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Solo nel 30% dei casi i chatbot sono integrati nei processi aziendali in modo da passare la conversazione a un essere umano. Il Report di Celi sul Conversational Marketing

Bea Dobrzyńska, Senior Manager di Celi

Celi, la società di H-Farm che progetta e sviluppa sistemi di intelligenza artificiale basati su machine learning e reti neurali, ha mappato il mondo degli assistenti conversazionali, nella loro forma scritta (bot e chatbot) o vocale (voicebot e voice app: Skill, o Action), realizzando il più completo benchmark report di settore in Italia.

“Il report analizza oltre 130 assistenti conversazionali (sia testuali, sia vocali) resi disponibili da aziende italiane in 13 settori industriali, mostrando come queste tecnologie siano ormai parte delle strategia di contatto e di interazione con i clienti, anche se il suo reale potenziale, in particolare quella vocale, deve ancora essere sfruttato”, spiega Bea Dobrzyńska, Senior Manager di Celi. “I casi d’uso più diffusi sono relativamente semplici (richiesta di informazioni e semplici transazioni) e l’integrazione con i sistemi di customer operation ancora poco evoluta. Inoltre sono usati in prevalenza come strumento di digital-first, impiegati nella gestione clienti in pre e post vendita (mai nella fase di vendita) e si limitano all’esecuzione di task piuttosto semplici, come erogare informazioni, ma senza gestire le transazioni. In particolare dalla ricerca emerge come nel 70% dei casi il chatbot non posso ‘scalare’ passando il contatto a un operatore umano quando necessario. Curiosamente quasi la stessa percentuale, il 65 % dei casi, i dati ricavabili dal contatto vanno ‘persi’, poiché non sono utilizzati dall’azienda in seguito”.

In Italia i settori che più ricorrono a chatbot e voicebot sono i servizi pubblici e la Pubblica Amministrazione, seguiti da banche e servizi finanziari. Il settore dei Media è quello che più ricorre alle voice app, seguito dalle Utilities, che in generale hanno la miglior performance in questo comparto, con chatbot dalla prestazioni molto apprezzate, come Elena di Enel.  “Dal punto di vista della caratterizzazione” – prosegue Dobrzyńska – “gli assistenti conversazionali sono solitamente di genere indefinito, con stile neutro, ed erogano risposte standard. Si tratta cioè di semplici answerbot, con scarsa o nessuna capacità conversazionale, e di conseguenza la modalità interattiva prevalente è attraverso bottoni o testo ristretto, non permettendo il sistema l’interazione in linguaggio naturale”.

Il report elaborato prende in considerazione 13 settori, dalla Pubblica Amministrazione al Retail, passando per il settore Bancario e quello Farmaceutico, per un totale di 322 aziende, 82 chatbot e 56 voice app. Rappresenta una guida fondamentale per ogni brand che decide di dotarsi di questo strumento: le KPI individuate da Celi permettono una valutazione degli agenti a 360 gradi, sia da un punto di vista analitico, sia da un punto di vista linguistico e di User Experience.

“Il canale su cui risiede la maggior parte dei bot è sito web, con il 74,4%, seguito da FB Messenger, con il 30,5%”, sottolinea Dobrzyńska. “Per quanto riguarda la performance, invece, il 56,1% degli assistenti analizzati è in grado di fornire la maggior parte delle informazioni, dando indicazioni corrette, e il 53,7% dei bot forniscono all’utente un’esperienza complessivamente fluida. Le voice app vedono la prevalenza in Italia del voice assistant di Amazon: per il 55,4% delle applicazioni sono skill di Alexa, per il 21,4% dei casi sono action di Google, mentre il 23,2% di aziende ha sia la skill sia l’action, con le stesse (o simili) funzionalità”.

Il report rivela anche che il 73% degli assistenti sono aperti a un pubblico generico (cioè non richiedono autenticazione),  mentre le aziende utilizzano gli assistenti per la fase pre e post vendita ma non durante il processo di vendita stesso, a conferma di un uso prevalente nei servizi di CRM, al posto del sempre meno apprezzato ‘albero’ telefonico.

“L’offerta è diffusa, ma sta appena iniziando a sfruttare il vero potenziale della tecnologia, perché i casi d’uso sono relativamente semplici e la voce è ancora poco sfruttata”, conclude Vittorio di Tomaso, Ceo di CELI. “Le performance di questi strumenti hanno ancora ampi margini di miglioramento: solo il 56,1% degli assistenti analizzati è in grado di fornire la maggior parte delle informazioni, dando indicazioni corrette e appena il 53,7% dei bot è in grado di fornire all’utente un’esperienza complessiva fluida”.