Interactive

Metaverso, ci vorranno almeno cinque anni. Circa 30 milioni coloro che hanno un visore per entrarci, una nicchia. Il misunderstanding della campagna di comunicazione Meta. Ma non è pubblicità ingannevole

Campagna Meta
di Maurizio Ermisino

Da qualche mese è ripartita la grande campagna pubblicitaria di Meta sull’utilità del metaverso, un media sul quale Mark Zuckerberg ha scommesso tutto. La campagna, creata da Meta CreativeX e Radical Media e gestita da Spark Foundry (Publicis Groupe), è partita in Europa lo scorso anno ed è stata rilanciata anche in Italia lo scorso marzo. È una campagna molto chiara che spiega applicazione possibili del metaverso. Ad esempio, nel mondo della medicina, ‘Immaginate se i medici potessero fare pratica in chirurgia in modo realistico e senza rischi: con la realtà virtuale questo è possibile e avviene già oggi’.

Il metaverso però non sembra essere ancora così presente nelle nostre vite, tanto che c’è chi crede che sia solo pubblicità, anche ingannevole. Si tratta per lo più di un equivoco. Meta non ha mai detto che il metaverso sarebbe entrato nella vita di tutti noi da subito. Tuttavia alcune applicazioni sono già realtà.

Ne abbiamo parlato con Vincenzo Cosenza, Marketing Consultant e Fondatore dell’Osservatorio Metaverso. “Con il primo spot Meta diceva: ‘faremo, si potrà fare’, spingevano molto sul futuro”, ci spiega. “Quello stesso spot, da parecchie conversazioni che avevo avuto, era stato interpretato da molte persone come un ‘già oggi si può fare’. Poi Meta ha cambiato rotta anche perché è stato lanciato il nuovo visore che aggiunge al metaverso l’elemento della Mixed Reality, una Realtà Aumentata ma diversa da come l’abbiamo intesa fino a oggi, perché tutto quello che circonda è ricreato digitalmente. Così si aprono le porte a usi più comuni, alla portata di tutti. È la stessa cosa che sta facendo Apple con il suo Vision Pro. Allora Meta ha provato a virare la pubblicità sugli usi che si possono fare senza entrare in un mondo virtuale che fa scollegare dalla realtà circostante. È vero che tra le aspettative e la realtà dei fatti c’è una ancora una distanza. Gli utenti che hanno un visore nel mondo sono circa 30 milioni, di cui la fetta maggiore sono i visori di Meta. Ma è ancora una nicchia”.

Le applicazioni ci sono, ma ancora sono poche

L’equivoco è nato dal fatto che la grande campagna e i comunicati di Meta ci avevano fatto pensare che fossimo più vicini al suo compimento.  “La pubblicità non è ingannevole”, ci risponde Vincenzo Cosenza. “Le applicazioni che fanno vedere in effetti esistono. Ci sono varie applicazioni di Mixed Reality che permettono, ad esempio, di studiare, tendendo nella stanza elementi del corpo umano per osservarli in tutte le angolazioni. Le applicazioni ci sono. Ma ancora sono poche. E bisogna convincere le persone che vale la pena comprare e usare un visore che è ancora ingombrante e non è agevole da utilizzare”.

Convincere gli sviluppatori a creare applicazioni per la realtà virtuale e la realtà mista

Un indizio a favore che il metaverso è affare che sta crescendo è che le compagnie big tech continuano a investire nei device. E l’ingresso in scena di Apple fa ben sperare. A oggi si stanno diffondendo visori come i Meta Quest Pro e i Meta Quest 3, e stanno arrivando i nuovi visori della Apple, mentre i Google Glasses, come sappiamo, sono stati abbandonati. Ma per attrarre concretamente i consumatori i prezzi sono ancora troppo alti? “Il prezzo è l’ultimo dei problemi”, ci spiega Cosenza. “Il visore di Meta costa intorno ai 500 euro, quello precedente costava intorno ai 350 euro. Ci sono anche i visori di Pico che costano più o meno intorno ai 350 euro”. “Il grande problema è quello di convincere gli sviluppatori a creare tante applicazioni per la realtà virtuale e la realtà mista. Questo persuaderebbe le persone sul senso di utilizzare questi strumenti non solo per lo use case principale, il gioco, ma per utilità di vario tipo”.

