scadere perché dovevamo girare tipo un mese dopo, e dovevamo riscrivere tutto. Ma adoro questa adrenalina. A Barilla è piaciuto tantissimo il progetto, ovviamente ci ha messo qualche paletto, perché alla fine lui deve vendere la pasta, ma si è dimostrato molto molto aperto e disponibile a seguire le nostre raccomandazioni”.
In tre giorni di riprese avete fatto tutto. Capacità italiana di trovare soluzioni insperate?
“Quando ho ricevuto il progetto, come dicevo ci sono saltato dentro a piè pari e ho sviluppato davvero più di 100 pagine di trattamento solo per spiegare esattamente come volevo farlo, ma sapevo anche che sarebbe stato molto molto impegnativo per molte ragioni. La difficoltà maggiore in questo film è che si tratta di un film in costume, il che significa che tutto deve essere storicamente corretto. Credo fermamente che un film possa definirsi buono quando puoi guardarlo molte volte e scopri sempre qualcosa di nuovo sia in primo piano che in background. Bisogna evitare qualsiasi anacronismo. Sono stato molto esigente sul casting e su ogni dettaglio che doveva richiamare un’epoca esatta: dalle acconciature ai gioielli indossati, alle scarpe. E tutti questi dettagli costano parecchio. Abbiamo deciso tutti insieme fin dall’inizio di procedere con un approccio da cortometraggio, ma avevamo solo 3 giorni di shooting e 18 pagine di sceneggiatura.
La produzione è stata incredibile perché mi ha seguito, abbiamo fatto le prove il giorno prima e sono stato fortunatissimo ad avere Claudio Santamaria e Yonv Joseph con me. Le prove sono state utilissime, non sempre si fanno negli spot, ma nei film è normale. E’ difficile da credere, ma in 3 giorni ho girato 210 shots. La sfida più grande è che dovevo sapere già esattamente cosa stavo facendo. Ho girato solo due o tre takes per shot.
A volte stavo facendo un set up di 20 minuti e ho avuto il tempo di riprenderlo solo due volte, la scena del ketchup, per esempio, l’abbiamo portata a casa in soli sei minuti. Ma penso che questa sia ormai la norma di come fare cinema ora, nel 2021. Dobbiamo adattarci, è una legge darwiniana. Dobbiamo impegnarci al massimo e io sono sempre pronto ad accettare sfide sempre più grandi perché è l’unico modo per uscire dagli schemi e migliorare. Questi 3 giorni, così come li abbiamo vissuti, non sarebbero stati possibili se non avessi avuto la troupe giusta. A Roma la crew è stata eccezionale, gente piena di talento: mi riferisco soprattutto all’art department, al reparto costumi. Sono arrivati tutti con delle idee incredibili. Ci siamo incontrati un mese prima delle riprese e ne abbiamo parlato molto, a lungo. Sono un regista che si fissa parecchio sui dettagli, se vedessi questo film sul grande schermo scopriresti sempre qualche cosa di nuovo.
Ho sentito che la troupe non era solo lì per lo stipendio, ma erano tutti lì, uniti, nel voler fare qualcosa di bello. Come spesso accade nei lungometraggi, una sensazione fantastica. Eravamo partiti col budget di uno spot da 30 secondi per arrivare a un intero film d’epoca di 10 minuti. Questo è stato possibile solo perché il produttore si è detto d’accordo e ha appoggiato l’impresa. E questo non accade spesso, per cui, grazie!Abbiamo avuto diversi problemi, risolti uno ad uno e a volte proprio questi problemi ci hanno portato a soluzioni migliori di quello che pensavamo. Ma non entro nei dettagli, pochi soldi e poco tempo non sono mai buoni alleati, ma il risultato stavolta è stato buono. Credo. Siamo stati anche fortunati, tutti insieme. Quando poi, in meno di 7 giorni, vedi che il film ha avuto quasi 19 milioni di click, non puoi che gioire, anche per tutta la crew, per gli attori. Quando poi vai a leggere i commenti, migliaia di commenti, in cui le persone dicono che è piaciuto e nessuno si è reso conto di aver guardato per ben dieci minuti in rete, beh, è grande risultato. Mi sento veramente onorato di aver fatto parte di questo progetto”.
Fim Barilla a parte, com’è girare nel nostro Paese?
