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(#13) La mossa di Google sull’AI: editori, giornalisti e giornali, non fatevi ‘fregare’ di nuovo

di Giuseppe Mayer

Il rapporto tra Google e gli editori mi è sempre sembrato abbastanza paradossale, a dir poco. Di sicuro quando Google ha iniziato a muovere i suoi primi passi nel mondo delle ricerche online, molti editori non hanno colto appieno le implicazioni di questa novità. Invece di negoziare con il colosso di Mountain View per ottenere una giusta compensazione per l’accesso ai propri contenuti, hanno di fatto ‘regalato’ a Google un business model miliardario, permettendogli di utilizzare gratuitamente i loro articoli per arricchire i risultati delle ricerche.

Col senno di poi, possiamo dire che è stata un’occasione persa. Gli editori avrebbero potuto fin da subito far valere il valore del proprio lavoro, imponendo a Google condizioni più eque per l’utilizzo dei propri contenuti. Invece, si sono ritrovati a dover inseguire il gigante tecnologico, cercando di recuperare il terreno perduto con accordi spesso al ribasso. Come è andata a finire mi pare sotto gli occhi di tutti.

Ora, con l’avvento dell’intelligenza artificiale, stiamo assistendo a una situazione per certi versi simile. Google infatti, dopo l’annuncio della scorsa settimana, sta introducendo nei suoi risultati di ricerca quelle che vengono chiamate ‘panoramiche generate dall’AI’, ovvero dei riassunti che rispondono direttamente alle query degli utenti, senza bisogno di cliccare sui link delle singole pagine web.

Un esempio? Facciamo conto di voler prenotare un viaggio tra Milano e Roma; con il vecchio Google (rimasto simile a se stesso per 20 anni, ricordiamocelo) l’utente era costretto a cliccare sui link per ottenere le informazioni desiderate. Domani, con la ricerca ‘aumentata’ tramite Gemini, potrei avere tutte le informazioni per me rilevanti SENZA dover lasciare il motore di ricerca. Insomma, la fine di un modello di uso dell’internet che ha dominato il mercato, appunto, negli ultimi 20 anni.

Sulla carta, potrebbe sembrare una funzionalità comoda per gli utenti. Ma per gli editori, rischia di essere un nuovo colpo durissimo. Se le persone trovano già le risposte che cercano direttamente su Google, senza più bisogno di visitare i siti di news ad esempio, come faranno i giornali a sopravvivere? Già ora, molte testate dipendono in larga misura dal traffico proveniente dai motori di ricerca. Se questo traffico dovesse ridursi ulteriormente, per molti potrebbe essere il colpo di grazia.

Certo, Google sostiene che i test condotti finora non hanno mostrato un calo del traffico verso i siti degli editori. Test che ovviamente ha condotto da sola… Anzi, secondo l’azienda l’introduzione delle panoramiche AI spingerebbe gli utenti a condurre più ricerche e a visitare una gamma più ampia di siti web. Come no!

Ma parliamoci chiaro: queste sono solo promesse, e gli editori farebbero bene a non fidarsi ciecamente delle rassicurazioni di Big G. L’ultima volta non è andata benissimo, sbaglio?

Di fronte a questa situazione, gli editori si trovano di fronte a un bivio. Possono cercare di negoziare accordi di licenza con Google e le altre società di AI, ottenendo una compensazione per l’utilizzo dei loro contenuti nell’addestramento degli algoritmi. È la strada scelta da alcuni big dell’informazione, come Associated Press, Financial Times o il gruppo editoriale Axel Springer, che hanno siglato accordi milionari con OpenAI.

Oppure, c’è la via della battaglia legale. Alcuni editori, ritenendo inaccettabili le condizioni proposte dalle società di AI, hanno deciso di portare la questione in tribunale, accusando colossi come OpenAI di violazione del copyright per l’utilizzo non autorizzato dei loro articoli. È il caso del New York Times, di Intercept e di Raw Story, che hanno intentato cause contro OpenAI.

Quale delle due strade sia più efficace, è difficile dirlo oggi. Da un lato, gli accordi di licenza possono garantire agli editori delle entrate immediate, ma c’è il rischio che le condizioni diventino via via meno favorevoli man mano che le società di AI consolidano il loro potere di mercato. Dall’altro, le cause legali possono stabilire importanti precedenti a tutela del diritto d’autore, ma richiedono tempi lunghi e costi elevati, con esiti tutt’altro che scontati.

Al di là delle singole scelte tattiche, credo che la vera posta in gioco sia il riconoscimento del valore del lavoro giornalistico e degli editori più in generale. Per troppo tempo, gli editori hanno accettato che il loro prodotto venisse svalutato e dato per scontato, in nome di una malintesa ideologia della gratuità e della ‘democratizzazione’ dell’informazione.

Ora sarebbe il momento di ribadire con forza che il giornalismo di qualità ha un costo, e che chi vuole utilizzarlo per i propri scopi commerciali deve essere disposto a pagare il giusto prezzo. Non si tratta solo di una questione economica, ma di un principio fondamentale per la sopravvivenza di una stampa libera e indipendente, che, magari ogni tanto tendiamo a dimenticarlo, è il sale della democrazia.

Chiariamoci: nessuno qui è contro il progresso tecnologico o l’innovazione. L’intelligenza artificiale può essere un formidabile strumento per migliorare il nostro lavoro, dalla personalizzazione dei contenuti alla lotta alle fake news. Ma non possiamo accettare che venga usata come un grimaldello per espropriare il lavoro altrui e concentrare ancora di più il potere nelle mani di pochi giganti tecnologici.

Quello che servirebbe, quindi, sarebbe un patto tra editori, piattaforme digitali e sviluppatori di AI, basato su principi di equità, trasparenza e rispetto reciproco. Un patto in cui ognuno faccia la sua parte per garantire un ecosistema dell’informazione sano e sostenibile, in cui il valore generato venga distribuito in modo giusto tra tutti gli attori della filiera. Non è ancora troppo tardi, ma il momento di agire è ora.