Più di 500 pellicole per raccontare oltre 100 anni di storia industriale dell’azienda AEM (oggi A2A), che per oltre un secolo ha contribuito allo sviluppo economico e alla modernizzazione di Milano, della Lombardia e dell’Italia. E proprio il patrimonio filmico di AEM e il ruolo che il cinema e la produzione cinematografica possono avere nella promozione delle imprese, è stato al centro del secondo ‘Incontro con la storia’, promosso da Fondazione AEM e da Fondazione Corriere della Sera, dedicato a ‘Media e cinema d’impresa’.
Insieme al Presidente di FAEM Alberto Martinelli, al presidente di A2A Marco Patuano, a Roberto Pisoni, Sky Entertainment Channels Senior Director, allo sceneggiatore e giornalista Andrea Purgatori, alla Responsabile CSC Archivio Nazionale Cinema d’Impresa IVREA Elena Testa e ai registi Mario Martone, Katia Bernardi e Domenico Calopresti si è parlato di come la settima arte possa essere utilizzata da imprese e istituzioni per promuoversi e convergere verso una nuova democrazia culturale per l’Italia.
“Il patrimonio filmico di AEM rappresenta uno dei fondi più preziosi dell’intero contesto industriale europeo: un diario di lavoro che dagli anni venti agli anni sessanta ha costituito un’inesauribile appendice visiva alla storia dell’azienda e della sua impresa modernizzatrice, testimonianza indelebile del lavoro delle migliaia di uomini e donne che hanno preso parte al suo sviluppo – ha spiegato il presidente della Fondazione FAEM Alberto Martinelli – Questa grande raccolta storica di documentazione sulla vita e le opere della municipalizzata milanese è rilevante anche dal puro punto di vista cinematografico, perché costituisce un tassello essenziale di una storia del film industriale ma anche della storia del cinema italiano tout court”.
Girato da professionisti ma anche dai dipendenti stessi, quella di AEM è una raccolta di documentazione visiva sulla vita e le opere della municipalizzata milanese, con quattro protagonisti: le grandi opere, i dipendenti dell’azienda e i lavoratori delle imprese a cui erano appaltati i lavori, il paesaggio (montano e urbano) e le cerimonie.
Martinelli: “Con i suoi prodotti amatoriali in piccolo formato, accanto a capolavori come ‘Un fiume di luce’ del poeta regista Nelo Risi il nostro archivio fu ed è in grado di narrare la vicenda di una grande azienda di servizi per la comunità, così come la storia degli enormi cambiamenti economici, sociali, territoriali che hanno interessato Milano e la Valtellina nel corso del Novecento”.
Il Presidente di A2A Marco Patuano ha approfondito il legame tra cinema e impresa: “Ci siamo domandati, sulla scorta del lavoro della Fondazione, cosa rappresenti oggi per la nostra impresa il patrimonio filmico contenuto nei suoi archivi. Possiamo trovare quella lungimiranza, quella tenacia e quel coraggio dei lavoratori, degli artigiani, degli uomini di impresa, che sono stati capaci di scavalcare il loro tempo perché hanno pensato alle città come sarebbero state: se non avessero guardato al futuro, oggi non potremmo vivere le città così come le viviamo. Dobbiamo nuovamente pensare al futuro, in maniera discontinua però, perché la traiettoria del presente non è sostenibile e non dobbiamo avere paura di progettarne uno diverso. La transizione energetica deve essere una transizione di futuro. In questo senso il patrimonio dell’archivio potrebbe fornire uno spunto di riflessione”.
“Le occasioni come quella di oggi non sono mai abbastanza, perché lo studio degli archivi è sì uno studio del passato ma ci riguarda tutti molto da vicino, perché è una mappa della società, che bisogna saper interpretare – ha aggiunto Elena Testa, Responsabile Archivio Nazionale Cinema d’Impresa (Ivrea) -. L’Archivio Nazionale Cinema d’Impresa si occupa del cinema d’impresa realizzato nel corso del Novecento e questi materiali oggi vengono interrogati come si interrogano dei testimoni della storia. Uno degli aspetti più interessanti è proprio il modo in cui questi film hanno registrato involontariamente la storia. E bisogna fargli le domande giuste”.
