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Per leggere i quotidiani online è obbligatorio essere abbonati oppure cedere i propri dati. Non è proprio un ‘cookie wall’, è un ‘cookie paywall’. Ma è legale?

Ne parleremo ancora per qualche mese, probabilmente. Perché la disputa più recente sui ‘cookie peywall’ è stata ‘temporaneamente’ chiarita dal Garante della Privacy nazionale, che si è però riservato di “istruire un’istruttoria’ sulla legittimità di questo genere di ‘alternative proposte’. E sappiamo tutti quanto (poco) rapida sia una decisione di questo genere.

Comunque, il Garante ha fatto sapere sul suo sito, in data 21 0ttobre, che “la normativa europea sulla protezione dei dati personali non esclude in linea di principio che il titolare di un sito subordini l’accesso ai contenuti, da parte degli utenti, al consenso prestato dai medesimi per finalità di profilazione (attraverso cookie o altri strumenti di tracciamento) o, in alternativa, al pagamento di una somma di denaro”. “Tuttavia il Garante apre una serie di istruttorie per accertare la conformità di tali iniziative con la normativa europea”, conclude il comunicato.

Questa indagine deriva da un fatto molto recente: in queste settimane i maggiori giornali, tra cui quelli del gruppo GEDI (che pubblica per esempio Repubblica e La Stampa) e il Corriere della Sera, ma anche quotidiani minoti, come Il Fatto Quotidiano, hanno aggiornato le condizioni per accedere ai contenuti dei loro siti: chi entra in un articolo o nell’homepage di questi giornali adesso trova un banner che costringe a scegliere tra l’accettazione degli stessi cookie e la sottoscrizione di un abbonamento. In pratica non è più disponibile un versione ‘freemium’ con alcuni articoli visibili e altri dietro paywall, o un numero massimo di articoli consultabili liberamente prima che scatti il ‘blocco’.

Siamo di fronte a un ‘cookie wall’, allora? Non proprio, perché l’alternativa per aggirarlo c’è: basta pagare l’abbonamento se non si vogliono cedere i cookie all’editore e alla concessionaria. Almeno questo è quanto sostengono gli editori: siamo di fronte a un ‘cookie paywall’, piuttosto. Il cambiamento è sottile ma per ora regge all’esame dell’Authority, come abbiamo visto.

“Il cookie paywall è un tipo di cookie wall per cui all’utente viene data un’alternativa per accedere ai contenuti, come un pagamento o un abbonamento, invece di prestare il consenso ai cookie”, scrive sul suo sito Iubenda.com. “Il cookie paywall potrebbe essere una soluzione conforme rispetto al cookie wall, che rimane invece esplicitamente proibito (dalle norme sul GDPR, ndr). Aggiungendo l’opzione del pagamento per i contenuti si potrebbe trasformare un cookie wall proibito in quello che potrebbe essere un cookie paywall conforme“.

Perché il punto è proprio questo: i ‘cookie’ sono piccole parti di codice che vengono conservate sul browser di un utente e che vengono utilizzate per diversi scopi, tra cui quello di ricostruire le attività online di quell’utente per mostrargli di conseguenza annunci pubblicitari personalizzati. Almeno questa sarebbe la teoria: poi quando si passa alla pratica c’è molto da discutere sulla veridicità di questo assioma.

Alcuni esperti ritengono che questo utilizzo dei ‘cookie di terze parti’ – fino a quando saranno accettati da Chrome, che prevede di defenestrarli all’inizio del 2024 – vìoli già ora le norme sulla privacy degli utenti, ma come si è visto, vi sono anche interpretazioni differenti che lo ritengono accettabile.

Per esempio, il già citato articolo recita: “Nello spirito del GDPR, si deve sempre avere la possibilità di prestare il consenso liberamente. Se un utente si trovasse di fronte all’opzione di dover prestare il consenso oppure pagare per l’accesso ai contenuti del sito, questa potrebbe essere considerata una pratica coercitiva e scorretta“.

Sulla questione, nei singoli paesi l’interpretazione della normativa europea varia in maniera decisamente notevole: in Italia si attende ancora il ‘via libera’ definitivo da parte delle autorità deputate. E così, a naso, non arriverà tanto presto