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Che la comunicazione torni a parlare come mangia. Nel senso che nell’era in cui l’innovazione di canali e mezzi sembra farsi focus, a perdere sono i valori di mestieri capaci di generare conoscenza. Ed è così che una ricerca di due figure per ufficio stampa corporate scatena la riflessione. Soprattutto perché il tema si scopre problema condiviso dalle RP. Non è guardare indietro, quanto piuttosto avanti. Ma allargato e profondo

Gianna Paciello, AIDA PARTNERS :

“Da sempre mi occupo di comunicazione e da sempre faccio colloqui per introdurre in agenzia nuove figure professionali. E devo ammettere che è sempre stato un ottimo sistema per vedere il mondo da che parte va. Si ha l’occasione di parlare con giovani che sono appena usciti da un’Università, si scopre quanto queste stesse diano spazio ai vari segmenti che compongono il mondo della comunicazione, dal marketing all’ufficio stampa.

Ecco, di ufficio stampa vorrei parlare, questo lavoro considerato obsoleto e desueto, che neanche si nomina più, come fosse la rappresentazione di un vecchio modo di fare comunicazione. Gli si danno nomi variegati, nascondendolo con abilità con roboanti  terminologie anglofone, pur di non usare quel vergognoso nome: UFFICIO STAMPA.

Nelle scuole si dedicano 2 o 3 lezioni a quella che da tutti noi comunicatori viene definita una commodity. Perché è molto più trendy parlare di ecosistema digitale, brand communication, influencer marketing e chi più ne ha più ne metta. E non si preparano così i giovani ad amare e comprendere quello che è da sempre il pilastro della comunicazione: se fai qualcosa, fallo sapere. E non basta avere le pagine sui social, parlare con gli influencer, comunicare con i blogger.

Bisogna raccontare, spiegare, informare e questo è sempre stato il compito dei media. Ma per lavorare con i media bisogna fare un bel po’ di fatica: si devono leggere, guardare, sfogliare, contestare ed amare.

Mentirei se dicessi che i media di oggi sono come quelli che affrontavo 40 anni fa. No, non lo sono più, non informano più come prima, non raccontano più come prima, non sono più liberi come prima. Ma la gente comune li legge ancora e le aziende che si rivolgono ad una agenzia di pr, nell’80% dei casi chiedono un ufficio stampa. Sì, ma non lo dite a nessuno perché è molto più moderno e smart dire che si sono rivolti a noi per una consulenza di comunicazione, per lo studio di un nuovo positioning, per un servizio a 360°.

Ma diciamoci la verità: quasi sempre ci chiedono quella famosa commodity sulla quale nessuna agenzia investe più, tanto da non riuscire, noi poveri comunicatori, a trovare giovani che vogliano fare questo lavoro.

Non è certo colpa loro. E’ colpa nostra, che non raccontiamo più la verità. E’ colpa dei media di settore che danno voce alle agenzie (anzi no, ora si dice industry) scrivendo articoli che ci vorrebbe una laurea in ingegneria per capire di che parlano. E’ colpa di un mondo che va sempre più verso un universo digitale che attira il pubblico e le aziende, dove non contano più le relazioni e l’umanità. Ma sapete che vi dico? E’ quella la commodity, non l’ufficio stampa”.