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Simone Ranucci Brandimarte, Gruppo DigiTouch: “Con le grandi aziende che stanziano enormi investimenti in digitalizzazione, le PMI devono essere inserite in filiere digitali che si facciano carico della trasformazione”

Simone Ranucci Brandimarte, Presidente Gruppo DigiTouch

Prendendo spunto dall’articolo sull’evoluzione D2C di Nike, pubblicato nelle settimana scorse, abbiamo chiesto a Simone Ranucci Brandimarte, Presidente del GRUPPO DIGITOUCH, l’opinione di un’azienda attiva nel comparto sulla digital trasformation in atto anche in Italia, nel canale retail e non solo, con uno sguardo che spazia dell’eCommmerce al PNRR.

Come far interagire il canale fisico e quello digitale, salvaguardando le specificità di entrambi i canali nel modo più opportuno?

Innanzitutto se vogliamo fare il punto sull’evoluzione attuale non si può non partire dalla transizione dalla multicanalità all’omnicanalità: è un cambiamento che parte dal consumatore che si è fatto digitale e effettua le sue scelte d’acquisto sulla base della convenienza – e non parlo solo degli aspetti economici – tra una serie di touch point dell’offerta che sono a un tempo alternativi e complementari. Ed ecco allora la presenza dei device digitali, dai tablet ai totem, nei canali fisici, e il ritiro, seamless e senza complicazioni, degli acquisti online nei punti vendita. D’altronde questa commistione, o per meglio dire fusione, si osserva anche nel CRM: nessuno ha più due CRM separati, uno per il canale fisico, l’altro per quello digitale – cosa che era la norma anche solo una decina d’anni fa – ma tutte le aziende hanno un CRM unico, in cui confluiscono le attività svolte nei molteplici canali.

Analizzando quello a cui sembra tendere ad esempio Nike (D2C e punti vendita diretti), quali sono i punti ‘forti’ e quelli con maggior criticità di questa strategia? I marketplace rischiano di essere scavalcati?

Più che una sostituzione si potrebbe parlare di un’aggiunta alla panoplia di possibilità di scelta: il ‘Direct2Consumer’ è ovviamente un potente strumento di comunicazione e di eCommerce, perché consente alla marca di scegliere il linguaggio con cui parlare al consumatore, e rafforza il contatto diretto, non mediato da un canale che non sempre è sincronico con la strategia del brand. Ovviamente, però – e qui sta la maggiore difficoltà per quelle marche che non hanno la capacità tecnologica di Nike – la complessità del sistema aumenta, e la necessità di far convivere canali indiretti e diretti si ingigantisce.
Questo tentativo non può trasformare gli operatori del retail in altrettante software house: il costo e il tempo richiesti sono insormontabili, tranne forse per giganti come appunto Nike che hanno investito pesantemente nelle attività di marketing digitale. La necessità di avere soluzioni flessibili – ogni sei mesi queste devono essere ripensate – e scalabili spiega perché una risposta a queste esigenze può provenire dal cloud: la capacità di lavorare con consulenti terzi che avvisano sui progressi dell’evoluzione tecnologica e adattano la soluzioni alla nuova realtà è una via sempre più selezionata dai brand nazionali e internazionali.

Quindi quello che un tempo si chiamava ‘showrooming’, cioè andare in negozio per vedere i prodotti da acquistare poi online, è stato superato dall’evoluzione omnicanale?

L’importante è mappare in ogni momento il consumer journey del cliente, sapere con quali touch point si sta relazionando: da qui in poi la scelta di quale canale privilegiare è indifferente, una volta che il brand è in grado di fornire di volta in volta la soluzione più adatta a quel preciso momento. Tra una decina d’anni non avrà più senso parlare di canale fisico e canale digitale: ci sarà un solo modo, diverso, per osservare un prodotto, acquistarlo ed eventualmente restituirlo, basato sulla conoscenza sempre maggiore del consumatore che proviene dalla ricchezza crescente dei dati disponibili quotidianamente.

Come si potrebbe allora disegnare una strategia efficace per un’azienda impegnata nella transizione dal canale fisico all’omnicanalità? Quali gli aspetti più salienti da prendere in considerazione?
Sarà necessario ripensare in maniera approfondita il data management dell’azienda, che deve informare ogni attività dell’impresa, da quelle produttive a quelle di marketing, in modo da avere coscienza assoluta in ogni momento della situazione complessiva presente, e delle sue declinazioni nei vari aspetti specifici, così da poter costruire modelli previsionali e, nel caso, intervenire prontamente per riallinearli.
E poi crescerà l’importanza del content management, cioè della parte editoriale, il modo in cui l’azienda ‘presenta’ se stessa e i suoi prodotti. Che, con l’ampliamento della piattaforme, diventa più complesso: i video e l’interattività sono solo le ultime aggiunte in ordine di tempo. Questi due aspetti si riverberano poi sulle infrastrutture tecnologiche che devono diventare sempre più agili: dove un tempo c’era la sala server centralizzata ci saranno le applicazioni in cloud, capaci di adattarsi rapidamente a un domanda in continua evoluzione.

Quali altri aspetti, oltre all’eCommerce, vengono impattati dalla digital transformation in un’azienda?
In questo scenario, caratterizzato in tutte le imprese dalla pervasività della tecnologia e dalla sempre maggiore rilevanza che essa riveste, servono competenze in grado di trattare il tema a 360°. In molti settori industriali però questo non accade, pensiamo a comparti anche molto importanti, quali quello assicurativo e – in misura minore – quello bancario, per non parlare del manifatturiero. Servono quindi nuove competenze, da formare da parte delle aziende stesse, affiancate dallo sviluppo di partnership con società specializzate per ottenere subito quelle capacità che è indispensabile possedere per essere all’altezza delle sfide di questo scenario. Le piccole e medie imprese italiane hanno bisogno di essere inserite in filiere digitali che si facciano carico della trasformazione, una sorta di versione digitale dei distretti di un tempo. Questa dei poli digitali, per fortuna, è una questione che è all’attenzione del governo con il PNRR, e dovrebbe concorrere a ‘scavallare’ le difficoltà principali per un’azienda manifatturiera di medie dimensioni, che non può improvvisarsi una software house dall’oggi al domani.