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Il lockdown sta per finire, la comunicazione da qui in poi. Daniele Cobianchi, Ceo McCann Worldgroup Italia – I Brand della Cattività

“A casa ho un divano artigianale. Non esisteva, quando l’ho scelto.

Lo ha fatto una tappezzeria di Collecchio, vicino a Parma e il titolare, ascoltando le mie richieste, ha suggerito di aspettare il nonno che sarebbe arrivato nel pomeriggio, perché era lui l’uomo dei divani. Lui avrebbe ascoltato, lui avrebbe fatto il miracolo: il mio divano.

Il posto più comodo al mondo, il luogo dell’abbandono, la trincea di piuma dove tirare il fiato la domenica pomeriggio con un libro, il teatro che ti fa mettere i piedi dove vuoi, il ventre materno dell’età adulta; la casa nella casa.

Oggi, alla settimana numero sette della quarantena, quel divano è il nemico.

Lo fissi e ti chiedi se davvero c’era bisogno di scomodare un ottantenne in pensione per fartelo fare così, o se in realtà sarebbe bastato andare in uno di quei posti dove ogni settimana ce ne sono cento in offerta.

Vorresti stargli alla larga. Vorresti lo stress, le code in tangenziale, la mensa aziendale che ti gonfia lo stomaco anche se hai preso solo un riso integrale.

Non ci sono dubbi, le nostre case sono diventate delle celle.

Belle, per carità. Alcune hanno un terrazzo abbastanza grande da prenderci il sole, altre un pianoforte perfettamente accordato e, tutte, impianti tecnologici tipo CERN con i quali ci connettiamo in continuazione, pixellati e pimpanti, mostrando di essere sul pezzo nonostante i pantaloni del pigiama fuori inquadratura.

Abbiamo visto la Casa di Carta 4 con la foga dei centrometristi, scaricato app per fare feste virtuali con persone che avevamo deciso di dimenticare, insegnato a Bottura i suoi stessi piatti rivisitati con orgoglio, fatto webinar, dirette Instagram e parlato, parlato, parlato, parlato, parlato, senza nessuna competenza, del nulla, con chiunque.

Con la pubblicità abbiamo ringraziato molto, moltissimo, tutti.

Anch’io ho risposto prego, più di una volta, avendo seguito con disciplina le regole del lockdown.

Abbiamo invitato tutti a non fermarsi e poi a stare a casa, mixato carrelli del supermercato e terapie intensive, ricordato agli Italiani, con sottofondi musicali struggenti, che ci sono piazze deserte, pur bellissime, e venduto uova di Pasqua con biglietti del cinema in omaggio che però, tranquilli, valgono fino a settembre.

Abbiamo anche fatto la spesa. Accidenti se l’abbiamo fatta. Mascherati e furtivi, ma grazie a Dio armati soltanto di carte contantless, abbiamo saccheggiato scaffali di cui ignoravamo l’esistenza.

E molti brand hanno visto crescere i propri volumi a razzo. Alcuni sono quelli che non avremmo mai scelto, brand muti, brand dell’emergenza. Brand che non sono mai stati capaci di comunicare un legame valoriale con le persone e che avrebbero potuto farlo ora – in questi giorni maledetti, trasformando la cinica fortuna prima in consapevolezza, poi in redenzione – e che invece hanno saputo solo ringraziare, con la retorica della pubblicità più inutile.

Ecco, questi sono i brand della cattività.

Brand che rimarranno scolpiti nella memoria del nostro dolore. Compagni di cella o tutt’al più secondini, di cui dimenticarsi in fretta appena tornati in libertà. Divani comodissimi che nulla potranno in confronto alla nostra voglia di tornare a correre con l’aria in faccia”.

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