“Lavoro in Italia da circa 20 anni. Il mercato italiano è sicuramente particolare perché per lavorarci devi avere delle connessioni, devi avere qualcuno che ti presenti alle persone che lavorano nel settore. Sono stato molto fortunato perché avevo vinto, nel 2002 se non erro, a Cannes il Young Director Award, e lì ho incontrato Betty Codeluppi che è diventata la mia agente e la è ancora dopo 20 anni. Ma com’è girare da voi? Ti dirò qualcosa di un po’ strano: penso che gli italiani siano tutti un po’ pazzi cinematograficamente parlando e questo mi piace molto. E’ forse l’unico paese al mondo dove si riesce a creare l’inaspettato. Se posso fare un’osservazione il comportamento degli italiani ha a che fare con compromessi e buone relazioni sociali, ma da belga e da persona ‘passionale’ vorrei che alcune agenzie lottassero di più per arrivare a un risultato migliore,le agenzie sono molto attente a mantenere i rapporti con i loro clienti e nel farlo a volte dimenticano che il loro ruolo non è solo tenersi un cliente, ma avere anche il coraggio di dirgli come le cose dovrebbero essere fatte. Forse appartengo ad una generazione più anziana, ma parte del mio lavoro è anche quello di trovare le parole giuste e convincenti per un cliente che magari non è così deciso sullo spingere al massimo. Non sono certo il tipo di regista che accetta un progetto e si limita ad eseguirlo paro paro. Chiaramente scendo anche io a compromessi, ma a volte vorrei vedere qualche giovane creativo che si alza in piedi sul tavolo come succede spesso a Londra e non teme di dire la sua al cliente. Vedo buoni progetti e ancora buoni budget in Italia ma a volte il risultato non è così buono come avrebbe potuto essere. Certamente non è solo una faccenda italiana, ma a volte la relazione col cliente, la paura di perderlo, compromette il risultato finale e questo è un peccato. Perché torno così spesso da voi, più che posso? C’è questa follia totale che permette però di fare le cose in meno di una settimana, tutti fanno del loro meglio e le cose poi succedono. A volte mi sorprendo. Sembra un gioco, poi magicamente si incastra tutto e le cose funzionano. Ci sono alcune agenzie veramente creative da voi. Quindi, sì, sono molto contento di far parte dei registi ‘italiani’ d’adozione. Sono anche molto riconoscente perché sto lavorando da tanto tempo quando la carriera media di un regista dura circa 7 anni. E io ho già triplicato quella cifra. Penso che il segreto sia la costante voglia di migliorare e imparare e adattarsi costantemente al mercato, anche in termini di fee. Per soldi non ne ho mai accettato nemmeno un lavoro, per pura amicizia col produttore, qualcuno sì. A meno di non parlare solo agli anziani, dobbiamo capire che la pubblicità sta invadendo sempre di più ‘spazi considerati privati’ da una generazione che non vuole intrusioni. Quindi, o fai qualcosa di memorabile o sei solo un rumore di sottofondo tra una serie tv e l’altra. A volte non c’è nemmeno bisogno di milioni di euro per realizzare una grande idea”.
Come nella comunicazione contemporanea è cambiato il rapporto tra regista, agenzia, brand e case di produzione?
“Penso che tutto dipenda dal mercato perché ogni mercato è diverso. In America, ad esempio, il PPM avviene il giorno prima dello shooting. In Italia puoi avere due pre ppm e magari altri due ppm e averli due o tre settimane prima delle riprese. E’ un approccio completamente diverso. In America per esempio si fidano di te dal momento in cui ti scelgono e vai dritto fino alla fine, il tuo trattamento è un vero e proprio contratto e ha valore legale. L’Italia poi è di nuovo un mercato diverso anche per un altro motivo. I registi sono molto rispettati. È un approccio vecchia scuola, ma è molto carino. Vengono rispettati per il loro ‘valore aggiunto’. Credo anche che nel settore dell’adv non si debba mai avere come unico scopo quello di rendere felice il cliente. I clienti cambiano sempre più spesso agenzia, c’è molta volatilità. Lo vedo non tanto da voi ma nel resto del mondo e penso che sia un trend da non ignorare. Ci sono diversi clienti che iniziano ad avere dei veri e propri team creativi interni e agenzie che hanno la loro casa di produzione interna. E’ quanto è accaduto con CareBonara, era l’unico modo possibile per portare a casa un risultato così. Allo stesso tempo, le cdp classiche, non essendo legate a politiche interne e ai clienti, almeno non spesso, esistono per realizzare un film nel migliore dei modi possibili e sono quasi sempre composte da persone innamorate del cinema, diciamo che sono più libere di lottare insieme al regista per portare avanti un film che sia interessante o nuovo o bello. Il problema