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Raggiunto un accordo in sede Ocse sulla minimum tax: le società che fatturano più di 750 milioni di euro dovranno pagare il 15%. Previsti ricavi fiscali aggiuntivi per 150 miliardi

“Joining this agreement is a serious and significant decision”, ha detto il Ministro della Finanze dell’Irlanda prima di ‘arrendersi’ il 6 ottobre e firmare l’accordo tra il suo paese e l’Ocse sulla ‘minimum tax’, aggiungendosi così i paesi che avevano già comunicato la propria adesione a portare al 15% le imposte per tutte le multinazionali, tech giant in prima fila. Poche ore dopo erano arrivati anche il sì dell’Estonia, e poi venerdì quello dell’Ungheria.

Dei 140 paesi che facevano parte del gruppo di lavoro sono rimasti esclusi solo Pakistan, Nigeria, Kenya e Sri Lanka. La Minimum tax, ha affermato il segretario dell’Ocse, Mathias Cormann, in una nota per la stampa “renderà il nostro sistema fiscale internazionale più equo ed efficiente. È una grande vittoria per un multilateralismo efficace ed equilibrato. Si tratta di un accordo di vasta portata che garantisce che il sistema fiscale internazionale sia adatto a un’economia globale digitalizzata”.

In particolare si tratta di un successo per gli US, perché il presidente Joe Biden potrà alzare le tasse alle multinazionali americane senza correre il rischio che scappino all’estero per non pagare. Gli ultimi decenni, al contrario, sono stati caratterizzati dalla competizione tra i paesi per le imprese straniere, offrendo aliquote sempre più basse. Ora questo non è più possibile stante appunto l’esistenza condivisa da tutte (o quasi) le nazioni di un’aliquota minima per qualsiasi impresa. Rimane la possibilità di applicare una ‘corporate tax’ più bassa alle aziende con ricavi inferiori a una certa soglia, 750 milioni di euro, decisamente troppo bassa per ingolosire le multinazionali.

“L’accordo di oggi rappresenta un risultato che si ottiene una volta in una generazione per la diplomazia economica”, ha commentato Segretario del Tesoro USA, Janet Yellen: Ma in cambio gli Stati Uniti hanno ottenuto una moratoria di due anni sull’imposizione di nuove tasse: i Paesi firmatari, infatti, dovrebbero siglare una convenzione multilaterale nel 2022, per un’entrata in vigore della nuova tassazione nel 2023.

La trattativa con l’Estonia, l’Irlanda, e l’Ungheria è stata difficile, e qualche cosa è stata loro concessa in cambio dell’apposizione della firma. La prima ha ottenuto garanzie che i suoi imprenditori non verranno danneggiati; la seconda che le piccole imprese saranno risparmiate; e la terza che la transizione durerà 10 anni, invece di 5. Ma ora, con l’eccezione di un Paese europeo, Cipro, che non fa parte dell’Ocse e ha mantenuta la sua tassazione abituale del 12,5%, l’accordo è stata raggiunto. Due i pilastri principali: il primo prevede una riallocazione dei diritti di tassazione su circa 125 miliardi di dollari, che consentirà ai paesi in via di sviluppo di guadagnare più rispetto a quelli ricchi. Il secondo impone una tassa minima globale del 15% alle società che incassano più di 750 milioni di euro. Il risultato saranno circa 150 miliardi di dollari di ricavi fiscali aggiuntivi.