Interactive

La GenAI mette in pericolo il fatturato del search di Google, anche quella di Gemini: come si risponde alla minaccia? Con un paywall?

Google OpenAI
di Massimo Bolchi

La notizia è di qualche giorno: Google starebbe studiando come far pagare il suo search, che oggi pesa per la metà del fatturato totale del tech giant e raggiunge la incredibile cifra di 175 miliardi di dollari. Non male per un servizio che ‘nominalmente’ è gratuito.

Ma quanto è vera, o almeno verosimile, questa notizia, su cui si sono gettati i media internazionale, a partire dal Financial Times e a seguire tutti gli altri? Vera no, verosimile forse, ma soprattutto risponde a una logica che ha già avuto più di una conferma, quella del FOMO (Fear Of Missing Out), che ha già lasciato molti cadaveri sulla sua strada: l’ultimo è l’auto elettrica di Apple, che è stata ufficialmente abbandonato sono pochi mesi fa, dopo oltre 10 anni di sforzi industriali, di prototipi e di investimenti miliardari.

Il motivo di quest’altra FOMO sta nell’Artificial Intelligence, che ha investito il mercato nell’ottobre del 2022 con l’ormai celeberrimo ChatGPT di OpenAI, prendendo in contropiede Google che ha cercato immediatamente di replicare lanciando in fretta, qualche mese dopo, Bard, cui il successo ha arriso solo parzialmente. A Bard è succeduto Gemini, che funziona decisamente meglio, ma il vero motivo dell’incertezza di Google nei confronti dell’intelligenza artificiale è che può eliminare tutto il lavoro del search a cui ci siamo abituati: perché scorrere manualmente una pagina (o più pagine) di risultati e link, quando si può chiedere a un’intelligenza artificiale di fare tutto il lavoro di ricerca e filtraggio, presentando una risposta sintetica e già curata?

Ma non c’è solo ChatGPT – che nel frattempo è arrivata alla versione 4 – da cui guardarsi: ora le AI sono numerose, e vanno da quelle open source, come MetaAI e MistralAI, a quelle proprietarie come Anthropic e Inflection. Sembra proprio che sia solo questione di tempo (poco, dire il vero) prima che il modello del search sia sostituito dal molto più snello ‘domanda-risposta’ dell’AI, con le ovvie conseguenze sul business di Google (e dei publisher, ma di questi ultimi importa poco a gigante di Mountain View).

Il problema è che qualsiasi cosa Google faccia con l’intelligenza artificiale nel search non può interferire troppo con il flusso di entrate: il pericolo è che i risultati (riassunti o istantanee che siano) alimentati dall’intelligenza artificiale possano significare meno clic sugli annunci pubblicitari. Inoltre, il prezzo del ‘nuovo’ search è in crescita per Google, che deve pagare i costi esorbitanti per l’alimentazione della propria AI. Ma mettere dietro un paywall uno dei suoi prodotti principali non sembra la soluzione migliore per rispondere a una tecnologia che sicuramente minaccia il suo business pubblicitario, un anno e mezzo dopo il debutto di ChatGPT.

Il motore di ricerca tradizionale di Google rimarrebbe dunque gratuito, con gli annunci pubblicitari che continuerebbero ad apparire accanto ai risultati delle ricerche anche per gli eventuali abbonati. Ma abbonati a che cosa? Secondo voci ricorrenti, Google starebbe valutando alcune opzioni, tra cui le funzioni di ricerca basate sull’intelligenza artificiale, da aggiungere ai suoi servizi di abbonamento premium, che già offrono l’accesso al suo nuovo assistente AI Gemini in Gmail e Docs.

Gli ingegneri sarebbero al lavoro, ma il top management non avrebbe ancora ancora preso una decisione definitiva su se o quando lanciarlo, guardando ai risultati ottenuti dal maggiore concorrente del proprio motore di ricerca. Bing di Microsoft, infatti, che si avvale della AI di ChatGPT, ha sì visto aumentare la propria market share negli USA – è passato dal 3.2% di sei mesi fa all’attuale 4,4%, ma resta ben distante dall’89,5% del leader di mercato.

Per ora, dunque, alcune delle pressioni immediate sull’azienda affinché si affretti a fornire risultati di search generati dall’intelligenza artificiale potrebbero essersi attenuate. Ma più tempo ci vorrà per adottare completamente l’IA generativa, maggiore sarà il rischio che gli utenti di Internet si rivolgano a chatbot rivali o ad altri servizi basati sull’IA che sono magari ancora in sviluppo.

D’accordo che Sundar Pichai, il Ceo di Google e di Alphabet, sostiene che le persone che si preoccupano della rivoluzione introdotta dalla GenAI cadono in ‘one of the common myths’ su Google e non colgono un punto importante della sua storia: l’azienda ha fornito risposte al search del mondo per decenni in maniera molto efficiente. Ma il punto è se potrà continuare a farlo in futuro…