principale dell’industria degli spot è categorizzare i registi pensando che quanto vedi nella reel è tutto quello che il regista può darti. Bisognerebbe creare delle relazioni quasi familiari tra registi e direttori creativi, un po’ come si fa negli Stati Uniti. Si parla direttamente col cliente insieme ai creativi, si crea una certa identità insieme. Magari si tengono i registi per un’intera campagna, per uno o due anni di fila, così si costruisce insieme una vera identità di brand, una coerenza anche visiva. Spesso invece quando c’è una nuova campagna, le agenzie tendono a cambiare casa di produzione, regia eccetera e a volte la sensazione è che le campagne stesse vadano un po’ su e giù. Ci sono molti cambiamenti anche nelle agenzie ultimamente: ci sono piccole agenzie creative che combattono contro grandi gruppi costituiti. Un po’ come successo per CareBonara: anche se Alkemy è una grande società, l’agenzia con la quale ho lavorato era una struttura molto snella: abbiamo osato perché fondamentalmente non c’era niente da perdere. Dobbiamo tornare a batterci per le creatività ed essere orgogliosi di quel che abbiamo realizzato. Più si lavora con le stesse persone, esattamente come in una crew cinematografica, più si raggiunge un livello alto con meno sforzi. Parli di meno, lavori più velocemente, ottieni il meglio. Io ci credo. Ho visto moltissimi registi, pieni di talento, diventare la moda del momento e poi dopo due o tre anni, scomparire quasi del tutto dalla scena. Questo è quello che cerco di evitare, cerco di avere il mio punto di vista senza seguire il trend dell’anno. Dita incrociate, ma per ora ha funzionato e credo che mi porterà buoni lavori anche nei prossimi anni”.
Ci citi i tre lavori d te realizzati che più ti rappresentano?
“Ho girato probabilmente circa 300 film, se devo elencarne tre direi sicuramente il primo: Heaven can wait perché è un’idea molto forte e il film serve solo a sottolineare quell’idea che poi il salvare una vita. Mi piace anche perché è stato il primo spot pubblicitario della mia vita e poi quando l’ho girato mi sono reso conto che anche se solo una persona tra il pubblico lo avesse visto e si fosse messo la cintura di sicurezza e si fosse salvato in un incidente, sarebbe stato grazie a quell’idea. Il potere della regia è trovare un modo migliore per convincere le persone a cambiare un’abitudine, in questo caso al volante durante la guida. L’ho girato con 3.000 euro ed ha avuto molto successo e mi aiutato moltissimo nella mia carriera come regista anche dopo anni. Un altro film che potrei menzionare è Mercedes Snow o Renault the Milk Man. Li nomino perchè mi piacciono i film dove c’è dello humour o un finale poetico o c’è qualche elemento soprannaturale che arriva dalla routine, dalla vita di tutti i giorni. Mi piacciono i film dove c’è spazio per emozioni pure e autentiche. E poi cito il look cinematografico di CareBonara”.
E il futuro, progetti, obiettivi, sogni da realizzare?
“Diciamo che il futuro è già iniziato perché ho sempre avuto il sogno di fare lungometraggi e ho sempre considerato come l’industria dei commercial sia anche un fantastico terreno di gioco per prepararmi a fare in futuro un vero lungometraggio, per trovare il mio stile e la mia personalità. Girare spot è un ottimo esercizio per raccontare grandi storie in brevissimo tempo e in America, ad esempio, i produttori americani di film, anche a Hollywood apprezzano molto i registi che arrivano dagli spot perchè girano ogni mese, sono allenati. In Europa è un po’ diverso, chi fa cinema guarda ai registi di pubblicità con un occhio un pò snob ed è strano perchè in fondo facciamo lo stesso mestiere. Quindi sì, quando dico che il mio il mio futuro sta già accadendo lo dico perchè sono stato super fortunato: un paio di anni fa ho incontrato produttori straordinari di Protozoa Pictures e di Chromista, produttori che stavano lavorando con Tarantino e ora sono associati a Scott Franklin e al famoso Darren Aronofsky e così hanno deciso di aprire una casa di produzione nella quale mi hanno accolto sia per girare spot pubblicitari che per sviluppare lungometraggi. Attualmente con loro sto lavorando a due film. Questo non vuol dire che smetterò con gli spot: l’energia di un set pubblicitario mi piace troppo mentre nei film il processo è molto lungo. Sono entrambe esperienze incredibili e sento che devo continuare a migliorarmi e come dicevamo prima, ad adattarmi al futuro collaborando con tutti quelli che avranno il piacere di farlo. Di solito non parlo così tanto di me stesso, è stata un’occasione anche per una riflessione personale, e poi sono davvero contento, soprattutto dei risultati di CareBonara”.