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Influencer Marketing: l’interesse dei brand si sposta verso i protagonisti

Parlando di Influencer Marketing può apparire naturale porre il focus sul punto di vista delle aziende e dei brand, utile per ricavare insight progettuali e commerciali. Così facendo si corre però il rischio di trascurare l’altra faccia della medaglia, quella dei Creator. Comprenderne caratteristiche e modus operandi è infatti altrettanto decisivo in quanto permette di migliorare il loro coinvolgimento.

Innanzitutto la definizione di Influencer, che segna la definitiva caduta, se mai ce n’è stata una, di ogni distinzione tra Social Marketing e Influencer Marketing: si identifica come influencer qualunque blogger, instagrammer, youtuber o comunque una persona attiva sui canali social, che sia riuscito a guadagnarsi fiducia tanto da diventare un punto di riferimento per un particolare network di persone. In generale è quindi di una figura che ha lavorato molto sul suo personal branding raggiungendo un buon numero di follower sia in quantità che in qualità e che con spontaneità e leggerezza riesce a creare engagement, e può pertanto veicolare un messaggio alla sua rete di follower.

Un altro aspetto a cui fare riferimento riguarda la trasparenza, cioè l’evidenziazione del fatto che per l’influencer un certo post è “lavoro”, viene pagato – con moneta o oggetti gratuiti – per pubblicarlo. Qui le indicazioni sono esplicite: mettere #ad, #adv,#sponsor e simili è obbligatorio. Tuttavia, al di là della presenza di questi indicatori, peraltro troppo spesso confusi nella folla di hashtag che segue il post, una ricerca sui creator di ONIM (Osservatorio Nazionale Influencer Marketing) evidenza che, per lo meno lato influencer, c’è ancora molta confusione: secondo la ricerca, infatti, il 24,4% degli influencer intervistati dichiara che i brand e le agenzie chiedono solo a volte l’uso di #ad e degli altri tag, mentre il 24,4% addirittura mai. Molto basso, per contro, il
17,4% registrato dal “sempre”, dato estremamente basso se valutato nell’ingente numero di progetti e contenuti creati in collaborazione con i brand.

La situazione però si ribalta se osservata dal punto di vista di coloro che utilizzano gli influencer nelle loro attività: qui i marketer dicono di schierarsi a favore delle indicazioni di AGCom e di IAP: il 54,9% dei marketer, infatti, dichiara di rispettare l’indicazione, mentre solo l’8,5% non utilizza mai #ad o diciture simili. Un raffronto che indica quanto meno un certo “scollamento” tra aspetti pratici e percepito degli stessi.

Secondo la già citata ricerca dell’ONIM, la selezione dei giusti influencer da coinvolgere e la misurazione delle performance risultano per i marketer intervistati le sfide più complesse da affrontare, e attività che richiedono un maggior grado di preparazione e know-how del team di marketing interessato. Sintetizzando le risultanze empiriche, sono stati identificati tre cluster principali di influencer. Un primo gruppo è costituito dai cosiddetti “ identified”, influencer considerati rilevanti per un brand, in base ai ranking o al ruolo e alla posizione ricoperta nell’ambito del settore in cui operano. Il secondo cluster è invece costituito dagli “engaged”, vale a dire influencer con cui si è già instaurato un livello iniziale di interazione, che è connessa alla pertinenza dei contenuti pubblicati e promossi da un’azienda e alla propria capacità attrattiva. Nel terzo cluster vanno infine inclusi gli “influencer active”, direttamente coinvolti nei programmi di influencer marketing e che collaborano attivamente con brand e aziende per promuoverne prodotti o servizi. Qui l’influencer diventa ambassador a pieno titolo.

Uno dei trend più recenti sarebbe, comunque, quello di chiudere partnership con micro-influencer. Il 59,7% degli intervistati dalla ricerca ONIM lavora con influencer che hanno meno di 30mila follower. Sono utenti comuni, con community relativamente piccole e che non hanno performance numericamente paragonabili a quelle di vip o influencer di lungo corso, ma che hanno invece dalla loro una grande capacità di coinvolgere attivamente la fanbase e farsi ambasciatori del prodotto e del brand.

Un ultimo punto è che non sempre gli influencer più efficaci sono quelli che operano in contesti affini al mercato e all’ambito merceologico di interesse: le aziende trovano a volte influencer al di fuori dei canali classici, ricercando una visione trasversale capace di audience ugualmente ricettive ma lontane e non abitualmente raggiunte.