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Netflix avrà la pubblicità dei brand: ma chi ha deciso che dovrà necessariamente essere come quella della linear TV che ben conosciamo?

“Quando si è diffusa la voce che Netflix era in trattative con Google per creare un’opzione supportata dalla pubblicità, non ho potuto fare a meno di chiedermi se avrebbe seguito la strada più facile di inserire alcune interruzioni pubblicitarie durante ogni spettacolo alla Hulu, o di avrebbe colto l’opportunità di re-immaginare cosa potrebbe essere una moderna piattaforma pubblicitaria?“, ha scritto Deacon Webster su Adage.

Una domanda che fa riflettere, perché, dopotutto, nessuno sta costringendo Netflix ad aderire alle regole stabilite dalla televisione lineare del 20° secolo. Per lo meno, Nextflix potrebbe mirare a rendere la pubblicità ‘sopportabile’ per un pubblico abituato ad guardare beatamente intere stagioni di ‘Emily in Paris‘ senza interruzioni.

“Come qualcuno che ha passato del tempo sia a essere torturato dalla pubblicità presente su piattaforme di streaming sia a creare annunci che molto probabilmente hanno torturato altri su piattaforme di streaming”, ha proseguito Webster, “mi sento in una posizione unica per offrire alcune riflessioni su come rendere l’esperienza positiva per gli inserzionisti. E per gli spettatori, soprattutto”.

E non si può dire che le sue riflessioni siano fuori fuoco. Ad esempio, piuttosto che limitarsi a prendere decisioni sulla privacy e sul suo walled garden, forse Netflix potrebbe consentire ai suoi utenti di decidere quanti dati vengono condivisi e con chi. E le tariffe mensili potrebbero essere legate alla disponibilità degli utenti a condividerli. Si è disposti a condividere l’età, il CAP e lo stato di famiglia? A questo corrisponderebbe un prezzo scontato per l’abbonamento. Si è pronti a dichiarare il reddito complessivo della propria famiglia, quante auto si posseggono e altri dati chiave, e la sottoscrizione diventerebbe ancora più economica. Ci si impegna a rispondere anche a un certo numero di sondaggi l’anno, e l’abbonamento potrebbe essere regalato. Liberissimo chi preferisce scegliere di non condividere nessun dato; non succederebbe nulla, pagherebbe solamente di più.

Un altro aspetto potrebbe riguardare la possibilità di evitare ‘davvero’ la ripetizione degli spot pubblicitari durante la visione di un programma: “chiunque guardi Hulu sa tutto sulla ripetizione degli annunci”, sottolinea ancora Webster. “È molto fastidioso, anche se Hulu afferma di avere limiti di frequenza e altri software che la impedirebbero. Ma questi software si applicano solo agli inserzionisti i che acquistano tramite la piattaforma. Chiunque acquisti in modo programmatico ha zero controllo sull’ordine degli spot all’interno di un episodio o un controllo preciso della frequenza dello spot”.

Netflix dovrebbe funzionare con una DSP mirata per risolvere questo problema. Essere in grado di controllare la frequenza degli annunci aprirebbe molte possibilità creative agli inserzionisti.

Perché ci sono molte possibilità ancora inespresse nella pubblicità, purché non ricalchi modelli tradizionali. Come la non possibilità di essere presenti con il proprio brand nei contenuti premium, quelli solo a pagamento, e nelle serie di grande richiamo: potrebbe essere allora una questione di prestigio per gli inserzionisti quella di sviluppare un’iniziativa che li leghi comunque a questi contenuti ‘proibiti’, quali ad esempio la seconda stagione di Squid Game. Una sorta di ‘richiamo dell’assenza’.

Oppure, anche se Netflix con ogni probabilità non avrà un pulsante ‘Salta’ per cancellare la pubblicità dalla trasmissione, perché non permettere agli inserzionisti di fare una scommessa e includerne uno relativo allo spot tramesso in quel momento? E se quell’annuncio viene visualizzato frequentemente fino al completamento, Netflix potrebbe premiarlo – con altre presenze gratuite o con un prezzo scontato – in cambio del gradimento tangibile, espresso dagli spettatori.

Oppure ancora utilizzare spot che si presentano come veri contenuti del programma, o dare spazio allo streaming commerce per ciò che indossano o utilizzano i protagonisti del video, o offrire un’esplorazione più approfondita dei contenuti correlati. Vedi il documentario sui Rolling Stones? Allora ricevi da Spotify l’ascolto di album storici della band, o dell’audio libro di Keith Richards.

Con un po’ di creatività, Netflix ha l’opportunità di re-immaginare l’aspetto e il behaviour della pubblicità online. Sarebbe forse una scoperta per gli inserzionisti, e forse anche aumenterebbe la soglia tolleranza degli spettatori, sempre più bassa, che si ritroverebbero improvvisamente a essere fruitori attivi invece che passivi.