Mentre Mario Martone ha commentato: “Io ho fatto un film, qualche anno fa, Capri-revolution, in cui si racconta di come anche all’inizio del Novecento la questione dell’energia fosse veramente centrale, fosse qualcosa su cui davvero bisognava fare ragionamenti molto importanti. Cioè capire che non si può distruggere la natura per ottenere energia, ma bisogna sviluppare energia in rapporto e in armonia con la natura. Questa è una battaglia politica profonda, Joseph Beuys, grandissimo artista tedesco, leader dei Verdi, uno dei più grandi artisti del secondo Novecento, ha fondato tutto il suo lavoro su questo. L’arte, il cinema, spesso sono buoni profeti e andrebbero ascoltati, perché quello che sta succedendo oggi ci dice che, se non è troppo tardi, bisogna assolutamente riuscire a ritornare sui binari rispetto al rapporto tra energia e ambiente”.
“Credo assolutamente che ci sia la necessità di costruire, e soprattutto la possibilità di costruire, racconti cinematografici, filmici, incredibili”, ha dichiarato Katia Bernardi, regista del documentario ‘Gli uomini della luce’, “perché la nostra storia d’impresa, di aziende, di prodotti italiani, è talmente ricca che credo veramente sia un patrimonio unico da cui partire per costruire dei racconti che vadano al di là dei racconti istituzionali, ma che si possano costruire racconti partendo dai personaggi, utilizzando anche l’archivio incredibile che abbiamo, e costruire proprio dei film, dei racconti cinematografici. Penso che ci sia uno spazio anche nei broadcast televisivi e nel cinema per portare queste storie, questi ritratti familiari e aziendali sullo schermo”.
“Il cinema è una grande azienda – secondo il regista Domenico Calopresti, commentando il rapporto tra cinema e impresa – Forse il rapporto tra il cinema e il resto del Paese è sfasato rispetto al periodo storico, ma penso che sia così perché manca soprattutto una parte meno calcolabile dal punto di vista economico ma fondamentale per questo lavoro che è la creatività, cioè riuscire a capire quanto vale il processo creativo per creare una storia, per creare un momento di comunicazione importante. Qualche volta è dispersivo, ma fondamentale per riuscire ad arrivare a un racconto di verità, di quello che siamo, di che paese siamo, di che persone siamo. Ecco, il cinema racconta le persone e le loro storie, tante storie e tante persone, e quindi è difficile allineare tutto, è difficile allineare la produzione, il racconto, la parte creativa. È un’arte difficile da inserire nel contesto economico ma fondamentale perché parte di tutta una storia del paese di cui non si può fare a meno”.
E’ intervenuto anche Roberto Pisoni, Senior Director dei canali di intrattenimento di Sky: “Credo che fondamentalmente la cosa da cui bisogna partire è la good story, che serve in qualche modo a sintetizzare i valori dell’azienda, produrre qualcosa di allettante per l’audience, e avere degli autori, che significa degli scrittori e dei registi, che sappiano farla diventare qualcosa di memorabile, notevole e d’intrattenimento. Il sodalizio può funzionare tra pubblico e aziende e cinema soltanto attraverso la concentrazione di storie rilevanti. Io credo che le storie siano la componente fondamentale, che possono essere anche storie aziendali che diventano degli esempi fantastici di intrattenimento. Nella mia esperienza di direttore di Sky arte, tantissimi brand di design hanno alle spalle storie straordinarie che sono riuscite a diventare dei prodotti televisivi fantastici. Si può anche adottare una strategia completamente diversa che è quella semplicemente di sposare i valori, e quindi di sposare delle storie che riflettono i valori aziendali e che possono essere un veicolo straordinario di diffusione di valori e trovare anche l’accoglienza del pubblico. Ci sono diverse possibilità, ma secondo me la forza fondamentale è riuscire a trovare davvero delle grandi storie e dei creativi capaci di raccontarle”.
“L’esempio più eclatante del sodalizio tra cinema e impresa – ha concluso lo sceneggiatore e giornalista Andrea Purgatori – è ‘La classe operaia va in paradiso’ di Elio Petri, un film pazzesco proprio sul mondo del lavoro, realizzato da due cineasti, Petri come regista e Pirro come sceneggiatore, che vengono dall’esperienza della guerra, della ricostruzione. Sono cineasti che hanno dentro questa molla del racconto del mondo del lavoro, tra l’altro in un momento di grandi rivendicazioni, come l’autunno caldo, e che riescono a far diventare storie anche la quotidiana fatica di andare in fabbrica. E proprio di questa quotidiana fatica credo non siano a conoscenza i giovani cineasti italiani. È un pezzo di storia che manca loro ed è per questo che fanno fatica a raccontare storie che parlino del lavoro”.