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‘L’AI non esiste. Esiste l’uomo…’: la campagna di Ammagamma e le molte questioni che riguardano ChatGPT nell’intervista con il Fondatore e Presidente Fabio Ferrari

Fabio Ferrari, founder di Ammagamma
Fabio Ferrari, founder di Ammagamma

Nella scorsa settimana è andato in scena lo ‘psicodramma’ del rapporto – in un primo momento decisamente conflittuale – tra l’Autorità per la protezione dei dati personali (APDP) e l’AI generativ ChatGPT. Alla richiesta da parte del primo di ulteriori approfondimenti sul trattamento e sulla protezione messa in atto per evitare che i minori di anni 13 ne facessero uso, ha risposto la decisione del blocco degli accessi dall’Italia da parte del gigante – si può ben dire così dopo l’ultimo investimento monstre da parte di Microsoft di 10 miliardi di dollari – OpenAI, la società-madre del chatbot.

Questo fatto ha riportato di attualità una campagna realizzata da Ammagamma, intitolata in modo provocatorio L’AI non esiste. Esiste l’uomo che pensa e crea soluzioni. Per cambiare, un approccio quasi luddista al problema, ma che a ben guardare presenta il grande successo riscosso negli ultimi mesi dall’AI sotto una luce diversa, e con uno sguardo più riflessivo e analitico.

“Innanzitutto sgomberiamo il campo dal sospetto di neo-luddismo”, commenta divertito Fabio Ferrari, Fondatore e Presidente di Ammagamma. “La nostra posizione deriva invece proprio dalla constatazione che la matematica – perché e da lì che derivano i concetti di deep learning e di algoritmo – e in generale la tecnologia vengono raccontate e sfruttate per applicazioni che a nostro giudizio sono quanto meno superficiali ed effimere, rispetto a quello che la matematica può davvero apportare. Se guardiamo alla complessità delle sfide che ci attendono, a partire dall’ambiente, occorre che poniamo attenzione là dove l’AI può davvero aiutarci, focalizzandoci sulle cose concrete in cui l’AI è già integrata e attiva in background, dalla sanità alle assicurazioni”.

Siete un’impresa attiva nel digital e nell’AI, che sembra però avere nella vostra concezione più un un ruolo di affiancamento dell’intervento umano, che di reale ‘sostituzione’. Per il futuro immaginate un’AI che lavori insieme all’uomo, in un equilibro forse ancora da raggiungere?

“ChatGPT è un racconto, ancora prima che un’applicazione, un racconto che è come una serie a puntate di Netflix: al momento vive una sovraesposizione che può portare, paradossalmente, a un disinteresse una volta che si sarà verificato ciò che può o non può fare. Per ora OpenAi sfrutta ancora il favore popolare legato al suo essere tecnicamente una startup, nonostante le sue attuali, e ancor più le future, applicazioni specifiche incidano, e sempre più incideranno, sulle modalità di lavoro di tutti. Il calo di Google, legato al flop del lancio di Bard, è la conferma di questo atteggiamento: Mountain View, nonostante il suo pledge ‘Don’t be evil’ è percepita per quello che è davvero, una Big Tech legata alle dinamiche di business innanzitutto, come conferma anche la risposta un po’ forzata dagli azionisti terrorizzati dalla possibile perdita del primato nel search”.

Nella ricerca di BVA Doxa presentata la Data Day di IAB, i problemi etici e individuali che l’AI pone sono un po’ sottostimati, così come le prime evenienze reali (i creativi ‘licenziati’ a favore dell’AI Generativa sono solo un esempio possibile). Come si può distinguere tra un’AI ‘buona’ e una ‘cattiva’?

“Questi moderni ‘oracoli’, o, meglio, questi agenti predittivi potevano combinare guai anche in un remoto passato, come mostrano le vicende dell’Odissea o la tragedia di Esopo. Forniscono risposte univoche, facendo una sintesi, un’omologazione delle informazioni che si sostituisce al pensiero critico, al dubbio, e alla riflessione. In altre parole, alla scelta tra le molte alternative che invece un motore di ricerca mostra senza esprimere preferenze. In questo comparto, naturalmente, non si può ‘disinventare’ qualche cosa di così grande successo. Sarebbe però utile almeno un tempo di riflessione sulla sue effettive capacità.
Dal nostro punto di vista al fondo di questa domanda c’è solo un’ ‘etica della scienza’, che deve essere sempre coerente, dalla ricerca delle informazioni alle dimostrazione della probabilità delle risposte formulate, restituendo al contempo la massimo trasparenza sul processo attraverso il quale si è arrivati a fornire una data risposta . Questo etica dovrebbe essere presente anche nelle aziende, che spesso prendono ‘scatole nere’ per utilizzarle senza sapere che cosa ci sia dentro.
Fino a poco tempo fa l’uomo ha robotizzato solo alcuni aspetti del proprio lavoro: oggi si inizia ad associare alla robotizzazione una capacità computazionale a cui l’uomo non già oggi non può più arrivare. Ma gli aspetti più propriamente umani, quali la creatività, l’inspirazione o il genio, rimangono sempre aree proibite all’AI”.