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Metà del Congresso americano approva la legge contro la proprietà cinese di TikTok. Ma Donald Trump cambia idea: “Facebook is the true enemy of the people”

Tik Tok USA
di Massimo Bolchi

Che cosa sta succedendo a TikTok negli USA? La cronaca politica registra l’approvazione della Camera dei Rappresentanti di una legge che, quando e se approvata anche dal Senato, prevederebbe la cessione del social media a un altro soggetto ‘non nemico’ o, in alternativa, la cancellazione dagli app store negli Stati Uniti.

Esattamente come previsto dal decreto presidenziale di Donald Trump nel 2020, la cui applicazione venne prima bloccata dalla giustizia federale e poi annullata de facto dall’elezione di Joe Biden a presidente. E il social media cinese continuò tranquillamente a essere cinese senza altre difficoltà, nonostante si fosse parlato di ‘mettere al sicuro’ i dati degli utenti americani sui server di un partner statunitense (Oracle).

A leggere la cronaca fino a questo punto sembrerebbe proprio che i due partiti (il Democratico e il Repubblicano) e i due candidati presidenziali, in lotta su tutto il resto, abbiano trovato almeno un terreno comune per raggiungere un accordo condiviso. Ma le cosa stanno in maniera totalmente diversa.

Camera contro Senato: ‘an uphill run’?

La prima reazione che fa pensare che al Senato, a maggioranza democratica, sarà un ‘uphill run’ per la legge è il moltiplicarsi di azioni di lobbying da parte di TikTok, che ufficialmente paventa riduzioni dell’efficacia del Primo Emendamento, quello che protegge il diritto alla libertà di espressione, e vede minacciate le revenue dei creator che si esprimono sul suo social. A naso due obiezioni che hanno poco fondamento, soprattutto la seconda: basta vedere che cosa è successo in India, che ha vietato dal 2020 TikTok, e i creator si sono semplicemente spostati, attivandosi sui social alternativi.

In punta di diritto è più valida la prima obiezione, perché questa sarebbe davvero un legge contro una sola azienda. Azienda è formalmente di Singapore, ma la società madre, ByteDance, benché partecipata da fondi di investimento e venture capitalist occidentali e nipponici, è sicuramente cinese e soggetta alle leggi sulla sicurezza cinesi, quindi il governo e il Partito comunista cinese hanno l’ultima parola su ogni decisione dell’azienda. Soprattutto possono chiedere e ottenere da ByteDance qualsiasi cosa, incluso ogni dato il loro possesso su chiunque nel mondo, senza bisogno di passare per un tribunale (che poi i tribunali cinesi possano schierarsi con il PCC è una pura illusione).

Il punto, in pratica, è che TikTok ha oltre 170 milioni di utenti negli USA, in maggioranza giovani, e metterseli contro cancellando il social media è un atto di coraggio che pochi politici si sentono di compiere, soprattutto al Senato dove in molti casi è più diretto il rapporto tra elettori ed eletti: il Wyoming con il suo mezzo milione di abitanti elegge due senatori come la California, che ha oltre 40 milioni di residenti.

E TikTok ha già fatto sentire il suo peso: l’azienda ha foraggiato un trentina di creator perché andassero a manifestare davanti al Congresso contro il ban e tutti i suoi utenti si sono ritrovati sullo smartphone un messaggio che diceva ‘Il Congresso vuole approvare un divieto totale di TikTok’, che è quanto meno molto impreciso, se non totalmente falso. Un segno concreto, paradossalmente, della sua capacità di influenzare, anche con fake news, l’opinione pubblica americana.

Trump cambia idea e si schiera favore di TikTok

Donald Trump, che vede finalmente accolta da metà del Congresso la sua idea iniziale di quattro anni fa, invece ha nel frattempo mutato la sua posizione. “TikTok può essere un pericolo per la sicurezza nazionale, ma centinaia di milioni di americani utilizzano i suoi servizi”, ha dichiarato pubblicamente nei giorni scorsi. “I suoi concorrenti, Meta e Facebook in testa, che beneficerebbero della sua scomparsa, sono invece molto disonesti, soprattutto quando si parla si elezioni”.

Evidentemente non gli è ancora passata l’espulsione da Facebook e dagli altri social USA dopo l’assalto al Congresso, nonostante la tardiva riammissione da parte di alcuni di essi. Non potendo attaccare, almeno per ora, Twitter, diventato nel frattempo di proprietà di Elon Musk, Meta e i suoi social diventano per Trump il bersaglio perfetto, a costo di spiazzare i Repubblicani che hanno diligentemente sostenuto la linea del partito fino ad ora: “They are the true enemy of the people”, tuona infatti nei comizi.

Poi c’è anche – e non poteva mancare – chi accusa Trump di un interesse economico diretto nella vicenda TikTok: uno dei suoi finanziatori, Jeff Yass, l’uomo più ricco della Pennsylvania, è uno dei grandi azionisti occidentali di TikTok – i capitalisti ci venderanno la corta per impiccarli, diceva Lenin – ovviamente contrario al ‘TikTok ban’, e le sue donazioni la Partito repubblicano e a Trump hanno certamente lasciato il segno.

D’altro canto è ondivaga anche la posizione di Biden: formalmente l’iniziativa contro TikTok è partita dal Congresso, ma la maggioranza che l’ha approvata – 362 Sì e 65 No – mostra che è un’azione bipartisan con un ampio coinvolgimento della minoranza democratica. Ma Biden continua a pubblicare i post della sua campagna presidenziale su TikTok, anche con Barak Obama e altri esponenti della politica e della società civile: un segno che il social è senza dubbio efficace e molto seguito negli Stati Uniti, e che le preoccupazioni sul suo algoritmo e sul ruolo occulto del PCC passano in secondo piano qualche c’è da raccogliere popolarità e follower.