Raccontare il valore sociale ed economico dell’industria del gaming, accendendo un faro di luce su realtà e potenzialità del settore: ecco, in sintesi, l’obiettivo del lavoro fatto da IIDEA insieme al Censis sull’industria del Gaming, un settore che è un condensato di opportunità economiche, occupazionali, didattiche, che si colloca sulla frontiera più avanzata dell’innovazione. Sono i numeri e le esperienze a certificare che l’industria del gaming è una risorsa ancora da sfruttare appieno. La domanda da porsi è se stiamo sfruttando al meglio le sue potenzialità.
“L’espansione di un settore economico è un processo in parte spontaneo in parte esito di condizioni ambientali favorevoli che dipendono da scelte di policy in grado di stimolare, facilitare e accompagnarne lo sviluppo”, scrive il report ‘Il valore economico e sociale dei videogiochi in Italia’. “Sono aspetti che toccano da vicino l’industria italiana dei videogiochi che ha tutte le carte in regola per conoscere una stagione di notevole crescita”.
Ma di cosa ha bisogno il comparto? Quali policy pubbliche sarebbero necessarie per il suo decollo? A questo proposito la ricerca propone un confronto con quanto accade in altri paesi.
La Francia, dal 2008 ha istituito sia un fondo per il finanziamento diretto della produzione di videogiochi (dotazione complessiva di 4 milioni di euro l’anno), sia il Crédit d’impôt jeu vidéo, misura di tax credit che eroga ogni anno circa 40 milioni di euro nella forma di credito d’imposta.
Nel Regno Unito, nel 2015, è stato istituito lo UK Games Fund, un fondo diretto di finanziamento per le imprese del settore con una dotazione annua di circa 1 milione di sterline, mentre nel 2014 è stato istituito il Video Game Tax Relief, un programma di credito d’imposta per la produzione di videogiochi, con una dotazione complessiva annua di 100 milioni di sterline e un effetto occupazionale di +9.240 posti di lavoro.
In Germania, infine, nel 2019 è stato introdotto il Computerspieleförderung des Bundes, misura di finanziamento diretto, con un programma limitato nel primo anno agli aiuti in regime de minimis per la produzione di prototipi e una dotazione complessiva di 50 milioni di euro, successivamente ampliato all’intera fase della produzione e rifinanziato su base quinquennale con 50 milioni di euro annui.
Nel nostro Paese invece nel 2020 è stato istituito il First Playable Fund, il fondo MISE per il finanziamento di prototipi di nuovi videogiochi commerciali. Lo sportello, aperto lo scorso 30 giugno con una dotazione iniziale di 4 milioni di euro, si è chiuso in meno di tre ore per esaurimento delle risorse. Nel 2021, poi, è stato firmato il decreto attuativo con cui diventa operativo lo strumento del tax credit, che riconosce alle imprese aventi sede in Europa e soggette a tassazione italiana, un 25% di credito fiscale per il costo di produzione di videogiochi italiani e nati in Italia fino all’ammontare massimo annuo di 1 milione di euro. L’accesso al credito è subordinato poi alla finalità culturale del videogioco, valutata da una apposita commissione esaminatrice. L’avvio della misura è tuttavia subordinato al riconoscimento dell’eccezione all’Aiuto di Stato da parte della Commissione Europea, atteso per i prossimi mesi.
Una situazione davvero molto ‘povera’ in termini di risorse, se confrontata con gli oltre 600 milioni di euro stanziati dai Paesi prima citati, ma nondimeno sono primi segnali di un riconoscimento dell’industria dei videogiochi anche nel nostro Paese. In ogni caso, comunque, persistono criteri valutativi visibilmente starati rispetto alla realtà, come ad esempio la distinzione tra videogiochi ‘buoni’ di impronta narrativa (o con finalità educative e culturali) e videogiochi ‘cattivi’ con finalità commerciali. Una distinzione irrealistica, che tuttavia condiziona natura e tipologia degli interventi.
Per delineare uno scenario di più lungo periodo, teorico ma indicativo delle potenzialità complessive del settore e del suo effetto moltiplicativo sugli indicatori economici, si ipotizza la scelta di un boost molto robusto per il settore, con una cifra pari a quella prevista nel Pnrr per la voce finanziamento piattaforme di servizi digitali per gli sviluppatori e imprese culturali che è pari a 45 milioni per il periodo 2021-2026. Considerata l’esperienza inglese, che segnala un effetto moltiplicatore pari a 4 per ogni unità monetaria investita nel settore e un posto di lavoro creato per ogni 40.000 euro di investimento pubblico, nel 2026 il fatturato delle imprese del settore arriverebbe a 357 milioni. In cinque anni, il fatturato complessivo cumulato salirebbe a 1,7 miliardi di euro, +500 milioni in più rispetto all’assenza di investimento pubblico e l’incremento occupazionale sarebbe di circa 1.000 nuovi posti di lavoro, pari a un incremento del 70<% sui valori attuali.
Considerando invece il caso francese, dove per ogni euro di risorse pubbliche investito nel settore si ottengono 1,8 euro in più di gettito fiscale e 8 euro di investimenti privati, le risorse pubbliche farebbero da leva per investimenti privati fino a 360 milioni di euro ed il gettito fiscale beneficerebbe di +81 milioni di euro.
Una dinamica espansiva potenzialmente esponenziale, con ricadute socioeconomiche che, a questo stadio, sono una grande opportunità per l’Italia. Ecco allora che, al tempo del decollo con le risorse del Pnrr e di altre fonti, nella competizione tra settori un posto importante va dato anche al gaming, “perché dagli investimenti sul settore potrebbero discendere risultati significativi su fatturato, occupazione aggiuntiva qualificata, incremento del gettito fiscale e mobilitazione di risorse private. Un esito win-win possibile purché per l’industria del gaming si facciano le cose giuste al tempo giusto”, conclude il Report senza mezzi termini.