Problemi di hardware: maggiore potenza e visori più comodi

Insomma, ci arriveremo ma ci vuole tempo. Anche a causa dei  problemi di hardware. “Sono legati al raggiungimento della maggiore potenza necessaria per fare girare in materia fluida le applicazioni più complesse”, commenta il fondatore dell’Osservatorio Metaverso. “E poi ci vorrebbe un hardware più leggero, più comodo di indossare, con batterie più capienti. Sono problemi che richiedono un po’ di tempo ma verranno risolti. Il vero punto resta convincere gli sviluppatori a creare nuove applicazioni”. Perché sono quelle che poi servono a portare il pubblico nel metaverso.

Il metaverso di Gucci, Bulgari e Nike

Uno dei primi a credere nel metaverso è stato Gucci, con Gucci Town, un quartiere virtuale nato su Roblox – il target sono i ragazzi dai 6 ai 13 anni – con un parco giochi in cui vincere oggetti virtuali brandizzati per personalizzare il proprio avatar. Bulgari ha creato il suo mondo virtuale sulla piattaforma Zepeto, con attività di gaming il cui obiettivo è sempre vincere accessori per vestire il proprio Avatar. Nike ha creato il suo mondo, Nikeland, su Roblox, uno spazio 3D immersivo che promuove l’attività motoria e il gioco, e che ricostruisce il quartiere generale della Nike a Beaverton. “I brand sono davvero tanti”, commenta Cosenza. “Sono tutti grandi brand che al momento si possono premettere di sperimentare, perché si tratta di tecnologie che ancora non sono standardizzate. Se oggi costruisci un’applicazione su Roblox non la puoi portare in maniera facile su Fortnite,  quindi quello diventa un investimento una tantum”. È questo il problema maggiore del metaverso: l’interoperabilità. Ma ci siamo quasi. “Il tema dell’utenza, che ancora non è super sviluppata riguarda gli utilizzi dei cosiddetti universi virtuali. Mentre già un mondo come Roblox, o Fortnite, è utilizzato da 50 milioni di persone ogni giorno e sta uscendo dalla sua nicchia”, precisa Cosenza. “È un pubblico specifico, di giovanissimi, la Generazione Amba soprattutto, che è abituata al digitale e anche a spendere moneta digitale per comprare abbigliamento per vestire i propri avatar. Una generazione che va tenuta d’occhio e i grandi brand già lo stanno facendo”.

La generazione dei più giovani, quelli abituati a Roblox, non è attenta al realismo degli oggetti

A proposito di avatar, secondo alcune correnti di pensiero, per rendere accattivante il metaverso sarà necessario progettare avatar e oggetti per ogni mondo e dovranno essere sempre più belli, realistici, accattivanti. Ma non è detto che a tutti servano degli avatar di questo tipo. “Il realismo è un falso problema”, commenta Vincenzo Cosenza. “Soprattutto la generazione dei più giovani, quelli abituati a Roblox, non è attenta al a questo aspetto.  Roblox è una piattaforma molto geometrica nella sua grafica”.

Il vero problema è l’interoperabilità, passare da un mondo a un altro

E poi c’è il nodo dell’l’interoperabilità, il fatto di poter passare facilmente da un mondo all’altro, che è la vera chiave per arrivare al metaverso. “Se oggi sono un utente di Roblox e compro un tot di moneta Robux, la moneta di Roblox, e compro una borsa Gucci, quella borsa poi non la posso sfoggiare in un altro mondo. E così vale per tutto. Bisognerebbe arrivare a una sorta di formato unico, una definizione dei file tridimensionali che metta tutti d’accordo che dia la possibilità di utilizzare quel tipo di file e quel tipo oggetto in altri mondi. Sarebbe buono sia per gli utenti che per le aziende”, commenta Cosenza.

Metaverso: ci vorranno non meno di cinque anni

Ma allora quanto manca al compimento del metaverso? “Zuckerberg un anno mezzo fa diceva che ci vorranno dai cinque ai dieci anni”, risponde Cosenza. “Ci vorranno non meno di cinque anni per arrivare al fatto che tutti i vari pezzi vadano a comporre il puzzle, cioè alla famosa interoperabilità. Quelli da comporre sono il pezzo dei pagamenti, quello dell’hardware, quello delle applicazioni. Ma un giorno ci sveglieremo e vedremo che tutto questo è diventato realtà. I vari attori stanno lavorando per l’obiettivo, in maniera a volte disordinata, a volte più ordinata, ci sono anche organismi di standardizzazione che stanno lavorando con i vari player per arrivare a standard comuni”.